La crepa nel campanile

E’ di pochi giorni fa l’appello-denuncia del cardinale Caffarra sulle chiese distrutte dal sisma.
Secondo quanto si legge, le autorità starebbero negando l’autorizzazione ad erigere delle strutture temporanee che servano per ospitare i fedeli mentre le chiese vengono ricostruite. Molti paesi non hanno un posto dignitoso dove potere ospitare le cerimonie religiose.
Ora, si fa una certa fatica a non pensare male. In una certa mentalità la Chiesa deve solo ospitare ma mai essere ospitata. Anzi, se possibile cacciata lontano, e un terremoto può essere una scusa come un’altra.
Viene in mente una certa parabola in cui l’avere accolto o no chi ne aveva bisogno è una discriminante per entrare nel regno dei Cieli. Direi che con buona probabilità qui c’è gente che non crede al Regno dei cieli ma ad un potere molto più prosaico e terreno, che tuttavia si fa fatica a chiamare democrazia.
Tornano alla mente anche certi racconti di sessant’anni fa, ambientati negli stessi paesi, che sembra passato un secolo: Don Camillo

(…)Non ci vengono concessi i nulla-osta per la preparazione di dignitosi pre-fabbricati, ovviamente a nostre spese. Di conseguenza non siamo nel rischio che numerose comunità di fedeli a breve termine si potrebbero trovare senza i luoghi di culto, ma nella certezza del verificarsi di una tale ingiusta situazione. Privati dell’esercizio di un diritto fondamentale: poter disporre di propri edifici di culto. Aspettare che siano agibili le chiese distrutte o lesionate, significa aspettare mesi o perfino anni: ed intanto? Dove celebrare funerali eventuali, matrimoni, battesimi; e soprattutto l’Eucaristia festiva? (…) Card Cafarra

«come tutte le mattine andò a misurare la famosa crepa della  torre e cinque minuti prima che cominciasse la messa si sentì sul sagrato risuonare il passo cadenzato di una formazione in marcia. Inquadrati perfettamente tutti i “rossi” non solo del paese ma delle frazioni vicine, tutti, persino Bilò il calzolaio che aveva una gamba di legno e Roldo dei Prati che aveva un febbre da cavallo, marciavano fieramente verso la chiesa con Peppone in testa che dava l’«un-due».
Compostamente presero posto in chiesa, tutti in blocco granitico e tutti con una faccia feroce da «corazzata Potëmkin». Don Camillo, arrivato al discorsetto, illustrò con bel garbo la parabola del buon samaritano e terminò rivolgendo un breve fervorino ai fedeli: «Come sanno tutti, meno coloro che dovrebbero saperlo, un’incrinatura pericolosa sta minando la saldezza della torre. Mi rivolgo quindi a voi, miei cari fedeli, perché veniate in aiuto alla Casa di Dio. Dicendo “fedeli” io intendo rivolgermi agli onesti i quali vengono qui per appressarsi a Dio, non certo ai faziosi che vengono qui per far sfoggio della loro preparazione militare. A costoro ben poco può importare se la torre crolla».
Finita la messa, don Camillo si insediò a un tavolino presso la porta della canonica e la gente sfilò davanti a lui, ma nessuno andò via e tutti, fatta l’offerta, ristettero sulla piazzetta per vedere come andava a finire. E andò a finire che arrivò Peppone seguito dal battaglione perfettamente inquadrato che fece un formidabile alt davanti al tavolino. Peppone si avanzò fiero. «Da questa torre, queste campane hanno salutato ieri l’alba della Liberazione e da questa torre queste stesse campane dovranno salutare domani l’alba radiosa della rivoluzione proletaria!» disse Peppone a don Camillo. E gli mise davanti tre grandi fazzoletti rossi pieni di soldi. Poi se ne andò a testa alta seguito dalla banda. E Roldo dei Prati crepava per la febbre e faceva fatica a rimanere in piedi ma anche lui aveva la testa alta e Bilò lo zoppo quando passo davanti al tavolino di don Camillo marciò fiero il passo con la zampa di legno.
Quando don Camillo portò a far vedere al Cristo la cesta piena di soldi e disse che ce n’era d’avanzo per accomodare la torre, il Cristo sorrise sbalordito. «Avevi ragione tu, don Camillo».
«Si capisce» rispose don Camillo. «Perché voi conoscete l’umanità, ma io conosco gli italiani».

Chissà se Don Camillo riconoscerebbe ancora certi italiani d’oggi. Anche quelli che lui racconta si opponevano, ma almeno avevano le palle.fonte: http://berlicche.wordpress.com/2012/11/13/la-crepa-nel-campanile/

Lascia un commento