Un piano arabo per il futuro russo: Appunti sull’estremismo islamico con una retrospettiva storica

1. Le mie azioni sono il volere di Allah

Queste parole erano forgiate sulla spada di Damasco del sultano turco Solimano il Magnifico. Il signore dell’Impero ottomano la regalò al khan di Crimea Devlet Giray, suo cugino e fedele alleato nella lotta contro il regno di Mosca. Con queste parole il governatore della Crimea cominciò i banchetti nei giardini di Bachcisaraj, con i quali terminava sempre le proprie devastanti incursioni sul suolo russo. Durante i banchetti i suoi murzi (“murza” in tataro significa«principe», «sovrano locale»), vantandosi con dovizia di particolari con gli ufficiali giannizzeri (ufficiali turchi, n.d.A.), scoccavano dagli archi frecce negli occhi dei soldati ortodossi prigionieri, legati ai pali.

Al fortunato khan tutto andava bene, fino a quando, un bel giorno, durante la cruenta battaglia di Molodi, furono uccisi suo figlio, suo nipote e suo genero. Sul campo dibattaglia rimasero settemila spahi turchi (cavalleria pesante, n.d.A.) e quasi tutto l’esercito di Crimea; il suo miglior comandante, Devij Bij, discendente del celebre khan dell’Orda d’oro Yadiga´r, cadde prigioniero e morì nella prigione sotterranea di Ivan il Terribile. Eventi sanguinosi di giorni remoti, che non sono tuttavia scomparsi dalla memoria. Essi possono facilmente ripetersi, in quanto, oltre i confine russi, ci sono non pochi vogliosi di seminare tra persone di religioni diverse sementi avvelenate di odio intransigente, le cui scintille possono attizzare il fuoco di un violento conflitto religioso, che,secondo il piano di questi, distruggerà la Russia.

Ora, su di essa, come ai tempi dei sultani turchi, pende la spada del pericolo musulmano. Piú precisamente, si fa di tutto perché la vedano così coloro che si annoverano tra i seguaci del profeta Maometto. Viene fatto intenzionalmente. Non è difficile immaginare cosa possa portare l’intolleranza religiosa in un paese in cui decine di milioni di cittadini considerano l’islam la propria religione nazionale. E così, sulla scia di motti di “difesa e liberazione”, giunge il momento d’oro per gli estremisti musulmani, quello della guerra per l’emancipazione dalla Russia di enormi territori che alcuni secoli fa“appartenevano ad Allah”.

Tra questi si comprendono le terre dei khanati di Crimea, Astrachan, Kazan’ e Sibir’, cioé gli attuali Crimea, Caucaso settentrionale, Bashkortostan, Tatarstan ed una serie di distretti del Volga e della Siberia. Qui dovrà essere costituito un potente stato islamico, che diverrà una parte del califfato mondiale. Nonostante sia del tutto possibile che i musulmani russi vogliano la piena indipendenza. In ogni caso, già oggi,alcuni dei seid che vivono in Russia, ovvero coloro che fanno risalire la propria stirpe alla progenie della figlia del Profeta, Fatima, dichiarano il proprio diritto “storico” al potere. Sottolineo che il “califfato russo”potrebbe rivelarsi ben piú radicale di quello “mondiale”. Indagini sociologiche osservano che tra l’otto ed il dieci per cento della popolazione della Turchia e dell’Azerbaigian è pronta a vivere secondo le leggi della shariah, mentre nel nostro Caucaso settentrionale la percentuale è superiore al cinquanta per cento. E dunque chi sono questi integralisti islamici, che hanno deciso di affermare con la forza il potere medievale non solo sulla quasi metà della Russia, ma pure sulla maggior parte del globo terrestre? Per rispondere aquesta domanda è necessario ritornare al deserto arabo di quasi quattordici secoli fa, al vero e proprio inizio della storia dell’islam.

