Riprongo qui di seguito un articolo di Roberto Pecchioli perchè , nonostante sia di luglio di quest’anno, è ancora di straordinaria e scottante attualità. Nel suo articolo Pecchiolli offre un’analisi tagliente e provocatoria sui limiti del sovranismo italiano, evidenziando come le grida di difesa della sovranità nazionale siano solo un’illusione, incapaci di affrontare le vere forze che dominano l’economia globale. Attraverso dati impressionanti e riflessioni pungenti, si espone il potere sproporzionato dei fondi di investimento e delle élite finanziarie, che agiscono indisturbate, esautorando governi e cittadini. È un invito a smascherare le contraddizioni della retorica sovranista (almeno quella dei partiti sovranisti di governo) e a ripensare radicalmente le strategie per riconquistare una sovranità ormai ceduta agli interessi del globalismo economico:
Uno dei limiti del sovranismo parolaio è di limitarsi a deplorare
SOVRANISTI DEI MIEI STIVALI. L’ITALIA VENDUTA A BRANDELLI
Uno dei limiti del sovranismo parolaio è di limitarsi a deplorare – senza peraltro organizzare la controffensiva – l’arretramento dello Stato nazionale a favore di entità sovra e transnazionali, di trattati che oltrepassano il diritto statale e di agglomerati finanziari onnipotenti. Una posizione che non sfiora il nucleo del problema, la privatizzazione del mondo avviata dagli anni Novanta, in corrispondenza dell’implosione del comunismo novecentesco. Non è possibile recuperare sovranità – neanche da parte di un organismo delle dimensioni dell’UE – senza attaccare alla radice il sistema globale di monopoli e oligopoli privati. Molti conoscono il rilievo acquisito dal grumo fintech (Microsoft, Google, Meta, Apple, Tesla) ma è ancora poco esplorato l’immenso potere conquistato dall’inizio del secolo XXI dai fondi d’investimento.
Sembra che la crisi del partito conservatore inglese e la vittoria laburista del 4 luglio scorso siano state operazioni preparate e finanziate da Black Rock, il fondo più potente di tutti. Il nuovo primo ministro britannico, Sir Keir Starmer è il tipico prodotto dell’officina globalista: libertario, liberista, membro di circoli riservati. Londra è la seconda piazza finanziaria del mondo: i cambi di governo devono essere graditi soprattutto ai Rothschild,(1) la dinastia finanziaria più antica, ultima monarchia assoluta del vecchio continente.
I dieci principali fondi di investimento del mondo – otto dei quali statunitensi – gestiscono patrimoni per oltre 44 mila miliardi di dollari. Il PIL mondiale, nello stesso anno, era stimato attorno ai 102 mila miliardi; il PIL Usa ammontava a 25, 3 trilioni di dollari, quello della Cina a 20, mentre i quattro maggiori Stati dell’UE (Germania, Francia, Italia, Spagna) raggiungevano gli 11,7 trilioni. Il solo Black Rock di Larry Fink ha in portafogli oltre dieci trilioni di dollari, cinque volte il PIL italiano (2,1 trilioni), uguale al patrimonio dell’elvetica UBS, solo undicesima nella graduatoria dei fondi. Il legame tra finanziarizzazione dell’economia e privatizzazione del mondo è inscindibile. Il potere dei fondi deriva dal combinato disposto dell’operato delle banche centrali e dei governi, a partire dalla cruciale abolizione in America del Glass Steagall Act durante la presidenza Clinton, la legge che separava l’attività bancaria tradizionale da quella di investimento. Da allora nessun vincolo frena la finanza e tutti noi siamo divenuti, da depositanti, clienti/investitori con tutto il rischio a nostro carico. La conseguenza della voracità finanziaria è stato lo smantellamento dello Stato sociale e la privatizzazione accelerata di tutto, dall’acqua alle sementi agricole, dal cibo alla sanità, dalla chimica all’informatica, dalle telecomunicazioni sino alla robotica, all’Intelligenza Artificiale, ai fondi pensione.
