Adra: il massacro sotto la neve

copertina ParisSibiaLiria

All’alba dell’11 dicembre 2013, la città industriale di Adra, che si trova a 40 km a nordest della capitale siriana, è stata vittima di un tremendo massacro.

La cittadina, che vanta una popolazione di oltre 100.000 abitanti e ospita 600 impianti di produzione industriali e silos di grano, fa parte della provincia Ghouta (la stessa resa celebre dai presunti attacchi chimici contro il popolo siriano nell’agosto scorso).

Il 2 maggio scorso, Ziad Badour, direttore di Adra Industrial City, aveva dichiarato alla Sirian Arab News Agency (SANA), che più di 48.000 opportunità di lavoro vi erano in quella regione e che si ospitavano sia lavoratori provenienti da diverse parti del paese sia profughi interni da Douma, Yabroud, Harasta, Nabek, ma anche da Aleppo, Homs e Idleb terrorizzati dai mercenari stranieri. A questo scopo, il governo siriano veva anche costruito 1.200 unità abitative per gli oltre 100.000 sfollati, in Adra.
[pullquote]Ci siamo svegliati al grido di Allahu Akbar, con fuoco intenso e bandiere nere dell’Esercito dell’Islam e di Jabhat al-Nusra. Alcuni di loro stavano cantando: Siamo venuti per uccidere voi, nassiriani[/pullquote]

Tra le persone riallocate però pare figurassero anche 500 cellule dormienti, poi unitesi alle bande che hanno invaso la cittadina.

Adra si è trasformata da zona di speranza ad area tragicamente occupata.

Secondo il quotidiano libanese al-Akhbar “molti elementi di al-Dhamir arrivati nella città industriale di Adra alle 4:00 del mattino … Hanno chiesto ai suoi abitanti di scendere nel loro rifugio e hanno preso in ostaggio circa 200 di loro, scelti in base a criteri comunitari, assassinandone un certo numero …”.

indexTra i luoghi presi di mira figurano la stazione di polizia, dove sono state assassinate tutte le persone presenti nell’edificio, la clinica pubblica, in cui è stato decapitato un infermiere considerato “shabbiha” in quanto dipendente pubblico, e il forno centrale, dove sono stati saccheggiati tonnellate di farina e arse vive almeno 11 persone.

La testa mozzata dell’infermiere è stata appesa su un albero nel mercato. Ben presto, diverse altre teste mozzate si sono unite alla sua, su quell’albero.

Le bande jihadiste hanno, inoltre, dato fuoco alle abitazioni dei funzionari pubblici, come raccontano diverse testimonianze raccolte dal sito di opposizione SyriaTruth: “Ci siamo svegliati al grido di Allahu Akbar, con fuoco intenso e bandiere nere dell’Esercito dell’Islam e di Jabhat al-Nusra. Alcuni di loro stavano cantando: Siamo venuti per uccidere voi, nassiriani (ovvero alawiti).”

” … Hanno ucciso un dipendente che era di guardia nel dispensario e appeso la sua testa”, dice uno dei testimoni. Un’altra aggiunge: “Hanno rapito decine di uomini e radunati in piccole aree degli edifici, li hanno uccisi aprendo su di loro il fuoco delle mitragliatrici”.

Una terza ha spiegato che per il solo panificio si contano almeno 11 morti, tra cui i 9 dipendenti, diverse donne e “sette ostaggi prelevati dal forno sono stati uccisi, decapitati e le loro teste appese nel mercato.”

[pullquote]Tutti i corpi sono stati mutilati e bruciati, solo perché dipendenti pubblici, e, quindi, “shabbiha” – secondo le definizioni delle bande jihadiste.[/pullquote]

Nella stazione di polizia, invece, si stimano in tutto circa venti elementi uccisi. Tutti i corpi sono stati mutilati e bruciati, solo perché dipendenti pubblici, e, quindi, “shabbiha” – secondo le definizioni delle bande jihadiste.

Il massacro – continua SyriaTruth – è proseguito per tutto il giorno.

La maggior parte delle vittime è stata assassinata per motivi religiosi o perché dipendenti pubblici. Se alawiti, cristiani, drusi e membri di altre minoranze sono stati le principali vittime della strage, tra i martiri si contano anche 20 sunniti.

Il destino di 200 residenti del complesso residenziale è ancora sconosciuto, utililizzati per lo più come scudi umani negli attacchi contro l’esercito arabo siriano intervenuto nelle ore successive su richiesta degli abitanti per liberare la zona.