2. Elezioni a Medina

La predicazione del Profeta Maometto cominciò nella pagana Mecca nel 610 d.C. Nonostante i suoi sforzi ventennali,non solo non si rivelò un successo, ma quasi  finì per costargli la vita. Nel 622 il messaggero di Allah compì l’egira, cioé il trasferimento a Medina, dove trovò comprensione ed appoggio.  Da lì il suo verbo, che proclamò il Corano rivelatogli da Dio unica verità certa per gli uomini in una vita pia,risuonò con nuova forza. Per questo il 622 è considerato il primo anno nelcomputo musulmano. Trascorsero altri dieci anni. Il Corano divenne il libro sacro che univa tutte le tribú dell’Arabia e lo stesso Profeta loro guida da tutti riconosciuta. Maometto morì “un lunedì, il dodici del mese rajabdel decimo anno dell’egira (otto giugno 632), tra le braccia della moglie più amata, Aisha.

Dopo la sua morte alla “umma” musulmana, cioé a quantia vevano fatto propria la fede “del piu grande tra i profeti”, si presentò la spinosa questione di come ed a chi trasmettere il potere. Per risolvere la questione si costituì un gran consiglio, dove venne presa la decisione che la missione del Profeta scomparso dovesse essere portata avanti da uno dei suoi seguaci piú vicini, che sarebbe stato chiamato califfo, che nella traduzione letterale dall’arabo significa “rappresentante del messaggero di Allah”. Da allora innanzi il califfo divenne il sovrano, avente in sé sia il potere spirituale sia il potere civile nel califfato, il nuovo stato creato dalle tribú arabe che si erano convertite all’islam. Come primo califfo fu scelto Abu Bakr.Comandò in tutto due anni, ma durante questo periodo furono conquistati la Siria e l’Iraq. Il secondo califfo, Omar, conquistò il nord Africa e la maggior parte del Vicino oriente,e dopo circa un altro secolo l’islam si affermò su di un territorio enorme:dalle catene montuose asiatiche del Pamir e del Tien Shan ai Pirenei europei.

Le truppe arabe nel 751 sconfissero presso Talas (contemporanea Chirghisia,n.d.A.) gli eserciti del comandante della Cina dei Tang Gao Xianzhi, mentre vent’anni prima erano stati fermati a fatica da Carlo Martello nella battaglia di due giorni presso Poitiers. La Francia rimase cristiana, mentre per la liberazione dai musulmani di Spagna e Portogallo si vide necessaria la reconquista (“rinconquista”,spagnolo, n.d.A.), che durò quasi otto secoli. Nel 1492, quando le caravelle di Cristoforo Colombo comparvero sulle coste dell’America, in Spagna avvenne la“tragedia andalusa”. Così gli storici musulmani chiamarono la caduta dell’emirato di Granada, l’ultima roccaforte dei “fedeli” nella penisola pireneica.

Le eccezionali vittorie conseguite dagli eserciti del califfato sotto lo stendardo verde dell’islam su tre continenti non poterono non diffondere anche la conseguente visione del mondo. Già i primi teologi islamici analizzavano la vita religiosa in stretta unità con quella politica. Ad esempio, ibn Hanbal, che visse nel nono secolo, chiamò i suoi seguaci ad essere pronti a “sofferenze e perdite” nella lotta per il trionfo dell’islam, mentre ibn Taymiyyah, il predicatore preferito di Osama bin Laden, circa settecento anni fa dimostrò il diritto degli ulema (il concilio dei teologi e deigiuristi islamici) all’organizzazione della fitna – il conflitto sociale, qualora i governanti si allontanino “dal cammino della verità tracciato dal Corano.”

Fu allora che cominciarono a parlare anche dell’unità spirituale dei musulmani di tutto il mondo e della necessità della loro unificazione amministrativo-politica. In questo stato chiamato diversamente avrebbero dovuto essere rigorosamente rispettate tutte le prescrizioni della shariah, un codice di leggi, formate sulla base del Corano e della sunna, la sacra leggenda basata sui hadith,racconti fondati su azioni, imprese e massime del Profeta.

