Wahabbismo e repressione popolare in Nigeria
dalla rubrica “Alzo Zero” del giornale “Italia Sociale” in data 5 Dicembre 2016
IL CONTESTO NIGERIANO
Uno dei casi in cui questo si sta ripetendo è la Nigeria. Questo paese è diviso tra cristiani (48 %) e Musulmani (50 %). La tradizione musulmana nigeriana è soprattutto sunnita, mentre la maggioranza dei cristiani nigeriani è protestante, anche se va crescendo la componente cattolica.
Stante anche la divisione geografica delle due confessioni (islamici a nord, cristiani a Sud) la “sahelizzazione” dello spazio islamico settentrionale, a stretto contatto con le polveriere subsahariane, ha creato molte frizioni per la convivenza interreligiosa, solo parzialmente mitigata da una struttura federale della repubblica.
La storia della radicalità islamica in Nigeria inizia da lontano. Il primo califfato con una certa indipendenza effettiva nel controllo territoriale fu il califfato di Sokoto nel 1809, frutto dell’opera di proselitismo di Shehu Uthman Dan Fuduye (1754 – 1817).
Shehu Uthman Dan Fuduye, profondamente colpito dalla poca religiosità dei sovrani africani del tempo, decise di iniziare un’opera di rinnovamento religioso e contemporaneamente politico, lanciando, de facto, una Jihad rivoluzionaria contro i poteri decadenti del tempo. Egli si preoccupò di scrivere molto: il corpus di scritti[1], molto vasto, e’ diventato un classico dell’islamismo politico nigeriano, e ancor oggi viene studiato e riletto, tanto che molti centrali in tali scritti come lo studio individuale, la capacità autonoma di discernimento e la stretta correlazione tra verbo coranico e giustizia sociale militante sono patrimonio ideologico e politico di tutti i movimenti islamici nigeriani, jihadisti o meno.
La costruzione del Califfato di Sokoto avvenne mediante una serie di avventure militari, che culminarono nella creazione di un califfato che si estendeva dal Camerun fino all’attuale Burkina Faso. La profonda attenzione riservata da Fuduye alla educazione, anche femminile, la buona gestione militare e un organizzazione già federale, che si articolava su molti califfati autonomi che riconoscevano il potere di Fuduye e della sua dinastia crearono la prima vera esperienza islamica radicale in terra poi nigeriana.
Nel corso del XX Secolo, con la progressiva ingerenza inglese sull’area, risoltasi nel ventennio ampio tra il 1861 (acquisizione da parte inglese della città di Lagos) ed il 1885, quando gli inglesi si videro riconoscere diplomaticamente la Nigeria attuale dentro la loro sfera di influenza africana. Ben lungi dall’indebolire il radicamento dell’Islam soprattutto nel Nord, le necessità coloniali inglesi foraggiarono l’islamizzazione dell’area:
“Tra i motivi dell’esplosione di conversioni può essere annoverato un certo favore con cui l’autorità coloniale vedeva le tradizioni dei musulmani. In particolare, gli inglesi preferirono adottare la legge islamica perchè di più facile comprensione e applicazione per gli ufficiali coloniali, che quindi iniziarono a relazionarsi in modo quasi esclusivo con i quadri musulmani, cooptando inoltre le milizie islamiche nelle truppe coloniali regolari”[2]
[su_heading style=”modern-2-blue” size=”21″]Abubakr Gumi: il radicalismo sunnita[/su_heading]
Il mix di una società rurale con pochi grandi centri, una forte islamizzazione,la compresenza di molte correnti diverse ed in parziale competizione (Tiganiyya,Ahmadiyya,Islamiyya) e la frammentazione etnica portarono ad una grande conflittualità sociale, che venne interpretata anche in chiave “reazionaria” da alcuni interpreti islamici, che ritenevano l’influsso inglese e la frammentazione politica della società nigeriana la causa e l’effetto della povertà in cui versava la Nigeria e l’immoralità religiosa che pervadeva gli Emiri del Nord nigeriano, formalmente indipendenti ma “difesi” dietro alle ingerenze inglesi.Il più brillante di questi ulema fiori’ intorno alla fine dell’era coloniale: Abubakr Gumi. Nato nel 1922, egli si convinse