La degenerazione antropologica fa attecchire meglio ogni virus

Un articolo su Ereticamente  contrappone l’uomo nuovo di D’Annunzio con la situazione odierna, contrassegnata da un isterismo di massa – dove la salute è messa al primo posto rispetto a tutte le altre libertà – e mai per nessun motivo vale la pena di essere messa a rischio.

La situazione attuale è contrassegnata da una deriva liberticida e nello stesso tempo da una tanto fasulla quanto irraggiungibile prevenzione sanitaria, con la riduzione dell’essere umano a cavia su cui applicare i protocolli sanitari.

Ritengo particolarmente vera la descrizione che viene fatta della situazione, che è la seguente:

[su_section border=”3px double #ffe01c” margin=”20px 0″]Se c’è, invece, un’epoca in cui la degenerazione antropologica di fine ciclo cosmico ha preso piede questa è proprio quella che stiamo vivendo, con la sua inarrestabile deriva liberticida in nome di una tanto fasulla quanto irraggiungibile prevenzione sanitaria  E se è esistito un pensatore che ha previsto le tendenze disumanizzanti dell’epoca attuale questo è stato Nietzsche, il filosofo dell’antimodernità, nella prefazione al suo capolavoro “Così parlo Zarathustra”,  profetizzò l’avvento di un prototipo di umanità che descrisse in termini molto plastici: “Prossimo è il tempo del più spregevole tra gli uomini, che non saprà neanche più disprezzare se stesso. Ecco, io vi mostro l’Ultimo uomo. […]Nessun pastore: un sol gregge! Ognuno vuole la stessa cosa, ognuno è la stessa cosa: chi la pensa diversamente ripara volontario al manicomio”.

Qui Nietzsche sembra profetizzare l’avvento dell’egualitarismo e del Pensiero unico inventati dalle liberaldemocrazie occidentali, che non ammettono alcuna forma di dissenso. Chi si discosta dal pensiero conformistico dell’umanità-gregge è considerato un folle da emarginare ed isolare socialmente. E ancora: “Noi siamo assennati e sappiamo tutto ciò che è avvenuto; abbiamo dunque diritto d’irridere ogni cosa. […] Si hanno i propri svaghi del giorno, e quelli della notte; ma si tiene in gran conto la salute”.

L’Ultimo uomo ha particolarmente cara la salute. Come non riconoscere in questa immagine l’attuale ossessione del genere umano per il contagio da Covid? Il suo rinunciare a diritti e libertà, fino a pochi mesi fa percepiti come intoccabili, in nome di un’immaginaria purezza? L’Ultimo uomo è colui che secondo Zarathustra, la voce narrante dietro cui si nasconde il filosofo tedesco, pensa di aver inventato la felicità. Egli è felice della sua pochezza e mediocrità, si accontenta di svaghi illusori e salutismo e non sa più “generare una stella danzante”, non sa più “che cos’è amore, che cos’è creazione, che cos’è brama, che cos’è un astro”.

Nietzsche ci sta dicendo in pratica che l’Ultimo uomo non è più capace di desiderare. La parola “desiderio” deriva dalla radice latina de-sidera, che letteralmente significa “mancanza di stelle”, e allude quindi al non riuscire più ad avvertire la privazione di qualcosa che potrebbe condurre al Bene. L’Ultimo uomo pensa di vivere la migliore e la più appagante delle vite, non aspira più a qualcosa che la potrebbe completare e arricchire, ripiegato com’è nel godimento di piccoli e passeggeri piaceri che lo portano a rinunciare a volere intensamente altri orizzonti di senso e di azione. Ma desiderare che cosa? Per esempio il cambiamento e il miglioramento di sé, del genere umano e del mondo intero. Senza desiderio non c’è consapevolezza della propria condizione di schiavitù. I milioni di uomini occidentali che in questo momento di transizione epocale vivono terrorizzati e semireclusi a causa dell’emergenza Covid non sono più capaci di desiderare il Bene e la Bellezza, non li sanno più nemmeno concepire sul piano immaginativo.

Per loro le stelle si sono spente, esiste solo un eterno presente fatto di igienizzazione, mascherine chirurgiche e rinuncia progressiva alla libertà. Le assonanze tra l’Ultimo uomo nietzschiano e l’attuale umanità irretita dalla paranoia da contagio sono a dir poco inquietanti. L’Ultimo uomo è l’incarnazione del canone inverso della pòlis: se per Platone la politica è sostanzialmente basiliké techné, ovvero arte suprema della sovranità esercitata mantenendo un equilibrio tra bene individuale, bene comune della collettività e giustizia, oggi questo equilibrio è stato rovesciato a favore di una (in)giustizia che non tiene più conto tanto del bene comune quanto del bene dell’individuo. Oggi la più potente menzogna seduttiva esercitata da una politica mercenaria del dispotismo dell’Alta finanza è quella secondo cui la privazione di fette sempre più consistenti della libertà individuale è legittimata dalla preservazione della salute collettiva. Si tratta di un vero e proprio ricatto che agisce sulla psiche già di per sé fragile dell’Ultimo uomo: sotto la copertura ideologica della difesa della salute si privano i cittadini dei loro diritti inalienabili, non ultimo il diritto ad immaginare altri presenti, altri futuri. (…)

L’autoreferenzialità del potere politico, economico e scientifico è tale che può essere assimilata al concetto di hybris della tradizione sapienziale greca. Ma se il potere è libero di esercitare a briglie sciolte la hybris, l’arroganza che gli deriva dal suo essere autoreferenziale, è perché l’uomo contemporaneo è alienato da se stesso. Il processo di alienazione dell’essere umano è iniziato secoli fa e non è riconducibile solo ed esclusivamente, come sosteneva il materialismo dialettico, alla sfera terrena dell’esistenza. L’alienazione riguarda anzitutto e soprattutto il piano spirituale dell’Essere, e colpisce la capacità dell’uomo di generare “stelle danzanti”, cioè la sua innata disposizione “erotica” a volere, a lanciarsi verso mete in apparenza irraggiungibili. Oggi a dominare sono la passività, la rassegnazione, l’accontentarsi di una vita miserabile in nome di una falsa sicurezza sanitaria. L’essere umano vive sempre più isolato dai suoi simili in una bolla virtuale lontano da relazioni umane soddisfacenti. Intere sfere dell’esistenza dell’attuale umanità sono ormai avviate sulla via della virtualizzazione: il lavoro, le amicizie, la sessualità.

(…) cit. Un secolo di degenerazione antropologica – Federica Francesconi 27.10.2020 [/su_section]

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