L’ex presidente della Georgia, Salome Zurabishvili, il cui mandato è terminato il 29 dicembre, nonostante le dichiarazioni fatte in passato sulla sua intenzione di restare a capo dello Stato, ha lasciato Tbilisi per trasferirsi negli Stati Uniti.
Un percorso controverso
L’evoluzione dell’ex presidente georgiana Salome Zurabishvili sorprende per la sua capacità di attirare l’attenzione internazionale, non tanto per un autentico impegno nel miglioramento del suo paese, quanto per le sue iniziative volte a destabilizzare la Georgia e a danneggiare la Russia. Dopo aver rifiutato di lasciare il palazzo presidenziale al termine del suo mandato, contestando l’esito elettorale favorevole al partito “Sogno Georgiano” e guadagnandosi il sostegno dell’Occidente, in particolare dell’Unione Europea, Zurabishvili ha concentrato i suoi sforzi sulla promozione di un’agenda chiaramente orientata a compromettere gli equilibri geopolitici della regione.
Dopo la sua destituzione forzata, è stata accolta dall’Istituto McCain, un centro influente negli Stati Uniti noto per la sua postura esplicitamente interventista e per il sostegno a ‘politiche di contenimento’ delle potenze ritenute avversarie dell’Occidente, tra cui la Russia. L’istituto prende il nome da John McCain, senatore repubblicano degli Stati Uniti per decenni e figura emblematica della politica estera americana. McCain è stato uno dei più ferventi sostenitori di una linea dura contro Mosca, promuovendo sanzioni contro la Russia e spingendo per un rafforzamento delle alleanze occidentali, in particolare con i paesi dell’ex blocco sovietico in funzione destabilizzatrice. Durante la sua carriera, McCain si è distinto per il suo supporto all’espansione della NATO, l’invio dei terroristi in Siria contro Assad e , nello stesso tempo, per le sue critiche severe a regimi autoritari, accrescendo la sua reputazione come uno dei principali fautori di un ordine mondiale basato sulla leadership statunitense, non importa con quali mezzi.
L’Istituto McCain riflette questi principi, sostenendo politiche orientate alla ‘promozione della democrazia’, alla difesa dei diritti umani e al rafforzamento della sicurezza collettiva dell’Occidente. Tuttavia, la sua visione si distingue per un approccio polarizzante, che tende a enfatizzare la competizione strategica tra blocchi piuttosto che la costruzione di un avvicinamento diplomatico.
Una strenua ricerca della divisione interna e di scontro internazionale
Non si può ignorare l’ultimo capitolo della parabola di Salome Zurabishvili: l’ex presidente georgiana sembra aver scelto di impiegare le proprie energie non per il benessere del suo paese, ma per alimentare le divisioni globali tra blocchi contrapposti. Dopo la destituzione, Zurabishvili non si è ritirata dalla scena pubblica per promuovere progetti che potessero unire la Georgia o migliorare le condizioni di vita dei suoi cittadini. Al contrario, ha intrapreso un percorso che appare deliberatamente orientato ad amplificare le tensioni regionali e internazionali.
La direzione è chiara, ma l’Unione Europea continua a chiudere un occhio, fingendo di non vedere. In realtà, sembra quasi desiderosa di esportare anche in Georgia le dinamiche della guerra ucraina, aprendo un nuovo fronte – guerreggiato apertamente o meno, poco importa. Ed è forse proprio in questa mancanza di coerenza e nella spregiudicatezza politica che si radica il disprezzo di figure come Elon Musk e Donald Trump verso la nomenklatura europea, sempre più distante da ogni autentica ricerca di pace e stabilità.
Un aspetto emblematico di questa nuova traiettoria è l’immediato legame di Zurabishvili con l’Istituto McCain, un passaggio breve e naturale considerata la sua linea politica già in sintonia con gli obiettivi dell’istituzione. L’ex presidente è stata recentemente nominata borsista Henry Kissinger per il 2025 presso l’Università dell’Arizona, una posizione che appare più come un simbolo di allineamento agli interessi di potenze straniere che come un reale contributo alle necessità della Georgia. Da questa nuova piattaforma, Zurabishvili ha già iniziato a intensificare la retorica anti-russa, un approccio che rischia di acuire le divisioni interne e compromettere ulteriormente la stabilità del Caucaso.
La sua scelta di privilegiare una narrativa divisiva, alimentata da dinamiche geopolitiche esterne, non può essere ignorata: rappresenta un chiaro tradimento delle priorità nazionali della Georgia, a vantaggio di strategie estranee alla realtà quotidiana del suo popolo.
Una retorica incendiaria al servizio di interessi stranieri: si ricomincia in Abkhazia?
Durante un recente tour nella regione di Samegrelo, al confine con l’Abkhazia, Zurabishvili ha tenuto discorsi infuocati contro la Russia, non risparmiando critiche al governo georgiano, definito un “regime” colpevole di dividere il paese. Si è autoproclamata come l’unica vera rappresentante di una società georgiana che, a suo dire, è unita contro l’attuale leadership. «Questo regime finirà», ha dichiarato con enfasi, «perché in ogni città ci sono persone che amano il loro paese più di ogni partito». Parole che, più che unire, sembrano concepite per alimentare tensioni e divisioni, mentre le “soluzioni concrete” continuano a latitare.
