La serie di conflitti e le tensioni che stanno sconvolgendo praticamente tutti i Paesi del Vicino Oriente arabo pongono degli inquietanti interrogativi sul futuro delle comunità cristiane che vi risiedono. Si tratta di quasi venti milioni di individui appartenenti a Chiese che risalgono ai primi anni della Cristianità, fondate da uomini che ebbero la fortuna di conoscere personalmente Gesù e di ascoltare dalla sua viva voce gli insegnamenti evangelici. Le stesse pietre lo gridano: dal santo Sepolcro alla cittadina siriana di Maalula, dove si parla ancora l’aramaico antico, da Cana a Sidone, il punto più a nord raggiunto dal Cristo per predicare, ovunque emergono i segni delle origini stessa di quella Chiesa che oggi è diffusa in tutto il mondo.
Oggi però su queste comunità, che hanno vissuto mille e quattrocento anni a diretto contatto con il mondo islamico, incombe la minaccia, in molti casi già concretizzatasi, di essere costrette a scegliere tra l’abbandonare le proprie case e fuggire in Occidente o morire. Malgrado tutto la volontà di resistere è ancora forte, ben rappresentata dalle parole del Patriarca Greco Ortodosso di Antiochia, Jouhanna Yazidi, “ non risparmieremo alcuno sforzo per difendere le nostre terre. Le nostre campane continueranno a suonare finchè ci sarà sangue nelle nelle nostre vene”. Una volontà che dovrebbe scuotere le coscienze del mondo intero, ma che per il momento ha raccolto solo qualche parola di retorica commozione.
Vediamo alcune delle situazioni più drammatiche.
IRAQ
Le comunità cristiane che vivono in Iraq sono sicuramente quelle che hanno pagato il prezzo più alto in conseguenza delle tensioni e delle guerre che divampano in Medio Oriente.
Nel paese mesopotamico il Cristianesimo ha radici antiche e vi sono sia Cattolici che Ortodossi. Le principali comunità cattoliche sono quella Caldea, la più importante numericamente, quella Greco Cattolica (Melchita), quella Armena Cattolica e quella Siriaco cattolica. Tra le comunità ortodosse la più importante è quella siriaco ortodossa. Vi è poi una comunità, quella Assira, che non è ascrivibile né alla Cattolicità né all’Ortodossia perchè riconosce la validità solo dei primi due Concili ecumenici e considera santo Nestorio (per questo viene definita anche Chhiesa Nestoriana).
La vita delle comunità cristiane in Iraq, non è mai stata facile ed è drasticamente peggiorata a partire dalla fine delle Prima Guerra mondiale quando le comunità musulmane (sia di obbedienza sciita che sunnita) incominciarono ad accusare i Cristiani di essere una sorta di quinta colonna delle potenze coloniali d’Occidente e di conseguenza a ghettizzarli e discriminarli. E’ doveroso sottolineare come, almeno nei primi tempi le ragioni dell’ostilità dei mussulmani verso i cristiani era più di origine nazionalistica che religiosa. Dopo il colpo di stato repubblicano del 1958 che portò alla caduta della monarchia la situazione dei cristiani peggiorò ulteriormente e vennero introdotte anche misure pesantemente discriminatorie come il tetto massimo del 5% di cristiani iscritti alle Università e gli impedimenti burocratici a riparare antiche chiese o a costruirne di nuove.
Paradossalmente il clima di ostilità si attenuò (ma non scomparve completamente) sotto la dittatura di Saddam Hussein tanto che fu lo stesso rais a volere come ministro degli Esteri un cristiano, Mikhail Yuhanna conosciuto come Tareq Aziz.