Jemal al Afghani alla fine deldiciannovesimo secolo sviluppò questi punti di vista nei suoi libri ed interventi. Le sue opinioni non esercitarono particolare influenza sulla formazione dei credenti, ma nella coscienza di una certa parte della società musulmana si radicò l’immagine di un’epoca d’oro dell’islam, l’epoca del califfato arabo, quando “sui suoi vasti spazi regnava la saggezza del Corano e dovunque imperavano la carità, la prosperità e la giustizia”. Questo idilliaco benessere fu violato dalle Crociate organizzate dalla Chiesa cattolica e dalla nascita ad Oriente degli stati cristiani, che contribuirono al declino politico e socio-culturale dell’importanza dell’islam.

Oggi, i “nuovi crociati”, nelle figure degli Stati Uniti e della NATO, di nuovo “minano le norme della morale musulmana e della legge della shariah, necessarie per lo sviluppo e l’illuminazione delle nazioni, la cui stella guida è il  Corano”. Per questo è necessaria la lotta per il ritorno al ”vero islam” , con l’aiuto del quale ai tempi di Abu Bakr, Omar, Uthman ed Ali, i primi quattro califfi, fu costituito il  primo “califfato ortodosso, dimora della gioia universale edella felicità”, costruito sulle verità incrollabili della “sacra pergamena”,come piú spesso viene chiamato il Corano.

Tuttavia da vero prototipo del califfato universale funge non lo stato delle tribú arabe che abbracciarono la fede islamica, bensì il califfato arabo, un enorme impero multinazionale con un’agricoltura per quei tempi all’avanguardia, una sviluppata produzione artigianale, un ramificato commercio internazionale ed un’elevata cultura. A suo modello, ai giorni nostri, deve essere costituito il califfato universale.

3. Il richiamo dal deserto

Molto probabilmente, i sogni di alcuni ulema circa una possente potenza musulmana sarebbero rimasti per loro un’inconsolabile nostalgia per un grandioso passato, se non fosse stato per due importanti momenti. Il primo fu la comparsa in Arabia della dottrina dei wahhabiti, il secondo la scoperta in loco di grandi risorse di petrolio.Una conseguenza diretta di questi due eventi non legati in alcun modo tra diloro, divisi nel tempo da un intero secolo, è stata il rapido rafforzamento degli integralisti islamici, che ora cercano di imporre il proprio volere a tutto il mondo.

Negli anni trenta del diciottesimo secolo, il teologo arabo Mohammedal Wahhab del Najd (ovest dell’Arabia saudita, n.d.A.) scrisse uno dei suoi più di cinquecento scritti teologici. Si intitolava “Kitab al-Tawhid”, “Libro sulla fede unica” e divenne presto una vera e propria bibbia dello wahhabismo. In esso erano descritte le basi della dottrina medievale dei salafiti (dall’arabo salafiyya,predecessori, antenati), i cui seguaci nel corso di quattro secoli avevano invano esortato i musulmani a ritornare alle norme ed alle regole dell’”islam delle origini”, secondo le quali vivevano i contemporanei del Profeta. Al finedi evitare qualsiasi confusione in termini, va detto che tra la dottrina della salafiyya e quella del wahhabismo non c’è alcuna differenza di principio.

Gli stessi wahhabiti chiamano se stessi salafiti, e ad Occidente si è consolidata su diloro questa definizione, derivata dal nome del loro predicatore. I wahhabiti,che la maggior parte dei teologi musulmani contemporanei considerano eretici, proclamando il Corano unico valore spirituale dei musulmani, pretendono dai fedeli non solo il rifiuto delle bidà, delle innovazioni, ma pure la partecipazione obbligatoria alla battaglia-jihad per la purificazione dell’islam da tutto ciò che in esso comparve dopo la morte di Ali, l’ultimo califfo, che conobbe di persona il Profeta in vita. Oltre a ciò, i wahhabiti negano la necessità di un clero professionale, del culto delle autorità religiose e dei luoghi sacri. La dottrina del ”vero islam” divenne incredibilmente popolare tra i semplici arabi analfabeti, che vedevano ogni giorno la lussuosa vita dei sacerdoti, legati strettamente alla famiglia aristocratica tribale. Ed il predicatore ascetico godeva ovunque del massimo rispetto.

