Sibialiria rilanciato da Ora Pro Siria
di Marinella Correggia, Damasco
La nord-irlandese Mairead Maguire, premio Nobel per la pace nel 1976, ha guidato una delegazione internazionale a sostegno del movimento siriano Mussalaha (Riconciliazione). Occhi come il cielo d’Irlanda e sorriso buono, al termine della missione Mairead è lieta di rivolgere un appello all’Italia, mentre i tamburi di guerra della no-fly zone risuonano da Roma a Doha, da Istanbul a Parigi e rischiano di ipotecare la prossima conferenza internazionale sulla Siria.
Finora l’Italia si è mossa nell’ambito del gruppo cosiddetto degli “Amici della Siria”, con altri paesi della Nato e del Golfo. Cosa dovrebbe fare invece?
Qui abbiamo visto le sofferenze del popolo siriano, ma anche il suo impegno per il dialogo fra tutte le parti, e la pace. Vi chiediamo di non ostacolarlo, anzi di incoraggiarlo. Chiediamo agli stati di rimuovere le sanzioni economiche che aumentano le sofferenze di una popolazione colpita dalla guerra. Chiediamo di evitare interventi esterni diretti o indiretti: da fuori non devono arrivare armi o addestramento a combattenti spesso stranieri che uccidono cittadini siriani. Questa ingerenza impedisce la Mussalaha. La comunità internazionale ha il compito di spingere le parti a un processo di pace, non di soffiare sulla guerra. La Lega araba deve riaccogliere la Siria fra i suoi membri, e i paesi che hanno interrotto le relazioni diplomatiche dovrebbero riavviarle.
L’Italia ha riconosciuto come unico rappresentante del popolo siriano la cosiddetta “Coalizione nazionale della rivoluzione siriana e delle forze d’opposizione” che a dispetto del nome è nata sotto le ali del Qatar e continua a chiedere appoggi militari esterni.
In questi giorni abbiamo incontrato tanti cittadini e politici siriani, di diverso orientamento, di diverse comunità. E tutti, tutti sono molto amareggiati per questo riconoscimento mondiale alla “Coalizione di Doha”: persone che non rappresentano nessuno. Sono un gruppo illegale, eterodiretto, non eletto. Non possono parlare a nome del popolo siriano.
Quali sono i rischi di un allargamento della crisi, in questa guerra per procura?
La delegazione ha incontrato, a Baalbek in Libano, molti rifugiati dalla Siria, fra i quali tanti palestinesi che abitavano là da decenni. La tragedia siriana non mette solo in pericolo l’integrità di questo paese e la sua pluralità culturale e religiosa, ma può destabilizzare anche il piccolo Libano, che accoglie un numero di rifugiati pari a un terzo della sua popolazione. Quanto a Israele, il suo attacco aereo sulla Siria è un atto criminale. Enough is enough, dico a Usa e Israele: abbiamo visto abbastanza guerre!
Come si può fare affinché il popolo siriano possa decidere del proprio destino?
Nessuno da fuori può dettare nulla ai siriani. Bashar al-Assad è finora il presidente, e nessuna potenza da fuori può deciderne la rimozione finché non saranno i siriani a pronunciarsi, con le elezioni. Riconosciamo le legittime aspirazioni al cambiamento, ma le riforme richiedono mezzi nonviolenti. Abbiamo visto cos’è successo in Iraq: con la disinformazione, con la demonizzazione, si è arrivati a una guerra che ha distrutto il paese. Chiedo al presidente Obama di onorare il suo premio Nobel per la pace, di smettere l’appoggio finanziario e militare ai gruppi armati. Ho incontrato privatamente anche alcuni “ribelli” che con la Mussalaha hanno deposto le armi. Ho speranza, se cessano le ingerenze.
E il mondo guarda alla Siria: se riesce a trionfare qui, la pace, sarà un esempio per tanti altri casi. Pensiamo alla tragedia degli interventi bellici in Iraq, dell’Afghanistan, della Libia. Che non si ripetano.
Incontrando a Beirut l’ex generale Michel Aoun, avete discusso di “pace dall’alto” o “pace dal basso”…
Michel Aoun dice giustamente che occorre un cessate il fuoco immediato in Siria. Io ritengo però, sulla base dell’esperienza nell’Irlanda del nord, che senza riconciliazione dal basso, fra le comunità, questo sia troppo fragile. Noi con Peace People abbiamo prima lavorato fra le persone, in qualche modo “costringendo” Gran Bretagna e Irlanda a far pressione sui loro alleati locali. Ma riconosco che in Siria le ingerenze per fini geostrategici sono molto più forti.
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