Di Giovanni Formicola – Osservatorio card. Van Thuan
A suo tempo, il governo extraparlamentare (nel senso che non nacque in Parlamento, ma al Quirinale) presieduto da Mario Monti – uno specchietto per gli allocchi (in senso ornitologico) moderatisti e persino cattolici, fino al punto di accelerare mutazioni genetiche in mondi che furono coraggiosi nel difendere la verità sociale –, dichiarò formalmente guerra all’uso del danaro contante. Dopo una breve pausa, questa guerra è ripresa, e ora potrebbe avere un’accelerazione con il pretesto del Covid, che sembra un’autentica manna per ogni progetto sociale anti-cristano e anti-umano. È strano (forse no), ma ogni volta che un governo è imposto dall’Europa finanziaria, cioè dai padroni dello spread con il concorso dei governi franco-tedeschi, il danaro contante e il suo uso vengono ad essere demonizzati. Chissà che non ci sia qualche lieve conflitto d’interessi tra i popoli, la grande Banca e la tecnocrazia al potere in Europa.
E il governo dei due nichilismi alleati – uno rozzo e qualunquista, l’altro più pensato – sin da subito ha seguito e segue la linea, che oggi viene allo scoperto con il nome new great reset, sorta di terapia politica ed eco-socio-economica per un mondo che s’è meritato il Covid, ma non dal punto di vista di Dio.
L’abolizione – o la forte riduzione del contante – comporta
La riduzione dell’uso dei contanti o di altre non tracciabili modalità di pagamento è moralisticamente un modo per annientare la libertà, e non solo quella economica.
Lenin dichiarò – dimostrando di sapere bene che cosa fosse e quanto fosse in sé stesso totalitario e insopportabile – che «il socialismo è innanzitutto censimento» (Serge 1991), e non si riferiva certo a quello demografico, ma al censimento di Stato anche dell’ultima libbra di pane. Egli, e con lui il bolscevismo, era perfettamente cosciente che tale obiettivo non sarebbe stato raggiungibile, e con esso l’abolizione della proprietà privata e della libertà economica, se non con l’eliminazione del danaro. «Ogni membro della società, eseguendo una certa parte del lavoro socialmente necessario, riceve dalla società uno scontrino [la sottolineatura è mia: all’epoca non esistevano le carte magnetiche…] da cui risulta ch’egli ha prestato tanto lavoro. Con questo scontrino egli ritira dai magazzini pubblici di oggetti di consumo una corrispondente quantità di prodotti» (Lenin, 1977). E così, prima ancora che ci pensassero le banche – provate a farvi liquidare allo sportello un assegno bancario sul quale fino a poco tempo si leggeva «pagabile a vista al portatore»! –, dispose già alla fine del 1917 che «I prelievi dai conti correnti personali non potevano superare 600 rubli al mese, cifra ridotta a 500 rubli in febbraio [1918]» (B. Lincoln, 1991). Le tesi del VII congresso del Partito bolscevico prevedevano, tra l’altro, che il potere sovietico avrebbe disposto «la registrazione di tutte le operazioni commerciali – dato che il denaro non era stato ancora soppresso [sottolineatura dell’autore]» (V. Serge, 1991). Ed in effetti, «Il comunismo di guerra nella fase matura, cui pervenne solo nell’inverno 1920-21, comportava una serie di misure radicali intese a porre sotto la gestione esclusiva dello Stato, o più precisamente del partito comunista, tutta l’economia […]. Tali misure erano […] 3. Eliminare il denaro come unità di scambio e di contabilità, a favore di un sistema di baratto regolamentato dallo Stato» (R. Pipes, 1995).
Come sia andata a finire, è inutile ricordarlo. Il programma del governo dei due nichilismi – naturalmente con il nobile scopo di debellare l’evasione fiscale, che spesso altro non è che legittima difesa sociale, e potenziare l’azione di Stato di gestione e distribuzione dei redditi – va nella stessa direzione. Se è quella giusta, allora vuol dire – e non forzo nulla – che i bolscevichi avevano ragione. E se lo Stato è tutto, e i suoi debiti sono i debiti della nazione, e le sue spese sono le spese delle famiglie, allora certo che avevano ragione. Peccato che per la realizzazione di questo modello così contrario alle più elementari esigenze di libertà, come la storia ha dimostrato, non esista altro mezzo che la coazione. E da questo punto di vista, non c’è molta differenza tra la Polizia Tributaria ed Equitalia e gli «organi» (eufemismo per l’apparato repressivo) bolscevichi, se non nei mezzi cui questi ultimi ricorrevano (e, naturalmente, non è poco). Ma la riduzione se non la negazione della libertà, e non solo economica, è la stessa.
