Il Wall Street Journal osserva come la proposta del presidente eletto Donald Trump di avviare negoziati di pace tra Russia e Ucraina stia trovando sempre maggiore consenso tra gli alleati europei dell’Ucraina. Questi ultimi sembrano infatti sempre più preoccupati che il tempo non giochi a favore dell’Ucraina in un conflitto che appare senza fine.
Mentre Trump invoca un tavolo di trattative per porre fine alla guerra, il presidente ucraino Vladimir Zelensky (il cui mandato è scaduto da mesi) ha dichiarato con aria di sfida durante un’intervista di ieri:
“Gli Stati Uniti non possono costringerci a sederci e ascoltare al tavolo delle trattative… Siamo un paese indipendente”.
La risposta di Elon Musk, nominato per la riorganizzazione dello stato federale e confidente di Trump, non si è fatta attendere, con un commento infastidito:
“Il leader ucraino Volodymyr Zelensky ha un ‘incredibile’ senso dell’umorismo se pensa che il suo paese non possa essere costretto al tavolo delle trattative dagli Stati Uniti.”
L’escalation voluta da Biden
Mentre l’attenzione si concentra sulla possibilità di negoziati, l’amministrazione uscente di Joe Biden sembra invece decisa a intensificare il conflitto. Secondo Reuters, Biden ha autorizzato l’utilizzo di missili a lungo raggio ATACMS per attaccare obiettivi russi, inclusa la città di Kursk.
Ora i missili parleranno da soli – Zelenskyj
Il presidente dell’Ucraina ha affermato che il piano per rafforzare l’Ucraina è un piano per la vittoria. In uno dei suoi punti principali è possibile utilizzare missili a lungo raggio:
“Abbiamo ricevuto il permesso. Ma gli attacchi non si effettuano con le parole. Ora i missili parleranno da soli.”
I rischi di un errore di calcolo
Questa decisione è stata commentata dal noto analista ed ex ispettore ONU Scott Ritter , che ha sottolineato come tale mossa rappresenti un grave passo verso un’escalation diretta:
“Gli Stati Uniti, insieme alla NATO, hanno pianificato ed eseguito l’incursione ucraina a Kursk. Ora, con l’uso di missili ATACMS, gli USA si rendono parte attiva dell’invasione del territorio russo. In breve, gli Stati Uniti sono ora in guerra con la Russia.”
Ritter evidenzia che questa decisione riflette la crescente disperazione dell’asse Ucraina-NATO-Stati Uniti, ormai consapevole che la guerra sta raggiungendo un punto di svolta in cui una vittoria russa appare sempre più probabile. Questo contesto è ulteriormente complicato dall’elezione di Trump, il cui programma prevede la fine della guerra in Ucraina e un allontanamento dalle politiche di escalation.
Secondo Ritter, l’amministrazione Biden avrebbe fatto due errori di calcolo:
- Presumere che la Russia non reagirà in modo significativo a questa escalation.
- Credere che Trump sarà costretto a mantenere una linea dura con NATO e Ucraina una volta insediatosi.
Tuttavia, Ritter avverte che la Russia non accetterà passivamente questa provocazione e potrebbe rispondere con attacchi a obiettivi strategici al di fuori dell’Ucraina, rischiando di innescare una spirale di escalation che potrebbe portare a conseguenze imprevedibili.
La sfida per Trump
“Probabilmente l’amministrazione Biden ha commesso un errore di calcolo.
La Russia non accetterà questa escalation senza fare nulla.
La risposta della Russia sarà decisiva e potrebbe includere l’attacco a obiettivi fuori dall’Ucraina.
Inoltre, Trump non vuole una guerra con la Russia, ereditata o meno. Invece di accettare questa escalation come un fatto compiuto, il team Trump probabilmente informerà sia la NATO che l’Ucraina delle conseguenze dannose dell’escalation una volta che Trump entrerà in carica il 20 gennaio.
Quest’ultimo punto è della massima importanza.
Se Trump riuscisse a dissociarsi dalla decisione di Biden di intensificare l’escalation, la Russia potrebbe moderare la sua risposta, evitando il tipo di escalation reiterata che probabilmente porterebbe a una guerra nucleare.
