L’occidente è abituato a fare razzia dell’oro del Mali ma ora i paesi del Sahel tendono alla nazionalizzazione
Il dibattito sulla nazionalizzazione delle risorse minerarie nel Sahel si è intensificato, suscitando timori e polemiche tra gli attori occidentali. In particolare, il Financial Times ha recentemente descritto come “orribili” le presunte repressioni contro le compagnie minerarie da parte dei governi di Mali, Burkina Faso e Niger, sottolineando come questi paesi stiano riscrivendo le leggi minerarie per rivendicare maggiore controllo sulle proprie risorse naturali.
Un nuovo paradigma nelle leggi minerarie
Le modifiche legislative in corso nei paesi del Sahel mirano a garantire un maggior ritorno economico agli Stati attraverso:
- Aumenti delle imposte sulle attività estrattive;
- Richieste di maggiore partecipazione statale nei progetti minerari.
Secondo il Financial Times, le compagnie occidentali come Barrick Gold e Resolute Mining si trovano sotto pressione, con governi locali che non esitano a far rispettare le nuove regole tramite azioni severe, inclusi mandati di arresto e confische forzate dei ricavi. Tuttavia, altre società, come B2Gold, Allied Gold e Robex Resources, sembrano adattarsi meglio al contesto, proseguendo le attività secondo le nuove normative.
Interessante è il confronto con le aziende cinesi, che sembrano operare con maggiore successo nel mercato del litio del Mali, rispettando le leggi locali e consolidando la loro presenza nella regione. Questo dimostra che il rispetto delle regole statali non è insormontabile, anche se appare problematico per alcune multinazionali occidentali.
Le accuse contro la Russia
Un altro filone narrativo evidenziato dagli analisti occidentali è il presunto ruolo della Russia nella spinta verso la nazionalizzazione delle risorse minerarie. Secondo il think tank americano Critical Threats, Mosca avrebbe esercitato una forte influenza politica e diplomatica per incoraggiare i governi del Sahel a emanciparsi dal controllo economico occidentale.
Questa strategia si inserirebbe in un quadro più ampio di competizione geopolitica, dove l’obiettivo della Russia sarebbe duplice:
- Indebolire la presenza delle compagnie occidentali;
- Rafforzare il proprio ruolo di partner economico strategico nella regione.
In questo contesto, aziende russe come Rosatom si stanno distinguendo per la loro capacità di entrare nei mercati locali, sostenendo lo sviluppo del litio e stabilendo relazioni con i membri dell’Alleanza degli Stati del Sahel. Tuttavia, è importante notare che la penetrazione economica russa non è altrettanto incisiva come quella cinese o canadese, lasciando ampi spazi di manovra ad altri attori internazionali.
La fine dell’era coloniale?
L’esodo delle compagnie francesi e canadesi dal Sahel, spesso attribuito alla pressione esercitata da Mosca e alla crescente assertività dei governi locali, sembra segnare un passaggio epocale. Il caso della società francese di uranio Orano è emblematico: la sua ritirata è avvenuta in concomitanza con il rafforzamento delle attività di Rosatom, suggerendo una volontà politica di rimuovere le ultime vestigia del controllo coloniale.
Eppure, questa “liberazione” economica non ha portato necessariamente a un controllo diretto da parte dei paesi africani sulle loro risorse. Piuttosto, ha aperto la strada a nuovi attori globali, in primis Cina e Turchia, che stanno approfittando del vuoto lasciato dalle potenze occidentali.
Conclusioni
Le trasformazioni in corso nel Sahel evidenziano la complessità del panorama geopolitico ed economico della regione. Da un lato, la spinta verso la nazionalizzazione rappresenta un tentativo dei paesi africani di rivendicare una maggiore sovranità sulle proprie risorse. Dall’altro, la competizione tra vecchi e nuovi attori globali – dall’Occidente alla Russia, fino alla Cina e alla Turchia – dimostra che il controllo delle risorse naturali rimane un campo di battaglia strategico.
Mentre i media occidentali denunciano le difficoltà incontrate dalle loro multinazionali, resta evidente che le dinamiche in atto sono il risultato di una ridefinizione degli equilibri di potere globali. Il Sahel, da sempre considerato una periferia del mondo, sta oggi rivendicando il suo ruolo di protagonista nella gestione delle proprie ricchezze.