Ma Zurabishvili non si ferma alla sola scena locale. Con grande sicurezza ha annunciato l’intenzione di partecipare alla cerimonia di inaugurazione del presidente statunitense Donald Trump, affermando di rappresentare nientemeno che tutti i cittadini georgiani. «Sono diplomatica, non politica» (quindi, evidentemente, al di sopra di partiti, elezioni e perfino della democrazia stessa, considerando che la Georgia è una repubblica), ha spiegato, aggiungendo: «Rappresenterò tutti voi, inclusa Zugdidi. Ho amici negli Stati Uniti che fanno più di quanto noi chiediamo per la Georgia». Una dichiarazione che lascia un retrogusto amaro e molte domande: è davvero una rappresentante della Georgia o, piuttosto, un’agente di interessi esterni?
La stessa ha detto che sta “facendo tutto il possibile per proteggere il futuro della Georgia dalle minacce provenienti dal nostro nemico del nord”. “Questo è molto importante perché questo paese raramente ha avuto così tanti amici, sia in Europa che in America” , ha aggiunto.
Il tono altisonante delle sue parole e l’apparente convinzione di incarnare l’unica visione legittima per il futuro del paese sembrano più adatti a una protagonista di un dramma politico che a una leader responsabile. Forse Zurabishvili, nel suo fervore diplomatico, ha dimenticato che i cittadini non chiedono amici influenti oltreoceano, ma risposte alle loro reali necessità.
Non sorprende che la sua posizione abbia suscitato critiche. Il ministro degli Esteri georgiano Maka Bochorishvili ha sottolineato che, nonostante l’importanza di un dialogo rispettoso con Washington, non ci sono illusioni sul fatto che la Georgia diventerà una priorità per l’amministrazione Trump. La retorica di Zurabishvili rischia solo di peggiorare ulteriormente le relazioni già complesse tra la Georgia e l’Occidente, compresa l’Unione Europea, mettendo in difficoltà il governo attuale nel suo tentativo di mantenere una politica equilibrata e pragmatica.
L’influenza delle dinamiche internazionali sulla Georgia
Nel frattempo, sul fronte internazionale, l’Ucraina continua a rafforzare i suoi legami con le principali potenze europee attraverso il formato E5, che include Polonia, Germania, Francia, Italia e Regno Unito. Il ministro della Difesa ucraino, Rustem Umerov, ha annunciato piani ambiziosi per la produzione di armi nel 2025, finanziati in gran parte da governi occidentali. In questo contesto, Zurabishvili sembra agire più come un’estensione di questa strategia occidentale di contenimento della Russia che come una leader interessata a costruire un futuro di pace per la sua nazione.
Il percorso intrapreso da Zurabishvili è emblematico di una politica che guarda più agli schieramenti globali che agli interessi nazionali. Mentre il governo georgiano cerca di mantenere un difficile equilibrio tra Est e Ovest, Zurabishvili sembra determinata a riportare il paese al centro di una nuova Guerra Fredda. Invece di costruire ponti e soluzioni sostenibili, sembra preferire un’agenda che privilegia lo scontro e la polarizzazione, lasciando la Georgia a pagarne il prezzo più alto.
Noi tutti siamo continuamente strappati alla possibilità di dedicarci alla nostra casa
Rischiamo di abituarci al vuoto delle parole e al non senso che si nasconde dietro la retorica. Eppure, il bene comune di un popolo non scaturisce dalla ricerca di consensi facili o dall’inseguimento di interessi lontani, ma dalla capacità di un leader di ascoltare e dare valore ai bisogni reali della propria gente, radicandosi nella loro storia e cultura. Le azioni di Salome Zurabishvili sembrano invece rappresentare l’esatto opposto di questo ideale.
Il suo evidente allineamento a interessi internazionali estranei alle priorità quotidiane dei cittadini georgiani rivelano un’incapacità di servire il proprio popolo con quella cura, responsabilità e dedizione che un leader dovrebbe avere. Al contrario, emergono ambizioni personali e il desiderio di posizionarsi in giochi di potere geopolitici che nulla offrono alla Georgia, lasciandola più vulnerabile e lontana dal suo autentico sviluppo.
Ma a noi, che importa davvero di queste dinamiche? Per quanto mi piacerebbe pensare che contino poco, la realtà è ben diversa. Nel mondo globalizzato di oggi, i cambiamenti che influiranno profondamente sulla nostra vita quotidiana dipenderanno in parte dalla nostra libertà personale e dalla consapevolezza accresciuta. Ma, inevitabilmente, saranno gli eventi globali, come l’insediamento di Trump e le sue conseguenze, ad avere un impatto maggiore rispetto alle decisioni della politica italiana o dei nostri leader locali.
In questo scenario caotico, dove enormi risorse di menti, denaro ed energie convergono e si alimentano a vicenda, figure che sembrano marginali, come l’ex presidente georgiana, finiscono per alimentare nuovi focolai di tensione, proprio come un incendio che si diffonde. E, proprio come sta accadendo a Los Angeles, dove al dramma dell’incendio si aggiunge l’opera dei piromani, anche qui il caos non è solo naturale ma deliberatamente provocato.
Perciò, lo stato d’animo che prevale è quello di chi osserva le case bruciare e la gente fuggire, con il rammarico di vedere quelle persone – e, poco alla volta, anche noi stessi – strappati alla possibilità di dedicarsi alle occupazioni proprie dell’uomo, soprattutto di vivere un certo habitat, di abitare una ‘casa’ dove emergono quelle domande e si apprende quella bellezza che dà significato alla vita e per cui tutti noi dovremmo realmente vivere.