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In occasione dell’Epifania, pubblichiamo un estratto del libro di Joseph Ratzinger (Benedetto XVI) L’infanzia di Gesù, pubblicato nel 2012 da Rizzoli e Libreria Editrice Vaticana. In particolare, i brani che seguono sono tratti dalle pp. 105-125 del volume.
Difficilmente un’altra narrazione biblica ha tanto stimolato la fantasia, ma anche la ricerca e la riflessione, quanto il racconto dei “Magi” provenienti dall’”Oriente”, un racconto che l’evangelista Matteo fa seguire immediatamente alla notizia della nascita di Gesù: “Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi [astrologi] vennero da oriente a Gerusalemme e dicevano: “Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo”” (2,1s).
Qui troviamo, come prima cosa, la chiara determinazione del quadro storico con il rimando al re Erode e al luogo di nascita, Betlemme. Ma, in ambedue i riferimenti, sono offerti, al tempo stesso, anche elementi di interpretazione. […] Betlemme è il luogo di nascita del re Davide. […] Il fatto che con l’aggiunta “di Giudea” la posizione geografica di Betlemme venga determinata più precisamente, potrebbe forse portare in sé anche un’intenzione teologica. Nella benedizione di Giacobbe, il Patriarca dice al figlio Giuda in modo profetico: “Non sarà tolto lo scettro da Giuda né il bastone del comando tra i suoi piedi, finché verrà colui al quale esso appartiene e a cui è dovuta l’obbedienza dei popoli” (Gen 49,10). In una narrazione che tratta dell’arrivo del Davide definitivo, del neonato re dei Giudei che salverà tutti i popoli, questa profezia è, in qualche modo, da percepire sullo sfondo.
Insieme con la benedizione di Giacobbe, bisogna leggere anche una parola attribuita nella Bibbia al profeta pagano Balaam. Balaam è una figura storica per la quale esiste una conferma fuori dalla Bibbia. Nel 1967, nella Transgiordania, è stata scoperta un’iscrizione in cui compare Balaam, figlio di Beor, come “veggente” di divinità autoctone – un veggente a cui vengono attribuiti annunci di fortuna e disgrazia (cfr. Hans-Peter Muller, art. Bileam). […] Tanto più importante resta quindi la promessa di salvezza attribuita a lui, non ebreo e servo di altri dèi, una promessa che evidentemente era nota anche fuori di Israele. “Io lo vedo, ma non ora, io lo contemplo, ma non da vicino: una stella spunta da Giacobbe e uno scettro sorge da Israele…” (Nm 24,17). Così si può certamente supporre che questa profezia non ebrea, “pagana”, circolasse in qualche forma fuori dal giudaismo e fosse oggetto di riflessione per le persone in ricerca.
Ora, però, bisogna anzitutto domandarsi: che genere di uomini erano quelli che Matteo qualifica come “Magi” venuti dall’”Oriente”? Il termine “magi” (
mágoi), nelle relative fonti, ha una notevole gamma di significati, che si estende da un senso molto positivo fino ad uno molto negativo. […]
Anche se non appartenevano esattamente al ceto sacerdotale persiano, erano tuttavia portatori di una conoscenza religiosa e filosofica che si era sviluppata ed era ancora presente in quegli ambienti. […] Forse erano astronomi; ma non a tutti coloro che erano in grado di calcolare la congiunzione dei pianeti e la vedevano venne il pensiero di un re in Giuda che aveva un’importanza anche per loro. Affinché la stella potesse diventare un messaggio doveva essere circolato un vaticinio del tipo del messaggio di Balaam.
Da Tacito e Svetonio sappiamo che, in quei tempi, circolavano attese secondo cui da Giuda sarebbe uscito il dominatore del mondo – un’attesa che Giuseppe Flavio interpretò indicando Vespasiano, con la conseguenza che entrò nei suoi favori (cfr. De bello Iud. III 399-408). Potevano concorrere diversi fattori per far percepire nel linguaggio della stella un messaggio di speranza. Ma tutto ciò poteva mettere in cammino soltanto chi era un uomo di una certa inquietudine interiore, uomo di speranza, alla ricerca della vera stella della salvezza. Gli uomini di cui parla Matteo non erano soltanto astronomi. Erano “sapienti”; rappresentavano la dinamica dell’andare al di là di sé, intrinseca alle religioni – una dinamica che è ricerca della verità, ricerca del vero Dio e quindi anche filosofia nel senso originario della parola. Così la sapienza risana anche il messaggio della “scienza”: la razionalità di questo messaggio non si fermava al solo sapere, ma cercava la comprensione del tutto, portando così la ragione alle sue possibilità più elevate.
