”Così la Chiesa anti-dogmatica cede al dogma del relativismo”
L’intervista di The Post Internazionale al vaticanista Aldo Maria Valli tratto dal suo blog. “Intervista a vasto raggio: su questo pontificato, la situazione della Chiesa, i rapporti con l’Islam”.
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“Che altro sono ancora queste chiese, se non le fosse e i sepolcri di Dio?”, urlava l’uomo folle nietzscheano intonando il Requiem aeternam Deo.
Se a fine Ottocento, “l’annuncio più grande” destava ancora l’incredulità dei credenti e suscitava l’ilarità degli atei, oggi la situazione sembra essersi completamente stravolta. La Chiesa stessa, o almeno una parte di essa, sembra aver preso coscienza della propria agonia.
Aldo Maria Valli, vaticanista Rai e intellettuale di spicco del mondo cattolico, prova a immaginare un futuro nel quale le cattedrali saranno completamente vuote e il paradiso, a torto o a ragione, sarà soltanto una favola per bambini.
Domanda
Il Papa emerito, Joseph Ratzinger, nel 1969 scrisse che la Chiesa aveva iniziato il proprio cammino verso la fine, con preti sempre più trasformati in assistenti sociali e la fede ridotta a visione politica. Oggi a che punto siamo?
Risposta
Quel processo è andato molto avanti. Dal Concilio Vaticano II in poi la Chiesa cattolica si è impegnata sempre di più sul terreno sociale ed ha dedicato attenzione sempre più scarsa alle cose ultime, a quelli che si chiamano i Novissimi, ovvero la morte, il giudizio, l’inferno, il paradiso. Nel tentativo di dialogare con il mondo, la Chiesa ha rinunciato a occuparsi delle anime e della salvezza eterna. Sotto l’attuale pontificato questa tendenza si è accentuata come non mai. Francesco ha dimostrato di avere una visione tutta orizzontale della vita di fede. La stragrande maggioranza dei suoi interventi è dedicata ai problemi sociali ed economici. Non dico che la Chiesa non se ne debba occupare, ma ormai siamo arrivati a un punto estremo: da parte della Chiesa c’è un silenzio assordante sul soprannaturale. Abbiamo una Chiesa mondanizzata, che non parla più del peccato originale e non annuncia la redenzione. Una Chiesa snaturata.
Nel suo pamphlet Come la Chiesa finì (Liberilibri, 2017) lei parla della conversione della Chiesa cattolica nella Nuova Chiesa Antidogmatica. Che cosa intende dire?
Dico che la Chiesa, per piacere al mondo e risultare simpatica, amica, attraente, ragiona come il mondo, abbraccia l’ideale del “rinnovamento” e rinuncia all’idea di verità. Poiché il mondo dice che la verità, in senso assoluto, non esiste e non può essere conosciuta, ma al più esistono tante verità che devono convivere, la Chiesa, per adeguarsi a questo pensiero, rinuncia ai suoi dogmi e così, una volta ancora, si snatura e si appiattisce. Il dogma è una verità di fede insegnata dalla Chiesa. Come tale non può essere relativizzato. Ma poiché il mondo è dominato dal relativismo e dal soggettivismo (non esistono leggi eterne ed assolute, ma è vero solo ciò che il soggetto sperimenta e prova) ecco che la Chiesa mondanizzata si mette sulla stessa linea. Con risultati devastanti, perché non annunciando più la verità di Cristo fallisce sotto tutti gli aspetti: non si occupa più della salvezza delle anime e non dice più nulla di originale all’uomo del suo tempo. Nel mio libro, ambientato in un futuro immaginario ma non troppo, descrivo una Chiesa ex cattolica che, vergognandosi dei dogmi, si è ridotta a una brutta copia delle Chiese protestanti. Ha fatto proprio il relativismo, predica l’etica della situazione (le leggi sono adattabili ai singoli casi e non ci sono più principi assoluti), non possiede nemmeno più un vocabolario per annunciare le verità eterne e a un certo punto, per completare l’opera, decide di cambiare anche la “ragione sociale” dichiarandosi apertamente nuova e antidogmatica.
La disintegrazione dei dogmi non dovrebbe dare spazio a maggior pensiero critico e, di conseguenza, a maggiori libertà?