Non è possibile dichiararsi sovranisti se non si prende posizione contro questa gigantesca concentrazione planetaria di potere privato. La forza è la regina del mondo, non l’opinione, ma l’opinione fa uso della forza. Un pensiero di Blaise Pascal che spiega la realtà di oggi meglio di un trattato di geopolitica. La forza è mascherata e vive dell’inversione della realtà e della verità a danno di masse cretinizzate. Un solo esempio: sostituire i campi coltivati con impianti fotovoltaici –(2) una delle distopie verdi alimentate dall’alto – risponde al progetto di centralizzare la produzione e la distribuzione di cibo. Quando l’oligarchia avrà sotto controllo l’accesso alle fonti di cibo, avrà in pugno l’umanità. Forse per questo si parla così poco di sovranità alimentare e tanto di cibo artificiale, cioè industriale.
Conquistate le casematte dell’economia reale in alleanza con le banche d’affari e le banche centrali creatrici della moneta-debito, i colossi sono padroni del mondo. Nel caso della piccola Italia, il panorama è sconfortante. Abbiamo già detto della previdenza (sanitaria e pensionistica) che drena gettito fiscale per destinarlo a investimenti finanziari a breve termine sui mercati internazionali, togliendo risorse all’erario e in definitiva a ciascuno di noi. Le tasse si basano sul principio di territorialità delle persone – fisiche e giuridiche – e sul concetto di “stabile organizzazione”. Proprio quello che riescono a oltrepassare i giganti deterritorializzati, organizzati a scatole cinesi, che fatturano a società controllate con sedi nei paradisi fiscali in un carosello impossibile da raggiungere con i mezzi degli Stati nazionali e di unioni di Stati come l’UE.
Dovremmo iniziare a discutere di sovranità tributaria. La cornice è un agglomerato di potere e ricchezza le cui risorse sono flussi di informazioni e dati che attraversano i confini, dinanzi ai quali ogni rivendicazione di sovranità appare vana. Serve ridefinire l’idea stessa di fiscalità, attraverso accordi tra Stati e gruppi di Stati per evitare che i fondi, Big Tech e i colossi transnazionali facciano profitti giganteschi corrispondendo mediamente il 3 per cento di imposte. La rete televisiva Netflix sino al 2022 non versava un euro all’erario italiano in quanto non aveva né dipendenti né sedi, pur incassando milioni dai suoi abbonati. Amazon nel 2019 ha fatturato in Italia oltre un miliardo pagando 1,1 milioni di tasse. I cinque maggiori Big Tech hanno pagato tasse per settanta milioni a fronte di ricavi certi di 3,3 miliardi.
Il problema non è solo italiano: Amazon Europe nel 2020 ha fatturato 44 miliardi e non ha pagato un euro. Ha potuto scegliersi la sede e utilizzare una struttura societaria con cui manipolare guadagni, perdite e passivi sino ad azzerare le tasse. Non potremo parlare di sovranità se non riusciremo a raggiungere e far pagare il giusto ai giganti. È troppo chiedere che siano trattati come le persone fisiche o le partite IVA residenti? Eppure in sede europea non si raggiunge un accordo neppure per una tassazione assai modesta, tra il 3 e il 5 per cento del fatturato. Le lobby, quelle sì, sono sovrane, a Bruxelles e non solo. Le imposte sulla società producono un gettito risibile, attorno al 2,5 per cento, la maggior parte sopportata dai soggetti più piccoli.
Le resistenze arrivano da un governo che sovrano è davvero, quello americano. I giganti hanno sede e dirigenza negli Usa: ogni tentativo di assoggettarli a regole è accompagnato da minacce di ritorsioni economiche e finanziarie del governo americano. Le risorse sottratte alla fiscalità italiana ed europea rafforzano l’economia Usa. In più, dal 2020, annus horribilis pandemico, le multinazionali hanno spostato profitti per circa 1400 miliardi nei paradisi fiscali. La perdita fiscale è stimata in 250 miliardi – otto – dieci leggi finanziarie italiane – e grava sull’intera economia, mentre ci balocchiamo con la guerra dei poveri, dichiarando evasori idraulici e artigiani e non le società di capitali multi e transnazionali, sottratte alle norme territoriali degli Stati.
