La UE ha abbandonato la Tradizione Cristiana ed è un suicidio

Cari lettori, oggi desidero invitarvi a riflettere su un tema che mi sta particolarmente a cuore: l’abbandono, quasi sistematico, della nostra tradizione cristiana da parte dei governi e delle istituzioni sovranazionali europee. I risultati di ciò si manifestano chiaramente in questi giorni, in un mondo in fiamme, caratterizzato sempre più da scelte irragionevoli da parte della leadership occidentale, e in modo particolare da quella europea.

La classe dirigente europea, infatti, ha ingiustamente e illusoriamente sottovalutato il ruolo centrale della fede cristiana e del patrimonio culturale nella vita pubblica. Ha dimenticato e persino disprezzato la sua importanza, trascurando così l’eredità di valori, simboli e modelli sociali che il cristianesimo ha donato al nostro continente e che costituiscono le radici profonde della nostra identità.

Un’eredità costruita nei secoli

Per secoli, il cristianesimo ha guidato il cammino dell’Europa non solo sul piano spirituale, ma anche su quello politico, culturale e sociale. L’intera civiltà europea è stata costruita sulla fede cristiana, sui suoi santi e testimoni. Questa fede ha forgiato valori come la dignità della persona, la giustizia sociale, la carità e la solidarietà, e un’idea di bene comune che va oltre l’interesse individuale. Questi non sono concetti astratti o lontani; sono il nucleo della nostra identità, ciò che ci ha permesso di costruire società che—pur con tutti i loro limiti—hanno cercato di garantire diritti, pace e rispetto.

Le cattedrali oggi bruciano

Quando entriamo in una cattedrale gotica o ci fermiamo davanti a un affresco rinascimentale, percepiamo un’armonia che va oltre la semplice bellezza estetica. Quei capolavori non erano solo arte; erano rappresentazioni del Mistero di Dio, di una visione del mondo che, basandosi sull’Incarnazione come pietra miliare, puntava al trascendente. Offrivano un significato alla vita umana al di là del puro materialismo. Sono l’impronta di un’Europa che cercava—e trova ancora oggi, quando la riscopriamo—un senso più profondo nelle sue radici.

Un’Europa smarrita

Oggi, però, assistiamo a un’Europa che sembra voler tagliare questi legami, disposta a rinunciare a tutto ciò per seguire modelli culturali e sociali più “moderni” e “inclusivi”. Ed è qui che mi chiedo, e vi chiedo: cosa resterà dei valori europei se togliamo loro il fondamento cristiano? Cosa diventeranno concetti come giustizia, solidarietà, carità, se non trovano più la loro origine? Il rischio concreto è di ritrovarci con gusci vuoti, parole che risuonano senza sostanza, avendo perso ogni significato e potere di ispirazione.

Non è un caso, a mio avviso, che gran parte della popolazione europea si senta sempre più disorientata e indifferente ai grandi temi, incapace di trovare un punto fermo in un mondo che cambia troppo velocemente. Senza un’identità forte e un legame profondo con le nostre radici, finiamo per assorbire tutto e il contrario di tutto, diventando un’Europa sempre più permeabile ma sempre più evanescente e pericolosamente incline al bellicismo, anche ritenuto come mezzo di ricchezza e di supremazia. Questo ci porta a vivere un paradosso: cerchiamo di difendere i diritti e i valori umani, ma sembriamo sempre più confusi su cosa questi diritti e valori debbano davvero essere.

La tradizione come chiave per il futuro

Ritengo che il nostro passato sia la chiave per attingere alla forza necessaria per guardare al futuro, se solo fossimo disposti a riconoscerlo.

Ma accade che l’Europa sta tagliando progressivamente il cordone ombelicale che la lega ai valori cristiani, e per questo, è inevitabile che questa scelta abbia conseguenze profonde, non solo sul piano culturale, ma anche su quello sociale e politico.

L’impressione che ho, e che credo molti di voi condividano, è la strada intrapresa ci stia portando verso una sorta di “anemia morale”: ci resta il linguaggio dei valori, ma sempre più svuotato della sostanza che li rendeva vivi e incisivi. Come se le nostre istituzioni mantenessero la forma, ma senza più il contenuto autentico. Per questo hanno bisogno di mentire e più si mente e più si mente, più aumenta l’esigenza di essere violenti, ovvero assolutistici.
La prova tangibile di questo è che esse sono sempre più preoccupate di celebrare miti e salvare le apparenze, impegnate in una lotta forsennata contro la cosiddetta “disinformazione”, dove per disinformazione non si intende un inganno ai danni dei cittadini, ma qualsiasi informazione che non coincide con il punto di vista ufficiale. Qui, la sostituzione dei concetti è la norma, e non si esita a ricorrere alla manipolazione, persino nelle attività scientifiche.

Pensiamo ai valori di solidarietà, giustizia, dignità umana—tutte conquiste sociali che il cristianesimo ha contribuito a forgiare. Oggi, questi valori vengono spesso evocati nel dibattito pubblico e nelle agende politiche, ma hanno perso gran parte della loro forza originaria. Reinterpretati in chiave “neutrale” e “inclusivo”, rischiano di diventare poco più che slogan, parole che chiunque può utilizzare senza una reale comprensione o adesione al loro significato più profondo.

Il conflitto russo-ucraino è un caso emblematico di questa ambiguità. Siamo di fronte a un’Europa che, per decenni, ha promosso discorsi di pace, dialogo e comprensione tra i popoli. Eppure, al primo grave conflitto sul suolo europeo dopo la Guerra Fredda, cosa vediamo? Una drammatica difficoltà nel portare avanti quella stessa visione. Le istituzioni, invece di farsi promotrici di un dialogo serio e costruttivo, sembrano incapaci di avanzare proposte di mediazione.