ben presto che solo un radicale ritorno all’Islam primigeno puro che aveva animato l’avventura di Sokoto poteva salvare la società nigeriana. Contro questo progetto stavano,a suo avviso,sia i padroni inglesi che le confraternite Sufi, responsabili, a detta di Gumi, dell’introduzione nella società nigeriana di distorsioni e di innovazioni pericolose. In effetti, la lotta contro la Bidah (in arabo innovazione, cambiamento, anche di cose sacre: spesso con sfumature dispregiative) portata avanti da Gumi lo accomuna a molti altri riformatori radicali del XX secolo islamico, con la loro prospettiva di un ritorno integrale alla purezza islamica. Così riassume il pensiero di Gumi, in merito, un accademico islamico nigeriano:
“Gumi stands ad the most eminent reformist muslism scholar of his generation. One principle underlying his religios writings in his insistence on adherence to the pristine teachings of Islam. In order to promote “pristine” Islam, he wrote and he engaged in debates against the traditional scholars who he believed were promoting innovations”[3]
e ancora:
“The major preoccupation of Sheikh Gumi was combating innovations”[3]
La parabola di Gumi assomiglia, come già detto, a quello di altri studiosi, in ultima istanza, salafiti. Ben presto egli diventa il punto di riferimento dei musulmani “integrali” nigeriani. Non solo: egli, grazia alla grande vicinanza con il governatore di alcune provincie settentrionali Ahmadu Bello (figura controversa ma interessata all’innovazione in senso islamico del paese) costruisce una discreta influenza politica, che utilizza soprattutto come moltiplicatore di forza per la sua agenda di rigorismo religioso.
La morte di Ahmadu Bello (15 Gennaio 1966) e le successive turbolenze politiche porteranno al governo in Nigeria un esecutivo militare, espressione di un potere militare che, non solo in Nigeria, premeva per ottenere la supervisione del processo decisionale.
Proprio per la improvvisa mancanza di referenti politici, Abubakr Gumi cambia strategia nell’approcciarsi alla politica nigeriana: egli riflette sulla importanza di un movimento islamico militante di reinterpretazione ortodossa dell’Islam che possa da un lato respingere sul terreno le narrazioni concilianti dei sufi nigeriani e dall’altra costruire una base socio-ideologica perfetta per future riforme in senso islamico.
Riprende così coscientemente il binomio dinamismo/radicalismo dell’esperienza di Sokoto e degli scritti di Fuduye. Ed è qui che inizia anche la storia del rapporto con l’Arabia Saudita del radicalismo sunnita nigeriano.
In quegli anni infatti Gumi, cercando un appoggio per i suoi progetti incontra le necessità di Soft Power dell’ Arabia Saudita, allora guidata da Re Faysal (1906-1975).
Proprio col regno di Faysal si apre in Arabia Saudita la stagione del supporto a tutte quelle esperienze religiose e politiche che aiutassero il mondo islamico a contrastare comunismo, laicismo e l’influenza sovietica. Nell’Africa del tempo il sunnismo politico era stretto da una ondata di governi socialisti post-coloniali (compresi il vicino Ghana con la presidenza di Nkame Nkhruma ed in seguito le vicine esperienze sudanesi e burkinabè) che avevano scalzato i tradizionali centri di potere conservatori e islamicamente orientati e li avevano sostituiti con embrioni di governi liberali/laici o addirittura socialisti. Anche se la giunta militare nigeriana era saldamente nell’orbita americana, rimaneva il problema di un movimento comunista che, seppur disciolto a suon di repressione dai militari, rimaneva in crescita.
La penetrazione dell’islamismo radicale dalla metà degli anni ’60 obbediva a dinamiche nazionali (resistenza locale al governo militare e progetto di islamizzazione della vita comunitaria nigeriana), regionali (opposizione alla calvalcata delle forze panafricaniste e comuniste/socialiste) e geopolitiche (utilizzo dell’influenza salafita e wahabbita per “demagnetizzare” le masse africane ed evitare switchin senso filosovietico).
