Israele: ipotesi di ricollocare nel Sinai la popolazione di Gaza

L‘agenzia di stampa russa TASS,  in un articolo datato 31 ottobre 2023, menziona che l’intelligence israeliana ha proposto l’idea di trasferire i 2,3 milioni di palestinesi residenti nella Striscia di Gaza nella penisola egiziana del Sinai.

Questa proposta, seppur è definita come un “documento concettuale” dal governo israeliano – che ha chiarito che si tratta di una delle ipotetiche alternative – ,  suggerisce di spostare i residenti di Gaza in tendopoli nella penisola settentrionale del Sinai, costruendovi città permanenti e creando un corridoio umanitario.

Inoltre, il Ministero dell’Intelligence israeliano ha proposto di creare una zona di sicurezza speciale all’interno di Israele per impedire ai profughi palestinesi di entrare nel Paese. Tuttavia, è importante sottolineare che – almeno apparentemente – non c’è alcuna discussione in corso su questo documento e che la questione del “giorno dopo” non è stata affrontata ufficialmente.

Ma ecco il testo integrale dalla TASS:

L’intelligence israeliana propone di ricollocare 2,3 milioni di palestinesi di Gaza nella penisola del Sinai

Allo stesso tempo, il Ministero dell’Intelligence israeliano ha proposto di creare una zona di sicurezza speciale all’interno di Israele che impedirebbe ai profughi palestinesi di entrare nel Paese

TEL AVIV, 31 ottobre. /TASS/. Il governo israeliano ha riconosciuto l’esistenza di un documento dei servizi di intelligence del paese, che proponeva l’idea di trasferire i 2,3 milioni di palestinesi residenti nella Striscia di Gaza nella penisola egiziana del Sinai, ha riferito il Times of Israel .

L’ufficio del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha definito il documento un “documento concettuale” che delinea solo una delle ipotetiche alternative. Il documento era datato 13 ottobre e successivamente è apparso sui media israeliani, dice il giornale.

Si delineava l’idea di spostare i residenti di Gaza in tendopoli nella penisola settentrionale del Sinai, costruendovi città permanenti e creando un corridoio umanitario. Allo stesso tempo, il Ministero dell’Intelligence israeliano ha proposto di creare una zona di sicurezza speciale all’interno di Israele che impedirebbe ai profughi palestinesi di entrare nel Paese.

Secondo il giornale, il documento non menziona nulla di ciò che accadrebbe sul territorio della Striscia di Gaza dopo il trasferimento dei suoi residenti. Allo stesso tempo, gli autori del documento hanno definito lo scenario “il più desiderabile” per la sicurezza di Israele. Una fonte governativa del Times of Israel ha affermato che non è in corso alcuna discussione seria sul documento.

“La questione del ‘giorno dopo’ non è stata discussa in nessun forum ufficiale in Israele, che in questo momento è concentrato sulla distruzione delle capacità governative e militari di Hamas”, dice il giornale citando una dichiarazione dell’ufficio del primo ministro israeliano. .

Rifugiati di Gaza
Il ministro degli Esteri egiziano Sameh Shoukry ha dichiarato alla CNN il 17 ottobre che il Cairo è disposto a consentire che gli aiuti umanitari raggiungano i residenti della Striscia di Gaza attraverso il valico di Rafah al confine tra Egitto e Gaza, ma non ha intenzione di accettare rifugiati da Gaza. La pubblicazione Al-Arabi Al-Jadeed ha riferito, citando fonti, che l’Egitto propone di allestire campi per loro nella città palestinese di Rafah. Secondo il giornale, i campi saranno situati a tre chilometri dal confine egiziano e le loro attività saranno controllate dal Cairo. Il Financial Times ha anche riferito che l’Egitto sta resistendo attivamente alle pressioni dell’Unione Europea affinché accetti i rifugiati palestinesi.

