Il Catechismo cambiato e la mancanza di prudenza

Com’era facile prevedere, dopo che Francesco ha cambiato il testo del Catechismo circa la pena di morte si è innescato un ampio dibattito. Che presenta almeno due fronti: da un lato la questione della pena di morte in sé; dall’altro la questione riguardante la dottrina della Chiesa cattolica e le sue possibili modificazioni a fronte dei cambiamenti che avvengono nel mondo.
Circa il primo fronte, poiché non amo nascondermi ho già dichiarato la mia opposizione alla pena di morte. Un’opposizione fondata sul quinto comandamento, “non uccidere”. È vero che, come sottolinea il Catechismo (n. 2261) la Scrittura introduce una precisazione importante quando ricorda che il senso della proibizione è quello di “non far morire l’innocente e il giusto” (Es 23,7), ed è altrettanto vero che duemila anni di pensiero cristiano e di dottrina (basti ricordare Sant’Agostino e San Tommaso) hanno sostenuto la legittimità della pena di morte in alcune circostanze come extrema ratio di fronte all’aggressore ingiusto che non può essere neutralizzato in altro modo (ed è sostanzialmente il motivo per cui il magistero cattolico finora non aveva mai invocato l’abolizione incondizionata della pena di morte). Tuttavia (e qui mi rifaccio soprattutto alla lezione del teologo Gino Concetti) ritengo che la pena capitale sia, come l’aborto e l’eutanasia, una violazione del diritto alla vita che si attua mediante un’intollerabile sopraffazione da parte del forte sul debole. Dio ci dice che la vita umana, qualunque vita, è sempre sacra e inviolabile. La vita è un dono divino che non è nella disponibilità dell’uomo. Solo Dio può disporne. Inoltre, poiché nessuna giustizia umana può essere ritenuta perfetta ed esente da errori di valutazione, esiste sempre il rischio che la pena di morte sia inflitta a un innocente o comunque a chi non la merita. E siccome dalla morte non si può tornare indietro, alla vita, il rischio è davvero troppo grande perché sia consentito di correrlo.
Poi però c’è l’altra questione, quella che riguarda la motivazione utilizzata da Francesco per esprimere l’inammissibilità della pena di morte. Il papa infatti, per motivare la sua decisione, non ha preso ispirazione dal patrimonio di fede e di dottrina custodito e trasmesso dalla Chiesa, ma ha guardato a quanto sta avvenendo nel mondo. I presupposti del cambiamento, ha scritto, sono tre: la “sempre più viva consapevolezza” oggi diffusa circa la dignità della persona, la “nuova comprensione del senso delle sanzioni penali da parte dello Stato” e infine i nuovi “sistemi di detenzione più efficaci”. Come si vede, nulla che riguardi la Scrittura, l’insegnamento della Chiesa e il magistero. E qui si apre un grandissimo problema perché, di questo passo, qualunque punto della dottrina potrà essere cambiato prendendo ispirazione dalle nuove sensibilità che si diffondono nel mondo e dalle nuove tecniche che il mondo stesso, in diverse forme, è in grado di promuovere e applicare. Non a caso la cosiddetta comunità Lgbt ha già espresso la sua soddisfazione per la decisione del papa. Se infatti i presupposti del cambiamento della dottrina diventano “la sempre più viva consapevolezza” di un determinato fenomeno o di una determinata condizione e “la nuova comprensione” che si registra nel mondo a proposito di quel fenomeno o di quella condizione, è evidente che l’intero apparato dottrinale della Chiesa potrà essere agevolmente cambiato ed eventualmente scardinato.
Lo strumento (stavo per scrivere il grimaldello) che appare più disponibile per quest’opera di forzatura della dottrina è il concetto di dignità. In nome di una non meglio precisata “dignità” tutto può essere consentito. Ed è significativo che proprio alla dignità si appelli il papa per il cambiamento introdotto nel Catechismo. Diverso sarebbe stato se si fosse appellato all’inviolabilità della vita umana. Dignità è invece termine più indeterminato, che si presta all’apertura di altre prospettive (“avviare processi”, come ama dire il papa) e soprattutto a bloccare sul nascere ogni tentativo di giudizio morale.
Ecco il motivo per cui sostengo che il papa, motivando in quel modo il cambio di dottrina circa il n. 2267 del Catechismo della Chiesa cattolica, non ha fatto uso della prima delle virtù cardinali, che è la prudenza, detta l’auriga virtutum, il cocchiere di tutte le altre virtù. E non utilizzare la prudenza è molto grave, perché è la virtù dell’anima razionale, che sa riconoscere in ogni circostanza il vero bene e guida all’uso dei principi morali nelle diverse situazioni.
Qualche commentatore sostiene che questo è solo l’inizio e che in futuro ci saranno altri cambiamenti della dottrina cattolica motivati genericamente dalle nuove sensibilità diffuse nel mondo. Non ho doti profetiche e quindi mi limito a dire: Dio non voglia.
Aldo Maria Valli

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