Così riassume il rapporto tra sauditi e Gumi un giornalista americano sul Washington Post:
“There is no question that Saudi Arabia had significant influence over the development of Salafism in northern Nigeria. One of the key movers in early, proto-Salafist activism in northern Nigeria was Abubakar Gumi, a senior judge and skilled preacher who supervised the creation of the mass-based, Salafist-leaning Izala movement in 1978. Gumi had a lifelong relationship with Saudi Arabia, representing northern Nigeria at meetings of the Saudi-founded Muslim World League in the 1960s, serving on the consultative council of Saudi Arabia’s Islamic University of Medina in the 1970s and receiving the King Faisal Prize in 1987. Gumi and Izala received significant financial support from Saudi Arabia as well, which helped Izala to mount a serious campaign against Sufism, a form of organized Islamic mysticism that was, and remains, widespread in northern Nigeria”[4]
[su_heading style=”modern-2-blue” size=”21″] La Jamat Izalat al Bid’a Wa Iqamat as Sunna e la lotta contro il sufismo[/su_heading]
Il lungo lavoro di Gumi nella delegittimazione dell’ascetismo e della elasticità rituale dei Sufi avrà come sbocco razionale e conseguente la fondazione di una associazione religiosa adibita alla formazione di sapienti preparati a dibattere (e smontare) le pratiche sufi e alla lotta politica alle stesse, nello specifico la “Jamat Izalat al Bid’a Wa Iqamat as Sunna” (Società per il respingimento delle storture e il ristabilimento della Tradizione).
La Izala altro non è, si può dire, che la naturale evoluzione della grammatica reazionario/movimentista radicale di Gumi e la attualizzazione della lezione militante del Califfato di Sokoto e del suo fondatore. Come per molte altre esperienze socialmente reazionarie in ambito islamico il ventennio ’60/’80 rappresenta il momento in cui le idee di opposizione passiva alla innovazione e alla erosione di consenso alla religione tradizionale e conservatrice si incarnano in un impalcatura “di contrattacco”, che si fonde con elementi propri dell’agire politico laico: manifestazioni, strutture fisse, picchettaggi, atti di violenza mirata, processi di infiltrazione delle amministrazioni locali.Il movimento di Sokoto, ridigerito in chiave del tutto conservatrice da Gumi, si sostanzia quindi in un partito/movimento articolato dal nuovo valore di “filosofia combattente”. Nelle priorità religiose del movimento Izala trovano posto molte rivendicazioni di quasi tutti gli altri gruppi antisufisti e radicali, di matrice sunnita, nel mondo islamico: opposizione a Bida’a,Shirk, e riaffermazione del Tawhid come unico criterio di distinzione eresiologica per la definizione di chi è “musulmano” da chi non lo è.
Queste caratteristiche sono fondamentalmente le preoccupazioni teologiche di Abd’al Wahhab (1703 – 1784), riformatore religioso della penisola arabica, e che la Izala, attraverso la mediazione di Gumi, sia difatto un movimento wahhabita è opinione accettata:
“[…] Popularly know as Izala, this movement’s stated purpose was Tajdid (reform), inspired by Usman Dan Fodio’s Nineteenth-century achievements and Saudi wahhabism […]”[5]
Questi elementi lasciano quindi intendere che, con la Izala, ci troviamo di fronte al secondo nodo di rottura con la tradizione reazionaria sunnita comune: prima la rivisitazione di Gumi nei contenuti dell’attivismo della esperienza di Sokoto, e dopo la sua “Militantizzazione” e “radicalizzazione operativa e politica”, ma anche religiosa, con la nascita della Izala
Ma rispetto ad altri quadranti georeligiosi, al potere in Nigeria non c’era alcuna forza di governo capace di sopprimere questi istinti. Mentre il nazionalismo ed il socialismo dei paesi arabi, o le loro necessità di equilibrio interno avevano mantenuto gli estremisti fuori da posizioni con vista-influenza, in Nigeria la giunta militare al potere, cooptando gli elementi meno intransigenti, creerà quella sorta di “atmosfera di impunità” che permetterà il perpetuarsi di almeno due generazioni di estremisti.