L’emiro della città di Ad-Dar’iyah, Muhammed ibn Saud, tenne conto di ciò,stringendo con al Wahhabi un’originale alleanza politico-religiosa. Al Wahhabi avrebbe dovuto costringere i capi beduini e gli sceicchi ad abbandonare i culti locali, il culto tradizionale dei santi, il fumo, la depravazione, gli abiti di seta e le feste rumorose. Se loro non si fossero sottomessi, sarebbero stati accusati pubblicamente di eresia e chiamati iblis, cioé “persone inutili”, schiavi del diavolo, che in arabo viene chiamato Iblis. I capi non abbandonarono le condotte peccaminose e la loro vita divenne “piú leggera della polvere del deserto”, mentre i loro beni furono messi “a ferro e fuoco”. La citta di al-Ahsa, per esempio, fu distrutta fino alle fondamenta, le proprietà dei suoi abitanti saccheggiate ed essi sterminati fino all’ultimo uomo. Nella santa Kerbela tra le altre cose, la tomba di Hussein, nipote del profeta, fu violata.

Il vandalismo continua anche ai giorni nostri. Per ordinanza delle autorità saudite, la casa dove nacque il profeta Maometto è stata rasa al suolo ed al suo posto costruiti dei bagni pubblici. Il mausoleo sulla tomba di Amina bint Wahb, la madre del Profeta, situato nel villaggio Abva a 150 chilometri dalla Mecca, è stato demolito, e la tomba stessa riempita di cemento. In totale fino ad oggi in Arabia Saudita è stato distrutto più del 90% dei monumenti islamici,connessi in un modo o in un altro con la storia antica dell’islam. Tra di essi si contavano molti capolavori architettonici di enorme valore culturale.

Tra l’altro, lo stesso predicatore non si distinse per compassione e rispetto per i luoghi santi. Su suo ordine, direttamente in moschea durante la preghiera del venerdì, fu ucciso l’emiro Uthman ibn Muhammar. Così, fin dai primi giorni della sua esistenza, il wahabismo, per non dire i suoi seguaci, fu strettamente mescolato al sangue, al furto e alla rapina.