Dopo la caduta di Saddam Hussein, avvenuta nel 2003 a seguito dell’invasione americana del paese mesopotamico, per i cristiani in Iraq è iniziata una vera e propria discesa agli inferi. Il clima di caos che da allora regna nel paese ha consentito ogni genere di violenza contro chiese, sacerdoti e fedeli. Solo per citare alcuni casi più gravi:
– agosto 2004 una serie di attentati dinamitardi nelle chiese uccide undici fedeli;
– ottobre 2006 a Mosul viene rapito, ucciso e mutilato il sacerdote Boulos Iskander
– giugno 2007 viene ucciso un sacerdote cattolico nella sua chiesa, con lui vengono assassinati tre fedeli;
– gennaio 2008 vittime negli attacchi contro chiese a Mosul, Kirkuk e Baghdad;
– febbraio 2008 viene rapito e ucciso il vescovo cattolico caldeo Paulos Faraj Rah;
– aprile 2008 ignoti uccidono un sacerdote siro ortodosso, padre Youssef Adel;
– febbraio 2010 almeno otto cristiani vengono uccisi in una settimana di violenze a Mosul
– ottobre 2010 44 fedeli e due sacerdoti uccisi nell’attacco contro la chiesa di Nostra Signora a Baghdad
– settembre 2012 viene fatta esplodere la cattedrale caldea di Kirkuk;
– Natale 2012 in una serie di attentati vengono uccisi 34 cristiani;
– gennaio 2013 a Mosul viene trovato sgozzato un insegnante caldeo;
– gennaio 2014 uccisi tre cristiani a Baghdad.
La situazione per i cristiani era pertanto drammatica in Iraq ancora prima della comparsa sulla scena dell’ISIS ed il loro dramma è ben evidenziato da alcune cifre: ancora nel 1947 i Cristiani erano il 12% della popolazione irachena, percentuale calata al 6% nel 2003, al 2% nel 2013 ed a meno dell’1% oggi. In termini numerici significa che ancora nel 2003 i Cristiani residenti in Iraq erano oltre un milione e mezzo mentre ora -secondo le fonti meglio informate- sono tra i duecento ed i trecentomila. Non è esagerato quindi parlare di una vera e propria pulizia etnico-religiosa!
Nel giugno del 2014 si è poi toccato il fondo dell’orrore. Con una guerra lampo le bande armate facenti capo all’ISIS hanno occupato diverse città irachene, tra le quali Mossul, la terza città del paese come numero di abitati dopo Baghdad e Bassora e quella dove la residua presenza cristiana era più consistente. Non appena consolidato il loro potere i guerriglieri dell’ISIS hanno iniziato a segnare con vernice rossa le case dei cristiani, quindi sono incominciate violenze di ogni genere con numerose persone rapite e uccise per spargere il terrore. Quindi nel mese di luglio 2014 ai cristiani è stato posto un ultimatum: sceglliere se convertirsi all’islam, andarsene lasciando tutti i beni nelle mani dell’ISIS, pagare un grossa tassa (la jizia) o essere uccisi. Quasi tutti i cristiani hanno scelto di andarsene e solo poche settimane dopo il Patriarca Caldeo Luis Sako era costretto a dichiarare con angoscia: “per la prima volta nella storia non vi sono più cristiani a Mossul”. La tragedia si è ripetuta in tutta la piana di Ninive. I cristiani sono stati cacciati dalle città di Qaraqosh, Tal Kayf, Bartella e Karamlesh. Come ha riferito il cardinale Filoni, Prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli: “I cristiani hanno dovuto abbandonare tutto, persino le scarpe, e scalzi sono stati instradati a forza verso il Kurdistan”. Sulle chiese sono state issate le bandiere nere del califfato ed ogni segno della millenaria presenza cristiana è stato sistematicamente cancellato.
Oggi la situazione dei cristiani dell’Iraq è talmente drammatica da far dire al Vescovo Caldeo di Erbil: “ E’ un genocidio, punto. Bisogna chiamare le cose con il loro nome”.
Da più fonti si ribadisce che, senza un’intervento internazionale tra pochi anni la presenza cristiana in Iraq, oggi ridotta ai minimi termini, sarà solo un ricordo e questo, come ha dichiarato Christen Bleer, una volontaria che lavora in Iraq da sei anni “significa la disintegrazione dell’Iraq”.
fine prima parte
Massimo Granata – Mario Villani