È un prezzo troppo alto da pagare. S’impedisce il risparmio privato, si ostacola la libertà economica, si nega – ne siamo testimoni proprio in questi giorni – moralisticamente la festa, si elimina ogni legittima riservatezza, e come effetto meno visibile si scoraggia – oltre tutti gli anti-incentivi morali – la procreazione. E proprio a quest’ultimo proposito, si deve osservare che ricominciare a fare figli sarebbe l’unica soluzione strutturale per una nuova crescita morale e quindi economica e creare di nuovo un po’ di prosperità, che non fa male, anzi. Ma con le correnti «manovre» di bilancio, invece, si contribuisce pesantemente all’inverno se non al suicidio demografico.
I nodi comunque verranno al pettine, e non senza dolore per tutti.
II
Come se non bastasse la motivazione socialista-moralistica per eliminare il presidio di libertà costituito dalla libera circolazione del danaro, ogni tanto ci viene inflitta qualche altra genialata.
«Eliminare il contante eliminerebbe le mafie». «È l’uovo di Colombo», fa da contrappunto qualche altro genio della specie.
Sì, e se ci estirpiamo tutti i denti avremo eliminato la carie. Come in Islanda e nel Regno Unito è stata di fatto debellata la trisomia 21, sterminando con l’aborto a seguito di diagnosi prenatale i bambini che ne sono affetti, che così non nascono più, e così la sindrome di Down non c’è più.
«Ma che c’entra», dirà qualche anima bella… C’entra c’entra, come ogni soluzione semplicistica di problemi gravi. Amputiamo il braccio malato, e non abbiamo più il problema di curarlo. Se la libertà sta al male come la velocità al volo, basterà eliminare la libertà per sradicare il male. L’abbiamo detto, che così scriveva nel 1920-21 nel suo capolavoro Noi, il romanzo distopico (anti-utopico, cioè disvelante l’inumanità dell’utopia collettivista e negatrice della libertà personale), Evgenij Zamjatin, ingegnere russo geniale come (quasi) tutti gl’ingegneri. Bolscevico, ma progressivamente pentito, tanto che dopo la Rivoluzione (rectius, colpo di Stato) dell’Ottobre fu sempre più critico nei confronti del governo rosso. Ne è un esempio il racconto che descrive una città il cui sindaco decide che l’uguaglianza è la chiave per rendere tutti felici. E perciò costringe ogni cittadino, incluso sé stesso, a vivere in una grande baracca, a radersi i capelli e a diventare mentalmente disabile per far sì che tutti condividano lo stesso livello di intelligenza (rectius, demenza; ma neanche in questa si riesce ad essere proprio eguali).
È forse questo livello d’intelligenza (come sopra) egualitario che induce a certe proposte e ad accoglierle con entusiasmo.
Ed invero, al di là del fatto che la mafia propriamente detta ha molto più a che vedere con il potere che con il denaro (basti pensare a come vivevano molti dei suoi capi) – e lo spiegava bene sant’Agostino, quando diceva che un regno, cioè un potere, senza giustizia altro non era se non un’enorme associazione a delinquere, ciò ch’è appunto una mafia: un potere ingiusto –, si deve osservare che una simile misura sradicherebbe con la zizzania tanta di quell’erba buona da rappresentare una vera e propria catastrofe socialmente desertificatrice.
La prima erba buona ad essere strappata via sarebbe la libertà, di cui la privatezza degli scambi e l’uso del contante sono presidi. Infatti, la totale tracciabilità delle transazioni economiche, si ribadisce, costituirebbe una forma di controllo sociale antitetico ad ogni forma di libertà, di cui si può abusare, come osservava Zamjatin, ma è noto che abusus non tollit usum, così come non è un modo saggio di prevenire la carie l’estirpazione a prescindere di denti sani. Inoltre, non si comprende come la mafia avrebbe bisogno del contante per farsi pagare appalti pubblici e/o privati ottenuti con la prepotenza, e così per la gestione d’imprese e attività economiche usurpate con gli stessi metodi. E quanto alla droga, finché ce ne sarà domanda libertaria, un modo per venderla e comprarla senza ricorrere a bonifici e assegni si troverà sempre (o ci penserà la repubblica a propinare droga di Stato, come previde nel 1932 Aldous Huxley? [1991]).