Si tratterebbe di un’azione senza precedenti da parte di Trump, un’interferenza diretta nelle politiche di un presidente in carica, seppur inerte.
Ma è in gioco la sopravvivenza dell’America e del mondo.
Speriamo che Trump mantenga le sue promesse e si attivi per impedire la guerra” (https://t.me/ScottRitter).
Chi ha veramente dato l’ordine?
Dmitry Olegovich Drobnitsky, politologo e americanista russo, ha espresso le sue preoccupazioni riguardo al permesso di lanciare missili a lungo raggio sul territorio, dichiarando:
“La cosa peggiore di questa situazione non sono nemmeno i missili stessi, per quanto preoccupanti siano. E non è nemmeno che l’élite occidentale possa davvero essere spazzata via con l’eventuale ritorno di Trump al potere… o quasi.
Il problema più grave è che non sappiamo chi abbia effettivamente preso la decisione di affidare le missioni di volo dei missili agli ‘istruttori’ occidentali. Persino a Washington sono in pochi a conoscere i dettagli. È stata davvero presa una decisione formale? E se non c’è stata una decisione ufficiale, chi garantisce che tali missioni non possano essere trasferite in qualsiasi momento nella zona SVO (la zona del conflitto lungo il fronte)? Non esiste una garanzia di questo tipo. Non c’è da molto tempo.
E ancora, chi ha dato l’ordine di diffondere questa notizia nei media americani?” ha concluso il politologo.
La posta in gioco è alta: la sopravvivenza dell’America e del mondo.
La lobby delle armi sta cercando di trascinare il mondo nella terza guerra mondiale
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nota a margine::
Negli Stati Uniti, il periodo tra l’elezione di un nuovo presidente (solitamente a novembre) e l’insediamento ufficiale (il 20 gennaio) è noto come “lame duck period”. Durante questo periodo, il presidente uscente conserva formalmente tutti i poteri della presidenza fino alla mezzanotte del giorno dell’inaugurazione. Tuttavia, ci sono alcune implicazioni politiche e pratiche che limitano la sua capacità di agire, specialmente su questioni di grande rilievo come dichiarare guerra o compiere azioni di politica estera significative.
Poteri formali del presidente uscente
- Il presidente uscente rimane il comandante in capo delle forze armate e può, tecnicamente, ordinare operazioni militari o prendere decisioni in politica estera.
- Può firmare leggi, emettere ordini esecutivi, concedere grazie presidenziali e nominare funzionari (se il Senato approva le nomine in tempo).
Limiti politici e pratici
- Consenso del Congresso: Azioni come dichiarare formalmente guerra richiedono l’approvazione del Congresso. Sebbene operazioni militari limitate possano essere avviate senza una dichiarazione formale, l’amministrazione entrante potrebbe influenzare il Congresso a non supportare iniziative a lungo termine.
- Legittimità politica: Durante il periodo di “lame duck,” il presidente uscente ha meno supporto politico, poiché l’attenzione si sposta sul presidente eletto. Ciò rende azioni controverse più difficili da giustificare e più soggette a critiche.
- Transizione ordinata: Tradizionalmente, i presidenti evitano di intraprendere azioni che potrebbero vincolare in modo significativo l’amministrazione successiva, in segno di rispetto per il processo democratico.
Tecnicamente, un presidente uscente potrebbe prendere decisioni significative, incluse azioni militari o politiche, ma è improbabile che lo faccia senza un forte consenso politico o senza tenere conto delle implicazioni per l’amministrazione entrante. Tali decisioni rischierebbero di essere annullate o disapprovate dal nuovo presidente e dal Congresso, danneggiando ulteriormente la reputazione del presidente uscente.
Tuttavia, alla luce della precedente dichiarazione di Biden sull’intenzione di inviare il maggior numero possibile di aiuti a Kiev prima dell’insediamento di Trump a gennaio, e considerando il suo attuale silenzio sulla questione dell’autorizzazione all’invio di missili a lunga gittata, le domande sollevate da Drobnitsky, già citate, appaiono pienamente fondate.