Preoccupati soprattutto di garantire l’unità nazionale, i militari della giunta concepirono di “scindere” la base solamente reazionaria e non socialmente impegnata del movimento da quella maggiormente volta allo stragismo e alla militarizzazione:
“After the riot of Kafanchan, northern Nigeria muslims organized a dimostration in Kaduna […].
According to some estimates, this demonstration brought together close to two millions Muslims of all persuasions and convinced the military authorities that Islam could be a strong base of mobilization. From that moment, an effective policy for controlling religious movements was initiated”[6]
Questa operazione “chirurgica” di distacco avrà, come risultato, quello di radicalizzare in senso antinazionale ed antistatale tali formazioni, che pescheranno soprattutto nela seconda metà degli ’90 militanti ed appoggio negli strati sociali esclusi dalla rapida industrializzazione difforme nigeriana[7]
[su_heading style=”modern-2-blue” size=”21″]”L’industrializzazione difforme” ed il marketing reazionario saudita[/su_heading]
La progressiva radicalizzazione dell’Islam Sunnita si è accompagnata alla crescita esponenziale del PIL Nigeriano, e quindi alla contestuale distruzione della società tradizionale, mettendo alla porta delle grandi metropoli come Lagos decine di milioni di disoccupati e di nullatenenti.
Queste grandi masse si sono trovate spuntate di qualsiasi arma o coscienza di classe. Spesso già sfruttati nelle loro zone di origine, se non rivolti già all’emigrazione, essi finivano nelle braccia del radicalismo sunnita: se difatti Boko Haram (agenzia saudita) pesca soprattutto nelle zone rurali, la propaganda antisociale e falsamente rivoluzionaria wahabbita penetra anche nel lumpenproletariat delle metropoli nigeriane.
In particolare con la seconda presidenza Buhari i legami tra Nigeria ed Arabia Saudita si sono stretti più di quanto non avessero fatto precedentemente. Buhari in particolare ha più volte ricordato come la Nigeria dovrebbe seguire il “modello saudita” di diversificazione economica oltre il petrolio. In un incontro con gli ambasciatori di Sudan,Turchia ed appunto Arabia Saudita Muhammadu Buhari ha ricordato come:
“As oil exporting countries facing similar challenges due to the down turn in the international price of crude oil, we should be working closer together”[8]
e anche:
“Saudi Arabia has done excellently in manufacturing, building of infrastructure and exploration of solid minerals and I believe that greater bilateral cooperation between us in this regard will be mutually beneficial”[8]
ed inoltre l’articolista ricorda come:
“He added that in keeping with his commitment to the accelerated development of Nigeria’s non-oil sector, the Federal Government will ensure that all pending agreements on trade and economic relations with other countries are speedily concluded and signed”[8]
D’altronde, Buhari non avrebbe motivo di non fare affari coi sauditi: l’interscambio tra i due paesi è in crescita costante da almeno una decina di anni, e alla Nigeria servono i capitali che i sauditi possono darli. In cambio, i sauditi si comprano fette intere dell’economia nigeriana, in crescita costante e che promette un tasso costante di crescita del 1,5 % annuo.
Buhari, salito al potere con un programma di snellimento della burocrazia e promesse di lotta contro Boko Haram, si ritrova invece invischiato in un rapporto malato con le forze economiche wahhabite: in cambio di un rapporto economico vampiresco l’Arabia Saudita chiede la testa dell’unità nigeriana e infiltra pesantemente l’Islam locale.
La radicalizzazione “reazionaria” dei ceti diseredati è prerogativa di casa Saud: come in tutto il Medio Oriente l’arma della “wahhabizzazione” è servita a spostare milioni di musulmani dalla lotta al capitalismo e alle ingerenze esterne alla lotta “al comunisti e agli sciiti”, come recitava un video di un militante dell’ISIS (alleato di Boko Haram) che calpestava una bandiera palestinese.
Il wahhabbismo si costituisce, propriamente, come “ideologia demagnetizzante”.