Altro frutto velenoso della geniale proposta – a questo punto perché non un coprifuoco da venti ore al giorno?, tanto con internet si può ben lavorare da casa[1] – sarebbe il perfezionamento del prepotere, già troppo diffuso, della banca. Infatti, se non si può usare contante per pagare ed essere pagati, anzi neppure si può detenerlo perché non sarebbe più coniato, allora per la banca passerebbe ogni transazione (mi manca come si potrà mettere la monetina nella cassetta dell’ascensore, o nel cappello del mendicante, ma forse con la mafia saranno eliminate anche queste vetuste realtà), e così essa sarebbe creatrice e padrona di tutto il danaro. E la pratica degl’interessi negativi – cioè una sorta di fitto da pagare per tenere i propri soldi in banca, ciò che sarebbe necessario e inderogabile nel modo più completo in mancanza di contante – verrebbe universalmente istituzionalizzata.
Allora il sistema bancario lucrerebbe tre volte con i nostri soldi.
Una volta, facendosi pagare per tenerli in (necessario, anzi coatto) deposito; la seconda, prestandolo al prezzo di interessi mai condivisi con il proprietario del danaro; la terza, facendosi pagare per ogni nostro pagamento o incasso.
Inoltre, il danaro – che in origine era cosa preziosa, poi carta che conteneva un’obbligazione («pagabile a vista al portatore»), oggi carta straccia convenzionalmente (e solo convenzionalmente) accettata – diventerebbe finalmente volatile, aria, nome, idea, di cui il mantice, l’anagrafe, il pensiero che la pensa, sarebbe nel totale dominio delle banche. E bisognerà avere il marchio (un microchip, un PIN?) ch’esse solo conferirebbero per vendere e comprare (cfr. Ap 13, «Vidi poi salire dalla terra un’altra bestia […] Faceva sì che tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e schiavi ricevessero un marchio sulla mano destra e sulla fronte; e che nessuno potesse comprare o vendere senza avere tale marchio, cioè il nome della bestia o il numero del suo nome»).
Altra erba buona ad essere sradicata sarebbe lo sviluppo economico e sociale, che senza la flessibilità, la rapidità, la facilità degli scambi per contanti, e senza il valore del danaro materiale, non può che vivere la stessa esperienza dei regimi totalitari comunisti. I quali, per eliminare il male potenzialmente e talvolta effettivamente connesso all’esercizio della libertà economica ed all’uso proprietario dei beni capitalizzati, oggi diciamo contante, ne hanno causato di infinitamente maggiori. Un tremendo portato: sacrificio di vite umane – cento milioni almeno, e solo nell’area del comunismo sovietico –; catastrofe antropologica; indicibili miseria e fame – e questa in particolare portò, dopo il disseppellimento delle carogne d’animali, a nutrirsi dei bambini, perché morivano per primi –; devastazione sociale e persino ecologica (dice niente Chernobyl?).
D’altra parte, i primi a parlare di abolizione del contante, come ricordato nella prima parte, furono appunto Lenin e i bolscevichi, certo non propriamente amici della libertà e artefici di sviluppo umano, sociale ed economico.
È impossibile negare che chiunque di nuovo sostenga l’eliminazione del danaro circolante, quali che siano le ragioni (rectius, i pretesti), si ponga nella stessa scia e possa essere, se soddisfatto, all’origine degli stessi mali, rispetto ai quali la mafia impallidisce. Anzi, diventa, non come nome, ma come fatto, finalmente e “legalmente” padrona di tutto.
Giovanni Formicola
Bibliografia
Serge 1991: Victor Serge, L’anno primo della rivoluzione russa, trad. it. Einaudi, Torino 1991.
Lenin 1977: Lenin, Stato e Rivoluzione, trad it. Editori Riuniti, Roma 1977.
Lincoln 1991: W. Bruce Lincoln, I Bianchi e i Rossi. Storia della guerra civile russa, trad. it., Mondadori, Milano 1991.
Pipes 1995: Richard Pipes, La Rivoluzione russa. Dall’agonia dell’ancien régime al terrore rosso, trad it., Mondadori, Milano 1995.
Zamjàtin 1990: Evgenij Zamjàtin, Noi, trad. it. Feltrinelli [III] 1990 [1922].
Huxley 1991: Aldous Huxley, Il mondo nuovo, trad. it. Mondadori [XIII] 1991 [1932]
[1] Questo scrivevo nel dicembre 2019. M’hanno preso in parola, estendendo però il “coprifuoco” a ventiquattr’ore. Ah, “benedetto” Covid, una manna per certi figuri.
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