In base a tutto ciò che s’è detto, possiamo farci una certa idea su quali fossero le convinzioni e le conoscenze che portarono questi uomini ad incamminarsi verso il neonato “re dei Giudei”. Possiamo dire con ragione che essi rappresentano il cammino delle religioni verso Cristo, come anche l’autosuperamento della scienza in vista di Lui. Si trovano in qualche modo al seguito di Abramo, che alla chiamata di Dio parte. In un modo diverso si trovano al seguito di Socrate e del suo interrogarsi, al di là della religione ufficiale, circa la verità più grande. In tale senso, questi uomini sono dei predecessori, dei precursori, dei ricercatori della verità, che riguardano tutti i tempi. […]
È tempo di tornare al testo del Vangelo. I Magi sono arrivati al presunto luogo del vaticinio, nel palazzo reale a Gerusalemme. Chiedono del neonato “re dei Giudei”.Questa è un’espressione tipicamente non-ebraica. Nell’ambiente ebraico si sarebbe parlato del re di Israele. Di fatto, questo termine “pagano” di “re dei Giudei” ritorna solo nel processo a Gesù e nell’iscrizione sulla Croce, ambedue le volte usato dal pagano Pilato (cfr. Mc 15,9; Gv 19,19-22). Così si può dire che qui – nel momento in cui i primi pagani chiedono di Gesù – traspare già in qualche modo il mistero della Croce che è inscindibilmente connesso con la regalità di Gesù. […] Al fine di chiarire la domanda, per Erode estremamente pericolosa, circa il pretendente al trono, egli convoca “tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo” (Mt 2,4). […] Quale risposta ha dato l’illustre riunione alla domanda circa il luogo di nascita di Gesù? Secondo Matteo 2,6 ha risposto con una sentenza, composta di parole del profeta Michea e del Secondo Libro di Samuele: “E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda; da te infatti uscirà un capo [cfr. Mi 5,1] che sarà il pastore del mio popolo, Israele [cfr. 2Sam 5,2]”. […] La risposta dei capi dei sacerdoti e degli scribi alla domanda dei Magi ha certamente un contenuto geografico concreto, che per i Magi è utile. Essa, tuttavia, non è solo un’indicazione geografica, ma anche un’interpretazione teologica del luogo e dell’avvenimento. Che Erode ne tragga le conseguenze è comprensibile. Sorprendente è invece il fatto che i conoscitori della Sacra Scrittura non si sentano spinti a conseguenti decisioni concrete. Si deve forse scorgere in questo l’immagine di una teologia che si esaurisce nella disputa accademica? […]
A Gerusalemme, la stella era chiaramente tramontata. Dopo l’incontro dei Magi con la Parola della Scrittura, la stella risplende nuovamente per loro. La creazione, interpretata dalla Scrittura, torna a parlare all’uomo. Matteo ricorre ai superlativi per descrivere la reazione dei Magi: “Al vedere la stella, provarono fortemente una grandissima gioia” (2,10). E’ la gioia dell’uomo che è colpito nel cuore dalla luce di Dio e che può vedere che la sua speranza si realizza – la gioia di colui che ha trovato e che è stato trovato. […]
Davanti al Bambino regale, i Magi praticano la proskýnesis, cioè si prosternano davanti a Lui. Questo è l’omaggio che si rende a un Re-Dio. A partire da ciò si spiegano poi anche i doni che i Magi offrono. Non sono regali pratici, che in quel momento forse sarebbero stati utili per la Santa Famiglia. I doni esprimono la stessa cosa della proskýnesis: sono un riconoscimento della dignità regale di Colui al quale vengono offerti. Oro e incenso vengono menzionati anche in Isaia 60,6 come doni di omaggio, che verranno offerti al Dio di Israele da parte dei popoli.
Nei tre doni, la tradizione della Chiesa ha visto rappresentati – con alcune varianti – tre aspetti del mistero di Cristo: l’oro rimanderebbe alla regalità di Gesù, l’incenso al Figlio di Dio e la mirra al mistero della sua Passione. In effetti, nel Vangelo di Giovanni compare la mirra dopo la morte di Gesù: l’evangelista ci racconta che Nicodemo, per l’unzione della salma di Gesù, aveva procurato, fra l’altro, anche la mirra (cfr. 19,39). Così, il mistero della Croce, mediante la mirra, viene nuovamente collegato con la regalità di Gesù e si preannuncia in modo misterioso già nell’adorazione dei Magi. L’unzione è un tentativo di opporsi alla morte, che solo nella corruzione raggiunge la sua definitività. Quando al mattino del primo giorno della settimana la donne giunsero al sepolcro per effettuare l’unzione, che, a causa dell’immediato inizio della festa, non era stato più possibile eseguire alla sera dopo la crocifissione, Gesù era ormai risorto: Egli non aveva più bisogno della mirra come mezzo contro la morte, perché la vita stessa di Dio aveva vinto la morte.
Pubblicato il 06 gennaio 2014
tratto da http://www.campariedemaistre.com/2014/01/i-magi-e-lepifania-secondo-benedetto-xvi.html
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