Le tensioni sono divampate di nuovo in Medio Oriente il 7 ottobre, quando i militanti del movimento radicale palestinese Hamas hanno organizzato un attacco a sorpresa contro il territorio israeliano dalla Striscia di Gaza. Hamas ha descritto il suo attacco come una risposta alle azioni aggressive delle autorità israeliane contro la moschea di Al-Aqsa sul Monte del Tempio nella Città Vecchia di Gerusalemme. Israele ha annunciato il blocco totale della Striscia di Gaza e ha lanciato attacchi aerei su Gaza e su alcuni distretti del Libano e della Siria. Scontri sono in corso anche in Cisgiordania.

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Considerazioni

Il conflitto israelo-palestinese è una questione estremamente intricata, caratterizzata spesso da un approccio emotivo e polarizzato che ha reso ardua la ricerca di soluzioni a lungo termine. Affrontare questa complessa problematica richiede una prospettiva più ampia e razionale, essenziale per superare l’impasse attuale.

La proposta sollevata nel testo (ma proposta anche dallo stesso presidente USA Biden) che riguarda il trasferimento dei palestinesi da Gaza altrove, è un’opzione, un’idea che ha precedenti storici come gli istriani italiani con Tito o gli armeni in altre regioni. Tuttavia, la questione diventa estremamente delicata quando si considera il legame profondo tra un popolo e la propria terra, che va oltre il valore materiale. Abbandonare le proprie terre ancestrali e i luoghi di significato storico solleva molte questioni pratiche e morali. Questa proposta deve essere affrontata con grande cautela, poiché potrebbe portare a ingiustizie e tensioni ancora più gravi.

L’alternativa alla guerra, la cui ingiustizia è innegabile, è una soluzione di pace duratura che possa garantire diritti e sicurezza per tutti i coinvolti, dovrebbe comunque non avere posizioni aprioristiche. Tuttavia, le opinioni sull’approccio migliore differiscono notevolmente tra le parti.

Inoltre, il conflitto israelo-palestinese coinvolge numerosi attori a livello internazionale e regionale con interessi nella sua risoluzione o infiammazione. Questi interessi possono essere politici, economici o strategici. E non è da trascurare che esso è stato spesso utilizzato come leva di potere in contesti geopolitici locali o in ambienti più ampi. Cosicché la complessità delle alleanze e degli interessi rende difficile una soluzione sostenibile e duratura.

Le aspirazioni di alcuni gruppi in Israele per un “Grande Israele” aggiungono un ulteriore livello di complessità al conflitto. Le questioni etniche e religiose in tutta la regione mediorientale sono intrecciate con il conflitto israelo-palestinese, creando un quadro generale ancora più intricato. La situazione è influenzata da altre controversie e conflitti nella regione, rendendo difficile trovare una soluzione che soddisfi tutte le parti coinvolte.

È importante notare che gli attuali confini sembrano contribuire a mantenere una situazione di conflitto insanabile.

È anche da considerare che due società coinvolte, sia quella israeliana che quella palestinese, affrontano problematiche di apartheid al loro stesso interno, il che aggiunge ulteriori complicazioni a una situazione già intricata.

È indubbio che Affrontare questo conflitto richiede una comprensione approfondita delle sue molteplici sfaccettature e una volontà da parte di tutte le parti coinvolte di impegnarsi in un dialogo costruttivo.

In conclusione, considerando la complessità della situazione, la soluzione potrebbe non risiedere esclusivamente in un semplice accordo a due stati. Un’opzione da esaminare potrebbe essere una federazione, che consentirebbe di superare gli attuali confini e di affrontare le problematiche interne a entrambe le società in modo più equo.

Altrimenti inevitabilmente si arriverà a soluzioni di distruzione di una delle due parti o lo spostamento forzato totale o parziale di parte della popolazione della parte soccombente.

In definitiva, il conflitto israelo-palestinese richiede una visione ampia e razionale, libera da posizioni precostituite, e un impegno costante per trovare una soluzione pacifica e, ove possibile , giusta per tutte le parti coinvolte.

 

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