Ancora una volta i legami economici definiscono quelli politici, e viceversa: il progressivo avvolgimento della presidenza Buhari nella narrazione wahabbita e saudita ha motivazioni economiche ma porta la Nigeria nella coalizione antiraniana saudita. Negli ultimi due anni Buhari ha difatti espresso il proprio appoggio esterno alla missione saudita in Yemen[9], aderendo di fatto alla coalizione saudita contro il terrorismo, di cui la stessa Ryadh è complice.
In tutto questo, il ruolo di Ryadh è propriamente di “subimperialismo”. L’infiltrazione economica e ideologica saudita nel tessuto politico e sociale nigeriano ha una funzione disgregante: come negli anni ’60/’70 la convergenza tattica tra il panislamismo di Re Fadh e gli interessi imperiali americani ruotava intorno all’impedire la nascita di regimi filosovietici in Africa, adesso ruota attorno al blocco di qualsiasi rafforzamento di esperienze realmente antimperialiste e all’impedire che grandi economie africane si sottraggano alla egemonia economica euroamericana e si avvicinino al fronte multipolarista.
Questa agenda si riflette quindi nella balcanizzazione della Nigeria: agenda già portata brillantemente avanti in Libia, Mali e in corso di conclusione in Sudan,Mauritania e Niger:
“A divided and warring Nigeria ultimately serves the interests of the United States as cited by Zbigniew Brzezinski, top adviser to Barack Obama and leading US foreign policy theoretician. Brzezinski, who co-founded the Trilateral Commission and openly credits himself with the creation of the Afghan Mujahideen [24], has influenced policy that encourages the division of existing nation-states by the succession and emergence of microstates, based on all cultural, ethnic and religious peculiarities. Author and historian Dr. Webster G. Tarpley writes, “For Africa, Brzezinski recommends the so-called ‘micro-nationalities’ concept, which means that national boundaries established in the 19th century should be swept aside in favor of a crazy quilt of petty tribal entities, each one so small that it could not hope to resist even a medium-sized oil multinational”[10]
Anche in Nigeria, quindi, le elites corrotte locali (rappresentate da Buhari e dai pochi che guadagnano dal depauperamento del paese) si alleano con paesi investitori (Arabia Saudita), a loro volta agenzie di cambio capitalistico esterne (Stati Uniti d’America), i quali sfruttano una narrazione reazionaria (il wahhabismo) per dividere le masse diseredate e “balcanizzare” porzioni continentali ad alto rendimento economico.
[su_heading style=”modern-2-blue” size=”21″]La cartina al tornasole dell’antisciismo[/su_heading]
Come nel resto del mondo musulmano, una caratteristica delle narrazioni wahhabbite e salafite è un radicale e velenoso antisciismo. Se in Medioriente questo ha voluto dire, di fatto, la rottura di interi stati e nazionalisti connessi, in polemica con la preminenza di sciiti (e cristiani) nelle posizioni di governo, in Nigeria la tradizione antisciita è pienamente condivisa dal governo e assume la militanza degli estremisti wahhabiti soprattutto per il lavoro sporco.
Gli sciiti in Nigeria sono una esigue minoranza, tuttavia molto combattiva. Nel 1979, ispirato dalla rivoluzione iraniana e dalla predicazione di Khomeini un giovane studente di religione a Zaria fonda il Islamic Movement (IMN), movimento di rinnovamento religioso di carattere prevalentemente sciita ma aperto anche a religiosi e semplici sunniti.
Il IMN ha quindi una forte carica antimperialista derivatagli dalla ispirazione khomeinista. In particolare, lo IMN lega strettamente temi sociali e il rinnovamento religioso, ponendo in essere una sfida ideologica tanto al capitalismo nigeriano quanto alla contronarrazione reazionaria di Izala e di Boko Haram.
Come riconosce anche Jacob Glenn, stilando la scheda del IMN per un think tank di West Point:
“According to one scholar’s definition, Khomeinism is “a form of Third World political populism—a radical but pragmatic middle-class movement that strives to enter, rather than reject, the modern age…a militant, sometimes contradictory, political ideology that focuses not on issues of scripture and theology but on the immediate political, social, and economic grievances of workers and the middle class[…]”[11]
La predicazione di Zakzaki, su posizioni internazionalmente filoiraniane e antisioniste costituisce un oggettivo pericolo tanto per i capitalisti locali quanto per i centri di potere imperialisti in America, Israele e Arabia Saudita.
