A cosa serve la politica di rigore se soffoca l’economia reale?

di Patrizio Ricci

Il Premio Nobel per l’economia Paul Krugman è intervenuto sul New York Times per commentare l’articolo apparso sabato scorso sul Times “Suicidi da crisi economica”. Si parlava della Grecia, che, come sappiamo, pur avendo fatto esattamente tutto ciò che è stato chiesto dalla Commissione Europea e dalla BCE, è ugualmente precipitata in una voragine ancora più profonda di debito e di azzeramento delle tutele sociali: il numero dei cittadini greci ritrovatisi sul lastrico è aumentato e così purtroppo i casi di suicidio. Questi episodi, per quanto drammatici, per Krugman sono un aspetto di un fenomeno più ampio causato dall’Europa, in particolare per “la determinazione dei leader Europei a un suicidio economico del continente nel suo complesso”. L’economista su di esso dà un giudizio chiaro: “Solo pochi mesi fa avevo qualche speranza per l’Europa”, visto che finalmente la BCE “era intervenuta ad aiutare direttamente le banche e indirettamente i governi”. Tuttavia non sapevamo “se questa azione coraggiosa e efficace rappresentava l’inizio di un ripensamento più ampio, se i leader Europei avrebbero utilizzato questo respiro concesso dalla banca per riconsiderare in primo luogo le questioni politiche che avevano portato la situazione a precipitare, ma non l’hanno fatto”. E prosegue: “Invece, hanno raddoppiato le loro idee e le politiche fallimentari. E sta diventando sempre più difficile credere che qualcosa li possa indurre a cambiare rotta”.

Quale sia la cura in corso d’opera lo sappiamo: “Le economie dei paesi periferici, soprattutto la Spagna, sono a pezzi, ma nonostante questo si continua a chiedere loro di fare ulteriori sacrifici, dunque di peggiorare la loro situazione con le misure di austerità in corso, così come comandato dalla Germania e dalla Bce”. Sebbene Krugman nomini solo la Spagna, la nostra situazione è poco dissimile: le 146.000 imprese italiane chiuse dall’inizio dell’anno sono una prova più che eloquente… di fronte a questi dati la ricetta messa in atto dai governi è una più pesante politica fiscale che sta strangolando le imprese e le famiglie. Su queste evidenze, senza troppi giri di parole il premio Nobel per l’economia dice che questa politica è da folli: “I tassi sono ancora in rialzo e, come la Grecia ha mostrato, le misure di austerity non migliorano le dinamiche dei debiti”.

Intanto, saranno i continui spot sull’evasione o un certo senso di colpa per questa situazione, si torna a pensare ad un modo di vivere più sobrio, ma si ripensa anche allo “scordatevi il posto fisso” della Fornero. Sarà per questo che quello che dice il prof. Krugman solleva un po’. Sì, quando dice che l’attuale recessione non dipende “dalle favole sulla moralità che sono così popolari tra i funzionari europei”, e prendendo ad esempio il caso della Spagna, ora epicentro della crisi, scrive: “Non era un paese che sperperava il proprio denaro pubblico. Alla vigilia della crisi, l’economia era caratterizzata, infatti, da un basso livello del debito e da un surplus di bilancio; aveva anche un enorme bolla sul mercato immobiliare, bolla in parte resa possibile grazie agli enormi prestiti che le banche tedesche erogavano alle loro controparti. Quando la bolla esplose, l’economia spagnola si prosciugò”. Con la mancanza di liquidità, l’aumento della fiscalità non risolve le cause; d’altronde sono anni che in Europa c’è una politica di austerità, ma questo ha solo peggiorato le cose: “Questi programmi spingono le economie depresse ancor più nella depressione”, spiega ancora l’economista.
Non possiamo negare che è proprio quello che stiamo sperimentando: al di là degli auspici, siamo preda dei mercati; al di là dei sacrifici, più determinante sembra la fiducia che destiamo negli speculatori; nonostante le rinunce, l’uscita dalla crisi sembra essere determinata non solo da un percorso oggettivo di risanamento pubblico, ma soprattutto dalla volubilità dei mercati, che lucrano indifferentemente sia sui crolli delle borse sia sui brevi rialzi. Le società speculative spostano enormi capitali in ogni angolo del globo e influenzano le politiche e la vita reale (in un giorno si brucia tanto denaro quanto l’equivalente di una manovra finanziaria di un governo). Ma nulla è stato fatto per rimuovere le vere radici del problema, anzi si è aggravata la situazione elevando la fiscalità e aumentando così la crisi di liquidità.

L’alternativa di Krugman al suicidio economico, la condizione essenziale per il recupero “sarebbe l’uscita dall’euro, e il ritorno alle valute nazionali”, e se questo per molti è inconcepibile, “proseguire sulla strada attuale, imponendo sempre più severe austerità a paesi che stanno già soffrendo una disoccupazione da grande depressione, è veramente inconcepibile”. C’è estremo bisogno di politiche monetarie più espansive, di accettare un’inflazione leggermente più elevata, di mettere in atto aiuti da parte della Germania verso i paesi più deboli, ma aggiunge che “anche con tali politiche, le nazioni periferiche si troverebbero ad affrontare anni di tempi duri, ma almeno ci sarebbe qualche speranza di ripresa”.

E’ un’ipotesi che i nostri governi sembrano non aver preso neanche in considerazione. Per questo la conclusione di Krugman è scettica sulla volontà dei leader europei di mettere in atto un reale mutamento di strategia; i principali funzionari presso la banca centrale non vanno infatti in questa direzione: “È come se stessero guidando una nave contro una scogliera”.

 

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