Al Jazeera e l’altra faccia del potere

P20strisce.jpg.pagespeed.ic .fyyM1On28Ufonte: osservatorio Iraq (http://www.osservatorioiraq.it/al-jazeera-e-l%E2%80%99altra-faccia-del-potere)  autore Luca Bellusci

Le dimissioni di diversi giornalisti hanno causato un crollo di immagine molto difficile da recuperare per l’emittente araba più famosa al mondo. Da iniziale fenomeno mediatico, Al Jazeera ha dovuto cedere il posto alla real politik del Medio Oriente, intrisa da interessi spesso contrastanti anche tra alleati storici. Il canale all news del Qatar si ritrova così a dover fronteggiare una battaglia senza confini contro i nuovi competitor del settore, riportando l’attenzione su un nuovo soft powerin ‘salsa araba’.

Le cause del declino del primo canale satellitare arabo, in termini qualitativi (ovvero di imparzialità), riporta le lancette della storia indietro di qualche decina di anni, quando il primo progetto per la costituzione di un canale satellitare arabo tra la BBC e la compagnia saudita Orbit fallì a causa di insormontabili divergenze editoriali tra il comitato di redazione e la proprietà.

Fu lo sceicco del Qatar Hamad bin Khalifa al Thani ad avere l’intuizione di creare un canale satellitare in casa propria.

La creazione di una free media zone fu il passo decisivo che fece diventare il piccolo emirato un ‘pigmeo dal pugno di gigante’, così definito dall’Economist.

Il percorso di Al Jazeera fu subito in discesa, grazie alla copertura capillare in tutti i paesi arabi e islamici.

E l’aggettivo più utilizzato fino a poco tempo fa, quando ci si riferiva all’emittente, era “imparziale”.

Imparzialità delle fonti giornalistiche e dell’executive staff: due qualità che le valsero anche l’apprezzamento del segretario di Stato americano, Hillary Clinton, che lodò l’emittente araba nel 2011, sottolineando come la crescita del numero di spettatori americani fosse da ricondurre al fatto che Al Jazeera forniva notizie reali e in presa diretta.

Il ‘soft power’ come strategia geopolitica

La teoria delle relazioni internazionali ha spesso attribuito una definizione a ciò che già esisteva, ma di cui si sottovalutava la portata in termini politici e sociologici.

Joseph Samuel Nye, illustre accademico di Harvard, utilizzava il termine soft power nei primi anni ’80 per descrivere quelle azioni/reazioni che sono strettamente connesse alla reputazione degli attori della comunità internazionale coinvolti, anche attraverso il flusso di informazione.

Il fenomeno legato al soft power si contrappone perciò al cosiddetto hard power, composto da fattori più ‘statici’, come il tasso demografico, il comparto militare o il prodotto interno lordo nazionale. 

Il Qatar è oggi tra i paesi più ricchi al mondo, controlla un enorme giacimento di gas condiviso con l’Iran, e sarà sede dei mondiali di calcio nel 2022. Figura tra i paesi del Golfo che investe di più in educazione e sviluppo di nuove tecnologie, ma soprattutto è la sede di Al Jazeera.

Un colosso mediatico che ha stravolto tutti i canoni dell’informazione.

Un contenitore che voleva rappresentare una ‘nuova’ società araba, anche attraverso i numerosi volti femminili a cui è stata affidata la conduzione dei suoi programmi televisivi.

Nel corso della sua storia, il canale ha sperimentato una vera e propria strategia di ‘fidelizzazione’ dei propri utenti, sostenendo il vecchio caro jidal (dibattito animato) su determinati argomenti e dando la possibilità a tutti di poter intervenire durante le trasmissioni di approfondimento, creando l’impressione di voler essere uno strumento aperto alla società civile.

In questi vent’anni di attività, l’emittente all news è riuscita a ritagliarsi uno spazio tutto suo all’interno del variegato mondo dei mass media, e questo ha contribuito senz’altro ad accrescere indirettamente anche il ruolo geopolitico del Qatar.

La reputazione che Al Jazeera ha conferito al piccolo paese del Golfo è paragonabile a ciò che realizza uno spin doctor (comunemente chiamato portavoce) per il politico di turno.

Attraverso il canale satellitare, il paese del sultano Hamad al Thani è stato coptato dalla comunità internazionale. La propria immagine ha avuto un balzo formidabile, riuscendo in pochi anni a raggiungere importanti ruoli diplomatici: dalla delicata mediazione in Libano ai rapporti con l’Iran, arrivando ai fatti più recenti di Libia e Siria.

Cause e conseguenze di un apparente declino

La fase discendente di Al Jazeera si può far coincidere con il primo vero ‘scandalo’ attribuito allo stesso direttore della rete araba Wadah Khanfar.

In un cablogramma americano pubblicato da Wikileaks, Khanfar venne menzionato come diretto responsabile della mancata pubblicazione di materiale sensibile riguardante operazioni americane in Medio Oriente che causarono la morte di donne e bambini.

Inoltre, sempre dai cablogrammi dalle sedi diplomatiche Usa, fu confermata la voce secondo la quale il numero uno di Al Jazeera collaborò costantemente con la Defense Intelligence Agency americana per ammorbidire l’immagine della superpotenza nei paesi arabi.

La notizia inquinò irrimediabilmente la reputazione che Khanfar aveva costruito per Al Jazeera nel corso degli anni precedenti, come contrappeso all’egemonia americana nel settore dei mass media, e ne causò le dimissioni.

Poi la primavera araba ha amplificato la visibilità al canale della penisola. La guerra in Libia e la successiva escalation di violenze in Siria hanno visto in prima linea non solo Al Jazeera, ma lo stesso Qatar.

Questa nuova strategia interventista da parte del piccolo emirato sunnita ha fatto vacillare quella che era l’immagine di imparzialità del canale all news, compromettendone quel soft power tanto ricercato.

La presunta strumentalizzazione mediatica che ha coinvolto il canale arabo è stata condannata da diverse parti come una palese intromissione negli affari interni di altri paesi.

A incrementare i sospetti circa la faziosità con cui venivano riportate alcune notizie, le dimissioni di diversi giornalisti, che hanno lasciato la tv in protesta con il management editoriale che, a loro avviso, avrebbe scelto consapevolmente di non coprire determinati accadimenti. 

Ali Hashem e Mousa Ahmed dell’ufficio di Beirut, ma anche Melhem Rayya, responsabile a Teheran, sono stati tra gli ultimi a lasciare l’emittente.

Defezioni che hanno compromesso ulteriormente non solo l’immagine del canale televisivo, ma soprattutto la reputazione del Qatar, ormai associato a un progetto ben più ampio che coinvolgerebbe il Cooperation Council for the Arab States of the Gulf (GCC), con il fine di allargare la sfera d’influenza dei paesi della penisola in tutta la regione mediorientale.

Secondo alcune stime, nell’ultimo anno, il canale satellitare avrebbe già perso ben tredici milioni di spettatori.

E di pochi giorni fa la notizia che Al Jazeera ha dovuto abbandonare anche il suo ufficio ‘cinese’.

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