Tanto più il legame tra Arabia Saudita (alleata di fatto di Israele in Siria) e gli Stati Uniti con la Nigeria si stringeva, tanto più il movimento islamico di Ibrahim Zakzaki risultava pericoloso.
La eterodirezione della repressione antisciita è testimoniata dalla telefonata che Buhari avrebbe ricevuto da Ryadh dopo il massacro di Zaria, nel Nord del paese, occorso itra il 12 e 14 Dicembre 2015, che ha lasciato in terra,tra feriti e morti, più di un centinaio di persone[12]:
“The first person to call the nigerian president Buhari after the inhuman slaughter in Zaria was the Saudi king Salman who congratulated Buhari for a job well done and called the massacre as a part of war against terrorism”[13]
Indicativo che il massacro sia avvenuto dopo una manifestazione degli sciiti nigeriani in difesa della causa palestinese, mentre, come abbiamo visto, i sunniti radicalizzati in senso filoamericano si pongono, di fatto, contro le rivendicazioni palestinesi, anche in modo evidente.
Studiare l’opposizione del governo nigeriano, filoamericano ed amico dei sauditi, alla minoranza sciita, ci da una idea più precisa di cosa voglia dire la lotta delle classi dominanti per egemonizzare una narrazione ideologica e disinnescare potenziali discorsi rivoluzionari, in senso sociale.
Come i regimi militari nella seconda metà del Novecento hanno attaccato e cercato di “disarmare” la gente quando essa si rivolgeva al marxismo, adesso che le rivendicazioni di giustizia ed indipendenza reale sono esposte sotto un linguaggio religioso (ben diverso, tuttavia, dalla semplice querelle “sunniti contro sciiti”) anche la loro repressione diventa religiosa, anche se sottende sempre interessi imperialistici e/o egemonici.
[1] Su questo Link http://www.webpulaaku.net/ubf/index.html una lista approssimativa degli scritti di Uthman Dan Fuduye e del figlio Muhammad Bello
[2] Gerardo Fortuna, E pluribus,multi: il caleidoscopio dei musulmani in Nigeria”,uscito su Limes, “Africa,il nostro futuro” del Dicembre 2015
[3] Huzaifa Aliyu Jangebe, “Islamic reform in Nigeria: the contribution of Sheik Abubakr Mahmud Gumi”uscito su Internation journal of humanities and social science il 9 Settembre 2015
[4] Alan Thurston, “How far does Saudi Arabia’s influence go? Look at Nigeria” uscito su “The Washington Post” il 31/10/2016
[5] Conerly Casey, “Mediated hostility, generation, and victimhood in Northern Nigeria”, uscito su “Regional and Ethnic conflicts” di Judy Carter, George Irani, Vamik D. Volkan
[6] Martin Emil Marty, Scott Appleby “Accounting for foundamentalism: the dynamic character of movements”, 1994
[7] E’ precisamente la tesi di Abdulkarim Mohammed, studioso di Boko Haram (qui un suo articolo: http://www.irinnews.org/2011/07/11/understanding-nigeria%E2%80%99s-boko-haram-radicals)
[8] http://economicconfidential.com/2015/08/diversification-nigeria-to-partner-saudi-arabia/
[9] http://dailypost.ng/2016/07/17/why-i-put-nigeria-in-saudi-led-coalition-against-isis-buhari/
[10] Nile Bowie, “CIA Covert Ops in Nigeria: fertile ground for US sponsorized balkanization”,uscito su Global Research il 25 Gennaio 2015
[11] Jacob Glenn, “The Islamic Movement and the iranian intelligence activities in Nigeria”, uscito su Combating terrorism center il 24 Ottobre 2013
[12] http://www.ihrc.org.uk/publications/reports/11219-nigeria-report-the-zaria-massacres-and-the-role-of-the-military
[13] Aliyu Suleiman, “Saudi Arabia, Yemen, Zaria Massacre & Nigerian president Buhari”, uscito su Islamic Movement in Nigeria il 18 Maggio 2016