Siria: l’Incremento “segreto” delle Truppe USA e il gioco delle Ombre nel Medio Oriente

Negli ultimi anni, la presenza militare degli Stati Uniti in Siria è stata oggetto di numerose controversie e speculazioni. Neanche Trump , nella sua passata presidenza era al corrente della reale entità delle truppe USA. Infatti il presidente americano fu ingannato, quando lui aveva ordinato il ritiro ompleto delle truppe USA.

A proposito ricordo che l’ex rappresentante speciale degli Stati Uniti in Siria, James Jeffrey in una intervista su Defence One ammise di aver nascosto l’entità numerica delle truppe statunitensi al presidente degli Stati Uniti Donald Trump.

Più precisamente Jeffrey ammise beatamente che lui e gli alti ufficiali del Pentagono non hanno mai ritirato le truppe americane dalla Siria. Per perseguire questo risultato, hanno mentito deliberatamente al presidente Trump “facendo giochini con le parole”, ovvero facendo in modo che Trump non sapesse che i suoi ordini non erano stati eseguiti ed adducendo motivazioni false e presentando scenari inesistenti.

Trump aveva ordinato di far rimanere in Siria solo 200 soldati ma lo staff di jeffrey era riuscito a convincere  Trump affinché ne lasciasse 500. Poi hanno fatto come piaceva a loro. Successivamente dalle dichiarazioni di Jeffrey si è appurato che la reale entità del contingente era ben superiore a 500.

Recentemente, i più importanti media hanno informato il grande pubblico che il numero di truppe statunitensi nel paese è più che raddoppiato, passando da 900 a circa 2.000 unità, sottacendo su questo particolare. Tuttavia l’ammissione dei media mainstream è particolarmente significativa, perchè conferma che l’abitudine del Pentagono di dichiarare numeri significativamente inferiori, celando la reale entità del dispiegamento militare, è continuata dall’ordine di Trump di lasciare solo 200 militari fino alla fine.

Il portavoce del Pentagono, il generale di divisione Pat Ryder, ha cercato di minimizzare il significato dell’aumento delle truppe, affermando che è avvenuto “da un po’” e che non è mai stato direttamente correlato al caos in Siria. Tuttavia, una valutazione più attenta della situazione mostra che l’incremento è avvenuto molto prima e non coincide con la rimozione forzata di Bashar al-Assad, un regime change attentamente orchestrato. Questo cambiamento è stato il risultato di anni di inique sanzioni internazionali che hanno indebolito profondamente il paese, portando la popolazione a sviluppare una postura critica nei confronti del governo siriano e alimentando fenomini corruttivi tra le fila degli ufficiali dell’esercito.

L’aumento delle truppe statunitensi in Siria era già stato pianificato e messo in atto da tempo, mentre un ulteriore rafforzamento dell’asset militare americano è avvenuto successivamente, in concomitanza con la caduta di Assad. Questo rafforzamento è stato giustificato  per affrontare i pericoli crescenti rappresentati dagli attacchi alle zone controllate dai curdi, alleati chiave degli Stati Uniti per la permanenza nel paese dietro la fantomatica lotta all’ISIS. Contrariamente a quanto riportato, non si è trattato di un dispiegamento di nuove truppe, ma di uno spostamento strategico di unità già presenti nelle basi irachene, volto a dissuadere la Turchia e le forze filo-turche dall’aumentare la pressione nelle aree curde.

È noto inoltre che, accanto ai militari statunitensi ufficialmente presenti, vi era già un numero considerevole di operatori di agenzie private impiegati in attività strategiche, come la vigilanza dei pozzi petroliferi. Si stima che questi operatori fossero circa 2.000, rendendo il numero complessivo dell’asset militare significativamente superiore a quanto dichiarato pubblicamente dal Pentagono per anni.

Questa mancanza di trasparenza non è un caso isolato. Gli Stati Uniti hanno spesso adottato strategie simili in altri contesti, come in Afghanistan, dove solo recentemente è stato ammesso il reale numero di truppe presenti. Questa tendenza solleva interrogativi sul modus operandi del governo americano, che sembra prediligere un coinvolgimento militare poco chiaro e privo di una strategia a lungo termine ben definita.

La decisione di rafforzare la presenza militare in Siria è arrivata in un momento di forte instabilità nella regione, con Israele e Turchia che giocano un ruolo sempre più assertivo. Gli attacchi aerei di Israele contro le forze siriane e l’offensiva turca contro i curdi rischiano di trascinare gli Stati Uniti in un incubo su più fronti. Questo tipo di interventismo militare ha già dimostrato in passato i suoi limiti, portando spesso a impegni a lungo termine senza una chiara via d’uscita.

Critici e analisti auspicano un cambio di rotta. La Siria, come altre regioni instabili, necessita di soluzioni diplomatiche che affrontino le cause profonde dei conflitti, piuttosto che ulteriori escalation militari. Il prolungato coinvolgimento degli Stati Uniti rischia di aggravare una situazione già drammatica, mettendo a repentaglio non solo la stabilità regionale, ma anche la credibilità del governo americano sulla scena internazionale.

È fondamentale che gli Stati Uniti si impegnino a garantire una maggiore trasparenza sui propri impegni militari, evitando di cadere nella trappola di conflitti multifrontali e puntando invece a costruire un quadro di sicurezza regionale sostenibile attraverso il dialogo e la cooperazione internazionale. Il rafforzamento della presenza militare dovrebbe essere accompagnato da una chiara strategia politica e da un impegno verso una transizione pacifica, anziché perpetuare uno stato di guerra continua senza prospettive di risoluzione definitiva.

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