È come se la pace fosse diventata un concetto vuoto, una parola da sbandierare ma che abbiamo perso la capacità di rendere reale. Senza un ancoraggio a valori trascendenti, la pace non è più un imperativo morale, ma solo una strategia utile o meno a seconda della situazione. Questo, a mio avviso, sta minando gravemente l’autorità morale dell’Europa sulla scena mondiale.

La fragilità del progetto europeo

La questione non si limita ai conflitti esterni. Anche all’interno dell’Europa assistiamo a un senso di disorientamento, un’incapacità crescente di sintetizzare le diversità culturali e le necessità dei vari Stati membri. Ciò che ci teneva uniti erano valori condivisi, una visione comune che andava oltre i confini nazionali. Oggi, questa visione è frammentata; sembra che decisioni fondamentali vengano prese da una ristretta élite, con procedure centralizzate e poco partecipative, che porta avanti agende spesso in contrasto con i valori tradizionali.

Per rendere più chiara questa situazione, immaginate che l’Europa abbia preso possesso di un’automobile senza aver mai fatto scuola guida, dimenticando come funziona il motore, ma pretendendo di costruire l’auto stessa senza alcuna competenza. Nel contempo, decide di far rispettare i diritti dell’automobile, senza comprendere lo scopo ultimo del veicolo. In definitiva, ha perso di vista il fine delle proprie azioni. Questa metafora illustra come l’Europa stia cercando di avanzare senza una comprensione profonda delle sue radici, pretendendo di innovare senza avere solide basi.

Diritti e nuovi diritti: una disconnessione dalla tradizione

Se osserviamo la questione dei diritti, notiamo uno scenario in continua espansione che suscita preoccupazione. La lotta per i diritti fondamentali, presentata come la nuova conquista della nostra società, è un principio cardine che l’Europa promuove e impone ai nuovi Paesi membri. Tuttavia, la crescente enfasi su quelli che vengono chiamati “nuovi diritti”—spesso scollegati dai fondamenti etici che hanno plasmato i diritti originari—solleva interrogativi sul reale progresso che tali valori potrebbero portare.

È ormai evidente come l’attenzione ai “nuovi diritti” tenda a distogliere e persino a negare aspetti della vita che appartengono al “vecchio mondo”, come la famiglia, il sacrificio per un ideale, la vita come compito. Come spesso accade, il “nuovo” ripropone una sterile contrapposizione, un antagonismo di vecchia data.

Quando parliamo di diritti, dovremmo chiederci: sono davvero universali? I diritti tradizionali come la dignità, la libertà, la giustizia sociale hanno sempre tratto la loro forza da una visione integrata della vita e della società. Erano diritti concepiti per servire il bene collettivo, rispettando la dignità umana e promuovendo la solidarietà tra le persone.

Oggi, però, assistiamo al sorgere di nuovi diritti, spesso focalizzati su bisogni e desideri individuali, talvolta a scapito di una visione unitaria della società. Questa disconnessione dalla tradizione rischia di generare un panorama frammentato, in cui i diritti sono percepiti come un “catalogo” da cui ognuno può scegliere ciò che preferisce, piuttosto che come un insieme coerente e armonico.

Il rischio di una società frammentata e nichilista è occasione per il potere

Senza una base etica comune, c’è il rischio che i diritti diventino una serie di rivendicazioni isolate, che possono entrare in conflitto tra loro. L’idea di bene comune si dissolve, lasciando spazio a una competizione perenne tra istanze individuali, senza un reale tentativo di conciliazione.

Questa frammentazione si riflette chiaramente nelle politiche sociali. Pensiamo al welfare, un sistema costruito sulla base della solidarietà e della giustizia sociale. Era il frutto di una visione cristiana del mondo, che vedeva nei più deboli e nei meno fortunati una priorità della società, un’umanità che aveva diritto al supporto e all’assistenza.

Oggi, con la crescente pressione sui bilanci statali e l’adozione di dottrine economiche ultraliberiste caratterizate da concentrazioni economiche sempre più elevate in mano di pochi agglomerati senza scrupoli, ci troviamo di fronte a un welfare che fatica a mantenere quella centralità nella dignità umana. In alcuni casi, rischia di diventare un sistema burocratico, una macchina che si limita a rispondere a necessità immediate, senza considerare una visione più ampia e a lungo termine del benessere collettivo. Questo allontanamento dal principio di solidarietà rischia di minare la fiducia nelle istituzioni e nel progetto europeo stesso.

Restituiamo il futuro nelle mani di Dio e tornerà nelle nostre mani

In sintesi, stiamo assistendo a un’Europa che ha mantenuto le parole dei valori, ma snaturandoli definitivamente e smarrendoli nella concretezza. Ritengo che questa sia una delle cause profonde che impedisce agli individui di avere un orizzonte chiaro.

L’Europa, se vuole tornare a essere forte e unita, deve attingere nuovamente dalle sue radici, armonizzando la modernità con la tradizione. Solo così potrà guidare l’automobile con competenza, comprendendo il funzionamento del motore e costruendo veicoli che servano realmente al benessere di tutti.

Riconoscere l’importanza delle nostre radici non significa rinunciare al progresso, ma costruire su fondamenta solide. È un invito a restituire l’attenzione ciò che ci unisce, a ritrovare quel senso di comunità e di identità che può guidarci attraverso le sfide del presente e del futuro.