Sul capitalismo dominano pochi grandi fondi e non c’è più, in sostanza, traccia di mercato, trasformato in oligopolio globale. La prossima tappa sarà impadronirsi del patrimonio immobiliare, in Italia detenuto da milioni di piccoli proprietari – noi – titolari della casa d’abitazione. Le norme di adeguamento all’imposizione green (altra sovranità perduta, che non permette di discutere i diktat oligarchici in nome dell’ambiente e dell’indottrinamento relativo, fortissimo tra i giovani). Si stima che almeno nove milioni di immobili, dei dodici milioni esistenti in Italia, dovranno essere sottoposti a costosissimi adeguamenti. In assenza di risorse pubbliche (i grandi non pagano tasse, noi sì) moltissimi dovranno ricorrere a mutui, ipoteche o saranno costretti a (s)vendere la casa. Gli unici a possedere le risorse necessarie sono i giganti finanziari: i fondi diventeranno padroni di tutto.
Agli anziani verrà prospettata la soluzione già comune in Argentina: cessione della casa in cambio del diritto d’uso e di un’integrazione delle pensioni, sempre più magre per l’azione congiunta del calo demografico, dell’inflazione manipolata e dell’impossibilità per gli Stati di sostenere il sistema previdenziale. Questo significa che moltissimi non potranno trasmettere ai figli gli immobili di proprietà. Bingo. Il mercato diventa monopolio, le politiche pubbliche sono impossibili per assenza di risorse, trasferite all’oligarchia “estrattiva”. Di quale sovranità andiamo parlando, dunque? Se aggiungiamo il ruolo dei fondi nel debito, il cerchio si chiude e diventa una morsa. Il debito pubblico mondiale è stimato in 100 mila miliardi di dollari, quello totale il triplo. I creditori – falsi, ma diventano veri perché il sistema è stato fatto da loro e per loro- sono soprattutto fondi.
I soli interessi gravano per almeno il 15 per cento del PIL globale. Poiché non si può estinguere un debito con moneta emessa a sua volta a debito, diventa essenziale gestire il risparmio privato e le risorse dei cittadini, all’unico fine di trasferire interessi all’usura legale. Di qui il ruolo essenziale delle banche centrali – indipendenti, prive di controllo da parte degli Stati – la tenaglia che rinchiude gli Stati e le nostre stesse vite. Il sistema bancario nazionale è a sua volta controllato dai fondi, azionisti di riferimento – tra molteplici partecipazioni incrociate- delle principali banche “italiane”. Anche le grandi utilities italiane sono di fatto possedute dai fondi, che estraggono profitti certi in quanto agiscono in regime di monopolio naturale per la natura dei servizi erogati, pagano pochissime tasse e trasferiscono miliardi dove è più profittevole. A quali astronomiche somme ha rinunciato, nel tempo, il sistema pubblico e la mano privata italiana, che un giornalismo servile chiamava “capitani coraggiosi”? Uguale sorte per i vecchi gioielli di famiglia del settore energetico (Saipem, Terna, eccetera), anch’essi ampiamente partecipati dai fondi. Di che parliamo, dunque, quando evochiamo la sovranità, la quale, come l’araba fenice, “che ci sia ognun lo dice, dove sia nessun lo sa”?
La realtà è assai più cruda di quanto ci venga fatto credere da un’informazione e da una politica complici. Soprattutto, meraviglia che da nessuna parte si tenti di costruire un pensiero economico e finanziario alternativo, che contesti alla radice l’esistente e progetti – pur con tutte le difficoltà del caso – la fuoriuscita da un sistema costruito per distruggere la dimensione pubblica, impoverire i cittadini, soffocare le imprese, controllare con mano di ferro le risorse, le politiche, le “narrazioni” ufficiali. Indipendentemente dalla buona fede dei sovranisti (quando c’è…) tutto il potere, ogni risorsa, ogni leva decisionale è in mano a una cupola di cui i fondi di investimento sono il sistema operativo più importante. Ai sovranisti “veri” e a ogni oppositore del globalismo reale, il durissimo onere di immaginare come venirne fuori. O almeno l’onestà intellettuale di dire la verità prendendo atto che la sovranità – popolare e nazionale – nelle sue diverse declinazioni, economica, finanziaria, militare, politica, tecnologica, tributaria, energetica, alimentare, culturale, è stata perduta e consegnata al piano alto della finanza, all’ombra delle armi americane. Tutto il resto è noia. O menzogna.
Roberto PECCHIOLI
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