4.  Militanti eretici per una politica transatlantica

Gli inglesi usarono per primi l’islam radicale come arma di politica estera nella lotta contro l’Impero russo. Furono proprio loro ad armare i fanatici analfabeti islamici nel Caucaso e nell’Asia Centrale. A loro mano perì l’ambasciatore russo in Persia, Aleksander Griboedov, mentre in epoca sovietica le bande basmache vicino Bukhara e Termez massacrarono completamente interi villaggi, i cui abitanti avevano adottato il nuovo potere. Gli americani comparvero in Arabia Saudita all’inizio degli anni trenta del secolo scorso, immediatamente dopo la scoperta della presenza in loco di giacimenti petroliferi. Già nel Maggio del 1933 fu formata la “ARAMCO”, l’industria petrolifera arabo-americana, organizzata dal consorzio “Standard oil of California”. Da questo momento in poi cominciò una stretta collaborazione economica tra Washington e Riad, destinata presto a diventare politica. Dopo la seconda guerra mondiale gli USA erano molto disturbati dalla crescita di influenza dell’URSS negli stati musulmani. I presidenti dell’Egitto e della Siria Gamal Abd el-Nasser e Hafiz Assad, così come il leader libico Muhammar Gheddafi, salirono al potere sotto gli slogan di avvicinamento all’URSS. Temendo il suo ulteriore rafforzamento nel Medio Oriente ed in NordAfrica, alla Casa Bianca decisero di contrapporre all’”attacco del comunismo” il fondamentalismo islamico. Nulla di dissimile era avvenuto in Europa nella metà del sedicesimo secolo, quando i protestanti, loro stessi inconsapevoli, rafforzarono il potere dei sultani turchi. L’inizio delle guerre di religione in Europa non permise loro di contenere l’espansione ottomana. Le novantacinque tesi, affisse da Martin Lutero sulla porta della chiesa del castello di Wittenberg, che sembravano inizialmente dispute teologiche senza senso, divennero la base della dottrina protestante, che scosse l’unità della Chiesa cattolica e, infine, rimodellò la mappa politica dell’Europa. È improbabile che i protestanti sarebbero stati in grado di far fronte ad un compito così arduo,se non fosse stato per l’appoggio palese ed occulto dei sultani ottomani,eterni nemici degli Asburgo e dei governanti del Sacro Romano Impero, che si mantenevano fedeli al cattolicesimo tradizionale ed avevano interessigeopolitici nel Mediterraneo, nei Balcani ed in Europa centrale. Poco esperto di politica, il monaco agostiniano Martin Lutero credeva sinceramente che i musulmani apparsi improvvisamente nella sua vita fossero stati inviati da Dio per distruggere l’odiato Papa. Tuttavia, il credo personale è una cosa, mentrei reali equilibri politici, economici e militari, tutt’altra Nei Paesi Bassi, adesempio, i sostenitori di Lutero, dopo alcune consistenti disfatte subite a mano degli eserciti cattolici, chiesero aiuto ad Istanbul. Lì non lo rifiutarono e proposero un piano di fornitura di armi e di alcune unità mercenarie, costituite da europei che si trovavano in prigionia turca ed avevano ricevuto addestramento militare dai giannizzeri. Inoltre, il Sultano stesso scrisse personalmente una lettera ai protestanti, conosciuta come”Missiva ai luterani”. Insieme all’offerta di aiuto a mezzo di truppe”alla prima richiesta dei combattenti in nome di Dio”, Solimano affermava che si sentiva lui stesso “religiosamente vicino” ai protestanti considera, poiché essi “non adorano gli idoli, credono in un unico Dio e combattono contro il Papa e l’imperatore”. La lettera ispirò talmente i “combattenti cristiani per la fede”, che essi fecero propria la bandiera rossa turca con la mezzaluna, su cui, stilizzando la scrittura araba,scrissero il loro motto: “Meglio i turchi che il Papa”.

Ma torniamo ai giorni nostri. Ora, la parte consistente dell’aiuto ai “combattenti per la fede” musulmani è responsabilità degli USA ed dell’Arabia Saudita. I sauditi procurano i soldi, mentre gli americani si occupano delle operazioni sovversive e tutto ciò che è ad esse connesso. Questa divisione del lavoro, creata più di mezzo secolo fa,si è rivelata efficace ed è in uso ancora adesso. In realtà, oggi, del finanziamento e dell’organizzazione di operazioni sovversive, l’Arabia Saudita e gli Stati Uniti si occupano assieme. Dunque l’affermazione che l’appiccicosa e velenosa ragnatela della jihad diffusa in tutto il mondo sia un risultato della loro collaborazione non è affatto un’esagerazione, ma una mera constatazione di fatti evidenti.

Michail Popenko

(Fine prima parte continua)

da appunti.ru

Il giornalista e scrittore Michail Popenko (09/07/1952) vive a Novoaltajsk, nel Territorio dell’Altai, una regione situata nel sud della Siberia occidentale.

