Il Coordinamento Nazionale per la Siria ha riproposto il 7 settembre 2014 la giornata di preghiera per la Siria, indetta dal Santo Padre nel 2013, secondo le stesse intenzioni dell’anno precedente.
Ci ha colpito l’articolo di Rodolfo Casadei del 7 settembre 2014 intitolato ” Siria e Iraq un anno dopo, pregare per chiedere un intervento militare“.
Chiamati direttamente in causa rispondiamo per la parte che riguarda la Siria e la giornata di preghiera da noi proposta.
Innanzi tutto riteniamo che l’articolo di Casadei contenga alcune imprecisioni sul contesto attuale e sulle dinamiche che caratterizzano il conflitto siriano.
1. Nell’articolo si parla della presenza ISIS in Siria solo nella frase “..il dilagare dell’ Isis. ……dalle porte di Aleppo in Siria fino a Mosul e Tikrit in Iraq…” senza fornire particolari su quanto territorio siriano sia controllato dal Califfato e sulla presenza delle sue milizie nel resto della Siria.
Quanto agli altri gruppi armati antigovernativi, troviamo un riferimento all’ampia presenza jihadista nel 2013 ma per la situazione attuale si parla genericamente di ribelli, senza neanche accennare ai gruppi affiliati ad al Qaeda o comunque estremisti integralisti ma non Isis, quali il Fronte al Nusra e altri minori.
Considerando la presenza nel paese dell’ Isis e di altri gruppi jihadisti composti anche da stranieri, ammessa da tutti gli osservatori, appare assai irrealistica la proposta di un accordo per la spartizione delle “aree di influenza” con deposizione delle armi da parte dei ribelli.
E’ invece auspicabile il negoziato ma che coinvolga tutte le parti siriane interessate, compresi i curdi, e tutti i paesi della regione, anche l’ Iran, come non avvenne a Ginevra2. E l’iniziativa per avere speranze di successo dovrebbe partire dal riconoscimento della situazione reale che vede combattere nel paese di Damasco molti stranieri integralisti e non solo nell’ Isis.
2. In riferimento all’attacco chimico a Ghouta l’articolo fa intuire che sia opera dei governativi. Infatti dice che se anche la Commissione Onu non ha stabilito chi ha effettuato l’attacco, i razzi utilizzati erano quelli in dotazione all’esercito siriano. In realtà quei fatti sono molto più complessi e non si possono liquidare in modo così approssimativo. Tant’è che ancora oggi, dell’attacco chimico di Ghouta, non si sa esattamente neanche il numero delle vittime: esse vanno da “almeno 281 a 1.729 morti” dice wikipedia).
L’indagine commissionata dall’Onu (richiamata nell’articolo ) non ha indagato solo sull’attacco chimico di Ghouta ma anche su quelli effettuati in altre località. Viene precisato dagli ispettori che l’indagine è stata effettuata a posteriori e non c’è certezza in nessun caso che le prove non siano state manipolate.
In definitiva la Commissione non ha potuto accertare la responsabilità dell’eccidio di Ghouta (qui il rapporto conclusivo: United Nations Mission to Investigate Allegations of the Use of Chemical Weapon ).
Però è significativo che accanto a quelle della Commissione Onu sono state svolte altre indagini indipendenti. Il Mit (Scienze, Tecnology e Global Security Working Group- Massachuset Institute of Tecnology – USA) ha effettuato una proprio ricerca . Lo studio dimostra che l’attacco chimico di Ghouta non può essere stato effettuato da Damasco (Possible implication of faulty US tecnichal intelligence in the Damascus nerve agent attack)
Un’altra indagine è stata effettuata dal premio Pulitzer Seymour Hersh (vedi qui http://www.rainews.it/…/Siria-furono-i-ribelli-ad-usare… e qui http://www.huffingtonpost.it/2014/04/09/siria-attacco-chimico_n_5116324.html ). Il risultato di questa inchiesta è che l’attacco è stato effettuato dai ribelli e non dai governativi.
Dubbi sulla paternità dell’attacco è stato sollevato anche dall’l’Istituto Internazionale per la Pace, Giustizia e Diritti Umani (ISTEAMS), che ha pubblicato una sua relazione (The chemical attack of east Ghouta).
Ci sono inoltre report giornalistici in cui i ribelli dicono esplicitamente è stato compiuto da loro (articolo di Dale Gavlak che lavora anche per Associated Press).
Concludiamo sulle dinamiche attuali del conflitto siriano dicendo che nel titolo c’e’ un accenno ad un eventuale intervento militare in Siria (si presume contro l’Isis) ma nel testo dell’ articolo non troviamo niente su questa eventualità. Non conosciamo quindi il parere del giornalista sulle ipotesi prospettate da Obama di intervento statunitense in Siria contro le basi del Califfato, come Coordinamento per la Pace in Siria però teniamo ugualmente a precisare che siamo contrari ad un intervento straniero nel paese senza consenso del governo di Damasco.
3- L’ultima osservazione è ‘sul pregare per chiedere un intervento militare’. E che se l’anno scorso aveva un senso una giornata della pace per scongiurare l’intervento militare ora non ha più senso. ..
Ovviamente non siamo d’accordo. Non si può ridurre il gesto di preghiera dell’anno scorso solo come funzionale a fermare i bombardamenti.