Per quanto riguarda gli autori del massacro, si tratterebbe dei miliziani del Fronte islamico, in particolare dell’Esercito dell’Islam ( Jaish el- Islam), sostenuto dall’Arabia Saudita, e di Jabhat al-Nusra, ma, secondo altri, ci sarebbe anche la mano dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante.

Alcuni rapporti hanno azzardato che la rapida brutalità degli attacchi in Adra era in realtà una sorta di “vendetta” per le perdite subite sulle montagne del Qalamoun, ma la complessità dei loro movimenti notturni smentisce questa semplificazione, esattamente come le testimonianze raccolte da Russia Today:

“Avevano le liste dei dipendenti pubblici con loro … Questo significa che avevano programmato tutto in anticipo e sapevano chi lavorava nelle agenzie governative. Si sono presentati agli indirizzi che avevano sulla loro lista costrengendo la gente ad uscire fuori e sottoporli alle cosiddette prove della Sharia. Penso che le chiamino così. Li hanno condannati a morte per decapitazione.”

[pullquote]corpi torturati, decapitati, in via di decomposizione, gettati in tutte le vie.[/pullquote]

Il numero esatto delle vittime non è stato ancora rivelato, per la semplice ragione che le forze governative procedono lentamente nel loro contrattacco per non rischiare di colpire i civili utilizzati come scudi umani dalle bande jihadiste barricate nelle abitazioni.

E’ ancora il sito SyriaTruth a diffondere i nomi di 91 civili assassinati, 11 dei quali colpiti con oggetti appuntiti. Tra le vittime, figura anche una bambina di 10 mesi, Rabab Alhaj Ali.

Nei giorni immediatamente successivi al massacro, sono iniziate a trapelare alcune testimonianze che hanno fatto emergere alcuni dettagli dell’estrema crudeltà di questo crimine contro la popolazione.

“C’era strage ovunque,” racconta una donna a Russia Today, “Il più anziano aveva solo 20 anni, è stato macellato. Erano tutti bambini. Li ho visti con i miei occhi. Hanno ucciso quattordici persone con un machete. Non so se queste persone erano alawiti. Non so il motivo per cui sono stati uccisi. Li hanno afferrato per la testa e li hanno macellati come agnelli”.

Anche il medico Mazhar Ibrahim, originario di Tartus, sfuggito dalla morte, ha raccontato a Breaking News Network: “Dalle ore precedenti di quel giorno, ho sentito il crepitio di spari di fronte a casa mia, che si trova di fronte a una panetteria, poi ho capito che si trattavISIL_terrorist_acta di uno scambio di fuoco tra i militanti e le guardie della panetteria … erano ore difficili … sono scappato con mia moglie e mia figlia Kristin in un rifugio vicino, dove si sono nascosti decine di residenti.”

“Allora gli uomini armati si sono infiltrati nel rifugio e hanno iniziato a torturare, uccidere e domandare chi sostiene il “regime” e lavora con il governo”, ha proseguito, spiegando chegli jihadisti hanno tagliato le mani dei dipendenti pubblici, per evitare che potessero tornare a lavorare e decapitato alcuni di loro, torturandoli davanti agli occhi dei bambini.

“Dopo tre giorni di orrore nel rifugio”, il medico racconta di aver avuto l’opportunità di fuggire con la sua famiglia e altre famiglie verso la strada principale, dove si trovava dell’esercito arabo siriano.

Il medico ha anche descritto le scene orribili cui sono stati costretti ad assistere: corpi torturati, decapitati, in via di decomposizione, gettati in tutte le vie.

“Gli uomini armati non erano siriani”, spiega la moglie “abbiamo vissuto giorni terribili, prima che potessimo sfuggire solo con i vestiti che indossavamo. L’esercito arabo siriano ci ha protetto e ci ha aiutato a raggiungere una zona sicura.”

Ma tra le storie più tragiche emerse spicca in particolare quella dell’ingegnere Nizar al-Hassan, morto insieme a moglie e figli nel loro appartamento, insieme a 8 terroristi di Jabhat al-Nusra.

Dalle ricostruzioni sembra che il padre abbia deciso di martirizzarse sé e la famiglia con quattro bombe, che aveva trovato vicino al corpo di un soldato siriano, per sfuggire alle brutalità inimmaginabili che sarebbero loro toccate una volta finiti nelle mani delle bande alqaediste.

Attualmente l’esercito arabo siriano sta lottando per liberare Adra dai 2.500 invasori.

Presto, forse, le teste mozzate verranno rimosse dagli alberi. Ma, per ora, il sangue macchia ancora la neve ad Adra.

Pierangela Zanzottera

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