Laureato presso la Facoltà di Storia, dell’Università Statale dell’Altai e presso Facoltà di Giornalismo dell’Accademia delle Scienze Sociali di Novosibirsk, è membro del sindacato dei giornalisti. Scrive di politica, storia e storia delle religioni. Collabora regolarmente alla rivista di approfondimento “Politobrazovanie” (Educazione politica). È cattolico, membro del Consiglio della Parrocchia cattolica dell’Esaltazione della Santa Croce di Novoaltajsk.

Nel 2005, esce il suo romanzo storico “Il mantello del crociato: storia di un cavaliere, che non è riuscito a diventare monaco”. Il libro racconta della guerra di religione tra i sostenitori del papa Innocenzo III ed i catari eretici nel sud della Francia nei primi anni del XIII secolo, così come il rapporto tra il cristianesimo e l’islam di allora. La prefazione al romanzo è stata scritta da  sacerdoti cattolici e musulmani, che di per sé è un fatto molto raro.

“Il mantello del crociato ” è l’unica opera storica in Russia, che è stata scritta sotto l’influenza di sermoni e discorsi di Papa Benedetto XVI, con una citazione del quale comincia il romanzo. Diversi anni fa, una suora italiana, Assunta Scapelli, che  vive ora a Novoaltajsk, su richiesta dell’autore ha presentato il libro alla Biblioteca Vaticana. “Il mantello del crociato ” è stato tradotto in francese e riconosciuto miglior libro di narrativa sulla storia del cristianesimo al concorso internazionale d’arte” Vele di Gloria”, che si è tenuto a Francoforte nel mese di novembre 2014. Sta ora lavorando sul seguito del libro, intitolato “La volontà del profeta persiano”, che racconta la storia della ricerca dell’immortalità di monaci cattolici e musulmani nelle montagne del Pamir a metà del XIII secolo.

Articoli e storie di Michael Popenko sono pubblicati in Tagikistan ed in Iran.

Anna Balestrieri (17/06/1987) si è diplomata al liceo classico “Arnaldo” di Brescia, dove per un anno ha rivestito la carica di rappresentante d’istituto. Ha poi frequentato la facoltà di Lingue e letterature straniere di Ca’ Foscari  (Venezia), dove ha conseguito nel 2010 la laurea triennale, avendo il russo e l’inglese come lingue principali, il francese e lo spagnolo come secondarie. In questo periodo ha frequentato, grazie ad una borsa di studio Erasmus per l’anno accademico 2008-2009, l’università di Cardiff (Galles).

Ha scelto poi il russo come lingua di approfondimento nella laurea specialistica, soggiornando a più riprese a Mosca (Università Lomonosov e Accademia Strogonov). La tesi ha riguardato l’emigrazione russa in Israele negli anni ’90 e le pubblicazioni in lingua russa nate in quegli anni. Per approfondire il tema ha soggiornato in Israele dall’aprile al giugno 2012, focalizzando l’attenzione sulla rivista satirica “Beseder”, testimone ironica e critica della temperie sociale e culturale di quegli anni. Nel luglio 2014 ha conseguito la laurea magistrale  (110/110 e lode).

Frequenta attualmente corsi di letteratura russa e di lingua tedesca presso l’università dell’Altaj (anno accademico 2014-2015) grazie ad una borsa di studio del Ministero della Cultura Russo. Svolge nel contempo attività di insegnamento (italiano,inglese e francese) a studenti russi.

Anna Balestrieri ha maturato anche una significativa esperienza di lavoro operando dal 2012 al 2014 presso un’azienda bresciana (Zato) addetta al trattamento di materiali ferrosi con un importante interscambio internazionale. Nel suo ruolo di area manager addetta al Customer Care ha intrattenuto rapporti con le aziende del settore recandosi spesso all’estero (in Russia e non) per problematiche tecnico-commerciali o per manifestazioni fieristiche.

Nel tempo libero Anna partecipa attivamente alle iniziative dell’Associazione “Libera”, impegnata nella lotta contro le mafie. Fa parte infine di un coro gospel. Ama viaggiare e conoscere culture diverse.

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