Inizia la seconda parte di incontri di Ginevra 2

Kerry_Brahimi_Lavrov-50984-2-ed152Il conflitto prosegue tra finte ‘conferenze di pace’, tecniche di disinformazione e la dura realtà di una popolazione sottoposta ad una prova devastante.

di Patrizio Ricci

La prima fase di colloqui di pace ‘Ginevra 2’ (conclusasi il 31 di gennaio)  è stata organizzata dall’Onu con il sostegno  degli ‘amici della Siria’.  Dal processo di pace sono state escluse tutte le realtà rappresentative nel paese e le opposizioni che non sono scese in strada in armi.

Invece, sono state invitate le milizie ribelli. Di queste, ha accettato di partecipare solo la Coalizione Nazionale Siriana (Cns),  con molti assenti e senza alcuna rappresentatività  tra le formazioni combattenti . Ogni decisione presa dal Cns non avrebbe avuto seguito sul terreno. Ovvio che la sua partecipazione sarebbe stata possibile solo a condizione di non prendere alcuna decisione.

Per questo, la Conferenza è terminata sulle posizioni di partenza.  Fallito anche il tentativo di mandare ad Homs aiuti umanitari  e far uscire i civili dalla città assediata.  Intanto tra gli sponsor della rivoluzione e le petrol-monarchie del Golfo si studiano le contropartite economiche.
L’Italia che non ha contribuito in alcun modo alla fine del conflitto, ha fatto qualche buon affare svendendo ulteriori fette del nostro paese ad Adu Dhabi, Dubai, Doha e Kuwait city.

L’unica azione occidentale intrapresa sembra sia stata solo l’invio di armi, riprese in grande stile: a trattativa in corso il Congresso USA ha rifinanziato l’invio di nuovi  rifornimenti di armi qualitativamente e quantitativamente più rilevanti (naturalmente sempre non letali).
Il rifornimento di armi era stato interrotto quando era evidente che alla ribellione interessava più creare un califfato islamico che una democrazia occidentale. Tuttavia si è superato il problema:  gli esperti della ‘guerra ad oltranza’ hanno adottato  la retorica della distinzione tra forze moderate jadiste e forze jadiste tout court.  E’ chiaramente un’operazione di facciata ma si sa che a lungo andare  l’opera di imbonimento  dei neologismi  semantici riesce perfettamente.   L’alchimia è funzionata anche in altre occasioni: ad esempio,  lo stesso termine ‘moderati’  è stato  usato con successo dagli americani per indicare i combattenti talebani e per dare legittimità all’alleanza in chiave antisovietica (durante la guerra in Afganistan 1979-89)

Intanto si avvicina il secondo round di pace di Ginevra 2. Lo annuncia una fitta campagna mediatica che denuncia che le forze governative sono colpevoli di bombardamenti sulla popolazione, della preparazione di armi biologiche, della distruzione totale di interi quartieri, di impedire il rifornimento alla popolazione assediata, del bombardamento con bombe ‘barile’, dell’uccisione di migliaia di ‘attivisti’ e infine di prendersi gioco della comunità internazionale ritardando volutamente la consegna delle armi chimiche…

Ma qual è la fonte di queste notizie?  E’ difficile trovare un rapporto sulla Siria che non citi l’Osservatorio Siriano per i diritti umani (OSHR). Però  quello che nessuno dice è che l’ OSHR è soltanto una persona, Rami Abdulrahman, che vive a Coventry (Gran Bretagna http://uk.reuters.com/…/uk-britain-syria… ) e che i suoi report si basano sui comitati locali dei ribelli. Ovviamente diffonde notizie di parte e selezionate ma ciononostante da due anni  vengono pubblicate come veritiere. Tradotto:  i morti sono causati solo dall’esercito regolare mentre  quelli causati dai ribelli non vengono mai citati.

A tal proposito, un articolo del Guardian ripropone una domanda che ogni giornalista serio avrebbe dovuto porsi da mesi: chi sono i nostri interlocutori dell’opposizione siriana? “Chi sono i portavoce, gli “esperti della Siria”, gli “attivisti per la democrazia”. I creatori della versione ufficiale dei fatti. Le persone che “sollecitano” e “avvertono” e “esortano a passare all’azione”? È la storia di alcuni tra gli esponenti più citati dell’opposizione siriana e dei loro legami con il business anglo-americano della costruzione di un’opposizione anti-Assad. I principali media sono stati, per lo più, notevolmente passivi riguardo alle fonti siriane: classificandoli semplicemente come “portavoce ufficiali” o “attivisti pro-democrazia”, nella maggior parte dei casi senza verificare le loro dichiarazioni, il loro background e le loro connessioni politiche.

“È importante sottolineare che per studiare il background di un portavoce siriano non è importante mettere in dubbio la sincerità della sua opposizione al Assad. Bisogna tuttavia considerare che un odio appassionato del regime di Assad non è garanzia di indipendenza. – Inoltre è da considerare che – “un certo numero di figure chiave del movimento di opposizione siriana sono esuli da lunga data che ricevevano finanziamenti governativi Stati Uniti per minare il governo Assad già da molto prima che la primavera araba fosse esplosa”.

Evidentemente l’approccio dei media  è sbagliato: c’è chi usa ancora gli argomenti della ‘rivoluzione di popolo’ nonostante i fatti  stiano abbondantemente sconfessando questa lettura degli eventi. Sembra si ignori che parte integrante di ogni guerra è la guerra psicologica (PSYOPS, Psychological operations) e che la guerra siriana sia una guerra asimmetrica in cui gli interessi in gioco sono enormi.

Uno studio del ‘Centro Studi Post Conflict Operations’ di Torino ci fornisce una giusta definizione della guerra asimmetrica in corso in Siria: “La guerra asimmetrica non è quella combattuta tra due eserciti regolari appartenenti a due entità statuarie, bensì quella combattuta da forze irregolari con tecniche di guerriglia contro uno stato. In tale conflitto viene impiegato “qualsiasi mezzo in grado di annientare le strutture portanti dell’avversario (lo stato N.d.R.)”.

Ma attenzione: non vengono prese di mira solo le forze armate avversarie ma l’intera società civile, le strutture portanti necessarie alla gente per vivere. Sono comprese le fabbriche, gli ospedali, le scuole ed i metodi non prevedono solo il combattimento ma anche le autobombe, i rapimenti, le uccisioni, la pulizia etnica.. Ma se viene distrutto ogni cosa chi ci guadagna? Per quanto dura, la risposta è semplice: “Nella guerra asimmetrica a guadagnarci sono gli interessi legati allo status di belligeranza (stati stranieri, alcune compagnie trans-nazionali, ONG, private military companies, ecc. N.d.R.) e a perdere sono le popolazioni, poiché devono convivere con una conflittualità permanente, pagandone il prezzo umano e finanziario”.

Alla luce di queste evidenze apprestiamoci a seguire da domani  (per quel poco che trasparirà) gli incontri di Ginevra 2: siamo sempre aperti alla Provvidenza, e dei miracoli ci sarà bisogno. Ma l’esclusione dell’opposizione pacifica (non armata) e di altri soggetti politici all’infuori dei jadisti e dei quasi jadisti non lascia ben sperare.

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