Al Cairo alla sbarra le ONG statunitensi pro-democrazia

di Patrizio Ricci

Mentre ufficialmente il governo statunitense appoggiava Mubarak fornendo anche consistenti quantitativi di materiale antisommossa, le ONG americane sin dal 2008 hanno operato in Egitto in funzione anti-regime sostenendo e incoraggiando il dissenso. Esse hanno supportato i sindacati, hanno agito per espandere l’uso dei nuovi media tra gli attivisti, si sono occupate di stimolare la partecipazione politica, di identificare giovani leader e fornire loro ulteriore formazione, si sono adoperate per costituire un coordinamento e lo scambio di esperienze tra attivisti e le ONG del Cairo.

Tutte le ONG statunitensi sono finanziate dalla National Endowment for Democracy (NED) , un’organizzazione nata nel 1982 per volere del presidente Reagan. La NED riceve direttamente i fondi dal Dipartimento di Stato americano ed è strettamente legata alla Cia. Il suo scopo è ‘promuovere la democrazia e lo sviluppo delle nazioni, costruire organismi politici, salvaguardare le elezioni”. Ai fondi provenienti dal governo federale si sommano quelli di sovvenzioni volontarie di fondazioni private e d’altri soggetti, come il miliardario liberale George Soros. Non ricevendo i finanziamenti direttamente dal governo USA, tali organizzazioni si definiscono ‘non governative’. Due delle Ong coinvolte, il National Democratic Institute (NDI) e l’International Republican Institute (IRI), sono affiliate ai principali partiti politici americani. Come si può notare dalla rispettiva sigla il riferimento è palese, ma si dichiarano apartitiche.

Dopo la ‘primavera’ di piazza Tharir, l’attivismo di queste ONG ha conosciuto un fervore ancor più grande. Nella circostanza favorevole della forte instabilità politica, il tentativo era di accelerare il passaggio di potere tra la giunta militare alla guida del Paese e un nuovo governo di esponenti civili graditi agli occidentali. A questo punto, è probabile che la ‘casta dei militari’ non abbia apprezzato le api operaie al lavoro… o forse le istituzioni egiziane hanno imparato così bene lo spirito della rivoluzione che stanno provando a mettere realmente in atto il pensiero democratico e reclamare la propria indipendenza; sta di fatto che il 29 dicembre su mandato della magistratura è stata aperta un’inchiesta, la polizia egiziana ha fatto irruzione nelle sedi di 17 ONG ed ha trattenuto decine di operatori. L’accusa nei confronti degli attivisti è cospirazione, di attentare all’unità del paese e minare la stabilità delle istituzioni. Non è tutto: ai responsabili sono state contestate anche altre irregolarità, come la gestione di fondi illegali provenienti dagli USA , dall’Europa e da alcuni paesi arabi. Come se non bastasse, gli emolumenti erano accreditati sui singoli conti correnti degli attivisti anziché sui quelli delle associazioni; infine, le ONG non sarebbero mai state autorizzate ad operare in Egitto.

La reazione degli USA non si è fatta attendere: è stato chiesto il rilascio immediato dei propri cittadini e l’annullamento del processo, pena il ritiro di 1,3 miliardi di dollari di aiuti militari alle Forze Armate (tale è la somma di aiuti forniti annualmente, da 30 anni a questa parte). E’ stato inoltre messo in pericolo anche un prestito concesso dall’FMI per 3,2 miliardi di dollari, di fondamentale importanza per l’Egitto, in preda ad una crisi economica disastrosa. Di fronte a tali pressioni, tre giudici si sono dimessi reclamando la loro indipendenza e la loro dignità ma alla fine le autorità egiziane hanno desistito revocando il divieto di lasciare il Paese per gli attivisti.

E’ ancora una volta il sogno del puritanesimo americano che, come una missione divina e credendo di esercitare una supremazia morale sopra tutti i popoli, sembra ancora voler perseguire a tutti i costi la realizzazione di quella felicità, di quel paradiso in terra, di quella ipotetica città eterna in cui dominino giustizia e saggezza.

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