Le recenti tensioni tra l’Unione Europea e la Russia che sono diventate quasi uno scontro aperto (dato che i morti caduti da parte russa sotto le armi UE sono reali), mettono in luce una problematica di fondo nelle relazioni internazionali: la reciproca accusa di non rispettare le regole internazionali.
Un recente articolo pubblicato sul Corriere della Sera il 27 aprile, dal titolo «Mosca disprezza regole, revochi le misure sulle aziende», evidenzia come l’UE abbia denunciato la Russia per aver preso misure punitive contro le imprese europee che operano sul suolo russo, in particolare citando il caso delle filiali italiane e tedesche di Ariston e Bosch messe sotto “gestione esterna temporanea” da parte di una società russa affiliata a Gazprom.
Di che si tratta? Come riporta Come don Chisciotte, la Russia ha sequestrato 440 milioni di dollari di JP Morgan Chase, in risarcimento alla banca statale russa VTB, i cui fondi russi erano stati trattenuti in obbedienza delle sanzioni USA. Ma “il contrattacco russo, alla fine, è arrivato, e pensiamo sia solo l’inizio di una lunga serie di iniziative di questo genere. La decisione è partita ufficialmente da un tribunale di San Pietroburgo che ha ordinato il sequestro dei fondi nei conti russi di JPMorgan e di “beni mobili e immobili”, tra cui la partecipazione della banca in una filiale russa.
Questa vicenda lascia JPMorgan esposta a una perdita di quasi mezzo miliardo di dollari, che la Banca dichiara essere un “danno certo e irreparabile”.
L’UE ha espresso forte disapprovazione per queste azioni, considerandole una manifestazione di disprezzo per le leggi e le norme internazionali, e ha richiamato la Russia a revocare tali misure. Tuttavia, questa posizione solleva questioni di coerenza e reciprocità.
Quindi l’Unione Europea ha implementato sanzioni severe contro la Russia, compreso il congelamento di beni russi e il blocco di importanti progetti come il North Stream 2 (e taciuto sulla sua distruzione), ma si lamenta per la ritorsione. Eppure il danno alla Russia è stato notevolmente più ingente: è stato bloccato l’accesso a circa 300 miliardi di euro di fondi russi depositati nelle banche europee (ed ora si sta pensando di spenderli), una mossa che Mosca giustamente considera un gesto ostile non meno grave delle misure adottate da essa stessa.
Questa situazione evidenzia una doppia morale problematica: entrambe le parti hanno adottato misure, ma ciascuna accusa l’altra di comportamento inaccettabile. Come ho accennato, le misure più drastiche e illegali sono adottate dall’Unione Europea, che accusa Mosca di pirateria ed ha persino delegittimato le elezioni di questo paese e fatto spiccare un mandato di cattura per il suo presidente, dipingendolo come ‘criminale’. In realtà, l’Unione Europea, mentre si posiziona come custode delle regole internazionali, non può pretendere di essere esente dal rispetto di tali stesse regole o da critiche quando adotta misure simili a quelle che condanna.
In un mondo ideale, le sanzioni e le contromisure dovrebbero essere l’ultima risorsa, utilizzate solo quando tutti gli altri tentativi diplomatici sono falliti. Inoltre, è da ricordare che le uniche sanzioni legittime sarebbero solo quelle adottate nel privare le armi a paesi in guerra, mentre solo l’ONU può disporre di sanzioni di altro tipo.
La realtà attuale, tuttavia, mostra che le sanzioni sono diventate uno strumento di prima linea nella diplomazia internazionale, spesso impiegate più per costrizione che per costruzione di un dialogo costruttivo.
In conclusione, l’attuale grave crisi tra l’Unione Europea e la Russia pone interrogativi cruciali riguardo alla legittimità e all’efficacia delle sanzioni come strumento politico. Queste misure si rivelano spesso inefficaci e colpiscono principalmente le popolazioni civili, limitando il commercio internazionale in modo arbitrario e minando la fiducia nel rispetto della proprietà privata. Questa situazione evidenzia la necessità di riconsiderare l’uso delle sanzioni come leva politica, data la loro tendenza a produrre effetti collaterali dannosi e a esacerbare le tensioni anziché risolverle.
Per avanzare, è essenziale che entrambe le parti cercano soluzioni equilibrate che rispettino i principi del diritto internazionale, evitando di cadere nella trappola delle accuse reciproche che non fanno altro che perpetuare il ciclo di tensioni e ritorsioni.