Vale la pena perciò rileggere l’ omelia di Papa Francesco sul sagrato della Basilica Vaticana: guardando gli avvenimenti di oggi vediamo chiaramente che i giudizi espressi sono tuttora validi.
Casadei asserisce praticamente che la proposta sostenuta dal Coordinamento Nazionale per la pace in Siria, sostenuta da alcuni vescovi siriani e condivisa da tante parrocchie non ha senso. Infatti, a suo giudizio, se l’anno scorso è servita a fermare l’attacco franco-americano, ora è urgente “pregare che le potenze straniere che appoggiano i due contendenti – il governo Assad e la galassia delle formazioni ribelli – trovino un accordo di livello regionale che ridisegni equilibri ed aree di influenza. A quel punto i ribelli deporrebbero le armi e, previa amnistia che il governo certamente concederebbe, tornerebbero alla vita civile”.
Benchè condividiamo molte affermazioni contenute nell’articolo, poniamo alcune considerazioni:
Il primo punto è il valore della preghiera. E’ il messaggio che anche in un momento di infinita sofferenza ci hanno voluto trasmettere alcuni profughi cristiani di Erbil che sulle loro tende “Gesù Cristo è la luce del mondo”. Semplicemente è questo il contenuto della preghiera: si riafferma il valore della vita perché possibilità rapporto con il Mistero. Solo questo rende la propria umanità e la propria libertà irriducibile.
Quei profughi di Erbil non hanno scritto “mandateci gli aerei americani a bombardare ISIS”. No, hanno scritto “Gesù Cristo è la luce del mondo”. Sono folli? No, non sono folli. Sono folli i potenti perché è il mancato riconoscimento del contenuto di quella frase dettata dalla fede, ha scatenato l’inferno in terra.
In Siria, in Iraq, in Libia, l’occidente è intervenuto appoggiando ‘rivoluzioni’ innescate da gruppi settari che non si sarebbero mai mossi senza il loro sicuro appoggio militare, politico e finanziario. Dove sono avvenute, in Libia, in Iraq ed in Siria, hanno portato divisione ed odio facendo sprofondare la società civile nel caos e nell’anarchia. In Siria migliaia di uomini provenienti da 80 paesi diversi investiti del potere momentaneo e miserabile di un’arma hanno fatto uscire il peggio di sé giustificandosi con il sacro.
Si dovrebbe pregare perché ” le potenze straniere trovino un accordo”. Ma come, se sono solo guidate dall’interesse ? Come, senza il cambiamento di mentalità, del cuore?
La parole di una monaca di un monastero trappista in Siria riteniamo siano le più realiste, perché vanno alla radice dei problemi: “Bisogna veramente avere a cuore la situazione, cercare di capire le cose che sono in gioco e che sono complesse, solo così si possono trovare le soluzioni”. E c’è una cosa che noi tutti possiamo fare, innanzitutto per noi stessi: la preghiera. E’ necessaria la preghiera; non solo come atto ma come atteggiamento: “credo che certe cose si risolvano veramente solo con uno sguardo di preghiera, perché la preghiera poi è anche un’azione e cambia il modo di vedere le cose: ti dà modo di capire cosa fare, come intervenire e come ascoltare questa gente”. In certe situazioni è più evidente l’essenziale ed il vero bisogno dell’uomo, per questo sono necessarie scelte radicali: “Ci sembra che ci si ritrovi sempre più insieme davanti al Dio Creatore e davanti al bene che è nel cuore di ogni uomo. Penso che il Papa in questo abbia fatto fin dall’inizio un appello proprio all’uomo in quanto tale”.
Bisogna avere sete: conosce il bisogno altrui solo chi conosce il proprio. Quindi, il solo modo efficace di reagire è avere un ‘sguardo di preghiera’. Quello che ci è giunto dal piccolo monastero trappista in Siria, è l’invito a porsi davanti agli avvenimenti con lealtà. Un simile metodo, purtroppo, non è ciò che ispira l’azione dei paesi che rappresentano la comunità internazionale. I paesi ‘democratici’, i paesi cosiddetti ‘liberi’ seguono un’altra stella polare: a loro interessano gli interessi economici e soddisfano i desideri di potere dei propri alleati per trarne profitto. Per questo non ce la sentiamo di affidare la soluzione all’intervento degli stessi che hanno armati i ribelli.
La generosità non è ricolmare gli ‘squilibri’ con le armi, però non abbiamo fatto altro... Non si è generosi neanche donando generi alimentari o ospitando i profughi se siamo noi stessi causa della penuria e della sofferenza. Si può essere generosi solo se ci si sente incompleti, privi di qualcosa, assetati di verità e di bellezza: alla preghiera affidiamo questa tensione. Non si può lottare contro alcunché se non si è se stessi uomini di pace: il bene non è l’assenza del male, né la soddisfazione di tutte le libertà dell’uomo o la ‘riuscita’ di una particolare strategia.. La nostra tradizione cristiana indica chiaramente cosa fare e come comportarsi: se cerchiamo questo Bene e ne seguiamo le tracce, la pace è possibile. Altrimenti la pace, nella migliore della ipotesi, è solo la condizione precaria dell’assenza della guerra.
Ce lo ha ricordato il Santo Padre: solo in questo modo si può ‘fermare l’aggressore ingiusto’ che non vuol dire semplicemente bombardare.
Caro Casadei, la preghiera è per questo, alla politica il resto.
Coordinamento Nazionale per la pace in Siria