Quando si parla di informazione, la cognizione oggi comunemente accettata è che esista una informazione vera ed una falsa. Contro quella falsa è invalsa nelle istituzioni l’idea che debbano loro difenderci, eliminandola.
Il risultato è che siamo serviti da un solo tipo di informazione: è quella che si autodefinisce “vera”, ovvero che riporta esattamente la narrativa delle istituzioni. Se invece la preoccupazione fosse autentica, le istituzioni piuttosto si preoccuperebbero di diffondere il sapere, la cultura ed il pluralismo informativo, permettendo così alla gente di possedere gli strumenti per giudicare ed esercitare veramente la propria libertà.
La conseguenza di questa attività manipolativa costante sull’informazione pubblica, è uno scenario desolante: gli argomenti legittimati ad essere proposti sono quelli che vanno per la maggiore, ovvero quelli che sono riportati nella vetrina del Forum Davos e recepiti dai governi e dagli organi sovranazionali, quindi chi ne ha i mezzi provvede a dare istruzioni alla filiera mediatica.
“Meccanismi per consolidare il potere”
Bruxelles –quando si forma una certa unanimità in alcuni circoli di pensiero– adotta quella linea e la diffonde agli stati membri con i mezzi che ha a disposizione: scuola, media, spin doctor, influencer. Le trasmissioni e le produzioni televisive, sono un buon indicatore delle tendenze che poi gli stati adotteranno come programmi politici dell’Unione Europea. Così quella linea diventa sempre più pervasiva e imprescindibile nelle legislazioni e nei provvedimenti presi riguardo all’informazione dei paesi membri.
“Giudizio unanime”
Ci ritroviamo così a ricevere una informazione parziale che in realtà riporta un solo punto di vista, non necessariamente quello più vero ma sicuramente quello più conveniente per rafforzare il consenso intorno ad una certa linea politica adottata.
È un fatto grave, perché ci dichiariamo paesi liberi e democratici e su queste basi diciamo di ordinare i nostri rapporti internazionali. Ma crederlo ancora, oggi, sta diventando problematico, tanta è l’intromissione del potere che si è attribuito il compito di modificare la mente della gente. Mentre, in realtà, più che i ridicoli fact checker governativi, il solo modo possibile per permettere una informazione corretta, è quello di promuovere una informazione pluralistica. Altrimenti, se si insiste nel non consentire l’accesso a tutte le fonti e se addirittura il libero pensiero viene censurato, non sarà possibile un giudizio corretto, ovvero che parta dalla realtà secondo la pluralità dei suoi fattori.
Report di guerra in Ucraina
Se parliamo di corrispondenti di guerra, tutti sanno che quelli occidentali gravitano in massa dalla parte di Kiev. Di questi, nessuno si discosta dalla linea governativa e sono anche molto attenti a non dare spazio a fatti o testimonianze che magari smentiscano la linea redazionale.
Da una siffatta informazione in primo luogo è impossibile capire le ragioni e cosa accade veramente. In secondo luogo nulla trapela dall’altra linea del fronte: non esiste nessun interesse a riportare l’esperienza dei cittadini dei territori oggetti della contesa, anche se, evidentemente, dovrebbero essere quelli più ascoltati.
Di conseguenza, l’informazione che riceviamo è gravemente parziale e ampiamente manipolata. Non sappiamo nulla se non le atrocità che – ci dicono – compiono solo i russi, né sappiamo dei civili che vivono lì, non sappiamo nulla del loro parere, ciò che ci viene proposto è uno stereotipo. Eppure è per quegli uomini, donne e bambini che entrambe le parti dicono di combattere, sulla cui pelle i leader occidentali decidono. Sarebbe logico dare spazio ai soggetti, ma per le nostre istituzioni non lo è.
In definitiva, l‘informazione è diventata uno strumento tutto al servizio di una economia di guerra, che i governi usano per indirizzare il consenso. La questione è seria e riguarda tutti noi, perché non c’è uomo libero se non gli è consentito formulare un giudizio autonomo.