Il recente allontanamento forzato del presidente della Repubblica Araba Siriana, Bashar al-Assad, rappresenta uno dei momenti più drammatici e simbolici del conflitto siriano. Dopo oltre due decenni al potere, Assad ha dichiarato di essere stato costretto a lasciare la Siria a causa della rapida avanzata dei ribelli guidati dall’organizzazione terroristica Tharir al-Sham. Un evento che non solo chiude una pagina della storia siriana, ma getta una luce impietosa sulle scelte della comunità internazionale.
Le responsabilità della comunità internazionale
È impossibile ignorare il ruolo che la comunità internazionale ha avuto nel perpetuare la crisi siriana. Mentre molte potenze hanno preferito perseguire la caduta di Assad come obiettivo prioritario, hanno ignorato il fragile equilibrio che il suo regime garantiva. La Siria, sotto Assad, rimaneva uno stato laico, dove convivevano varie etnie e confessioni religiose senza particolari discriminazioni. Certo, il fenomeno corruttivo era un problema evidente, ma è anche vero che la precarietà economica e la crescente insicurezza è stata indotta principalmente da anni di aggressioni esterne e dall’occupazione militare di intere regioni del Paese.
È anche evidente che la scelta di destabilizzare ulteriormente il Paese ha favorito l’emergere di gruppi estremisti come Tharir al-Sham, che hanno sostituito la speranza di un cambiamento democratico con un nuovo regime fondamentalista e repressivo.
La fuga di Assad: una conseguenza inevitabile
In un contesto così drammatico, la decisione di Assad di lasciare la Siria non può essere semplicemente etichettata come una fuga vigliacca. L’intero esercito siriano era crollato, lasciando il Paese alla mercé dei gruppi ribelli e dei loro sostenitori esterni. Chi critica Assad per aver lasciato il Paese sembra dimenticare che, se fosse rimasto, avrebbe con ogni probabilità subito la stessa sorte brutale di Muammar Gheddafi.
Secondo le dichiarazioni rilasciate dal presidente sul suo canale Telegram, la sua partenza non era stata pianificata. “La mia partenza dalla Siria non era stata programmata, né è avvenuta durante le ultime ore delle battaglie,” ha spiegato Assad. Il momento cruciale è giunto l’8 dicembre, quando Mosca ha imposto un’evacuazione immediata dalla base aerea di Hmeimim, a Latakia.
La base, che rappresentava uno degli ultimi avamposti governativi sicuri, è stata colpita da un attacco con droni che ha costretto la leadership russa a intervenire direttamente per evitare un disastro totale. Assad stesso ha affermato che “le nostre forze si erano completamente ritirate da tutte le linee di battaglia”, certificando la fine di ogni possibilità di resistenza.
Il vuoto lasciato da Assad e le conseguenze per la Siria
L’evacuazione del presidente siriano ha segnato non solo la fine di un regime, ma anche l’inizio di un futuro incerto per la Siria. La caduta di Assad ha lasciato un vuoto che difficilmente potrà essere colmato senza ulteriori sofferenze. La comunità internazionale, nel sostenere con ambiguità alcune fazioni ribelli, ha contribuito a trasformare la Siria in un mosaico di territori dominati da signori della guerra, gruppi jihadisti e potenze straniere.
In un intervento lucido, Assad ha dichiarato di non aver mai contemplato l’idea di dimettersi o abbandonare la resistenza. Tuttavia, con un esercito allo sbando e il crollo delle ultime difese, la permanenza in Siria sarebbe stata impraticabile e, probabilmente, inutilmente letale.
Il fallimento di una visione
Questa vicenda rappresenta l’ennesimo fallimento della comunità internazionale nel gestire le crisi globali. Al posto di favorire un percorso di stabilizzazione e riforme, la politica delle potenze esterne ha solo acuito il caos e la sofferenza del popolo siriano. La priorità di rovesciare Assad è stata perseguita senza alcuna visione concreta per il “dopo”, ignorando i rischi legati all’ascesa di gruppi estremisti e alla disgregazione del Paese.
La Siria di Assad, pur con tutti i suoi limiti e contraddizioni, garantiva un ordine laico che ora appare irrecuperabile. La storia giudicherà le scelte di chi ha preferito il caos alla stabilità, sacrificando un intero popolo sull’altare di una geopolitica miope e irresponsabile.
In definitiva, la caduta di Assad non è solo la sconfitta di un uomo o di un regime, ma la dimostrazione della fragilità delle soluzioni imposte dall’esterno. La Siria, oggi, è un monito per il mondo intero: la destabilizzazione di un Paese – per giunta senza un piano solido e condiviso per il futuro -, non porta altro che miseria e distruzione.