No. Oggi va di moda dire che la Chiesa deve essere “in uscita”, ovvero meno dogmatica, meno dottrinale e più pastorale. Ma una Chiesa senza dogmi e senza dottrina, o con una dottrina annacquata, non è una Chiesa più pastorale, cioè più attenta all’uomo e alle sue esigenze, bensì una Chiesa sbandata, in preda all’arbitrio e succube del mondo e delle tendenze dominanti in un certo momento storico. Il succo della dottrina è la rivelazione del progetto di Dio su ogni creatura, e questa dottrina è immutabile. La missione della Chiesa è di radicarsi in essa e annunciarla all’uomo di ogni tempo. Se non lo fa, tradisce se stessa e anziché confermare i fratelli nella fede li confonde e li conduce alla perdizione. Quando la Chiesa si lascia prendere dal principio anti-dogmatico in realtà cade nel dogma centrale del relativismo, e cioè che ciò che io penso di Dio e dell’uomo è indifferente perché Dio è ovunque e io me lo posso dipingere a mio piacimento. Così si cade anche nello storicismo, ovvero l’idea secondo cui la chiave per interpretare il senso della realtà umana non è nella fede (con i suoi dogmi), ma nella storia stessa. Così si riduce la proposta cristiana a una vaga esortazione morale, senza riferimenti alle eterne verità divine, e si mette sotto silenzio la questione del giudizio di Dio. Lo vediamo molto bene in questo pontificato, al cui centro c’è un insegnamento che lascia intendere che da parte di Dio ci sarebbe l’obbligo di perdonare, mentre la creatura avrebbe il diritto di essere perdonata.
Dietro la finzione narrativa, sembra nascondersi un grande malessere reale. Fra le pagine del suo libro si avverte l’inquietudine di un credente che sembra non riconoscere più la voce della Chiesa. Si può parlare di critica, anche se velata, al pontificato di Francesco?
Certamente sì. Uso il paradosso, il sarcasmo, l’umorismo pungente (qualche lettore mi ha detto che si ride per non piangere), ma la critica a questo pontificato è aperta. Credo che Francesco, soprattutto dopo Amoris laetitia, l’esortazione apostolica del 2016 pubblicata dopo i due sinodi sulla famiglia, abbia spalancato la porta della Chiesa all’ingresso del relativismo e dell’etica della situazione. L’insegnamento dei predecessori, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, è stravolto. L’ambiguità regna sovrana.
“In Vaticano molti si augurano un nuovo conclave”. Che cosa pensa delle parole pronunciate qualche giorno fa dal cardinale Kasper alla tv tedesca?
Credo che il cardinale Kasper, uno dei grandi ispiratori della linea bergogliana, con questa uscita abbia dimostrato che nel “cerchio magico” di Francesco c’è molto nervosismo. Le famose riforme non sono state realizzate. La confusione è totale. Il principio della misericordia, sempre annunciato all’esterno, non è applicato all’interno e molte testimonianze che arrivano dai “sacri palazzi” parlano di regime dittatoriale e clima di terrore. Il pontificato sta vivendo un momento assai critico. Non per niente Francesco ha messo in programma numerosi viaggi internazionali, che in genere gli assicurano consensi e gli permettono di uscire dalle sabbie mobili vaticane.
Lei ha sostenuto che la Chiesa parla troppo di misericordia e ha espunto dal proprio linguaggio il giudizio. Ci può dire di più?
Come dicevo prima, non occupandosi più della questione del peccato (la stessa parola “peccato” non è più usata, e al suo posto si preferisce parlare di “fragilità”), la Chiesa cattolica non raccomanda la necessaria contrizione (il senso di rimorso e pentimento che nasce dalla consapevolezza del peccato), trascura il problema della conversione e trasforma la misericordia divina in una sorta di dovere di perdonare, come se da parte della creatura ci fosse un diritto al perdono, qualunque sia la sua scelta. Il silenzio circa il giudizio di Dio è molto grave, perché distorce la misericordia divina. Dio infatti è sì un padre buono e misericordioso, ma non è accomodante e relativista. Come ogni vero padre, prende sul serio il figlio e la sua libertà, e proprio per questo gli indica la strada della verità e del bene. Dio giudica l’uomo. Far scomparire dalla coscienza dell’uomo questa consapevolezza non è opera di misericordia, ma è qualcosa di demoniaco, perché consegna le anime alla perdizione: proprio ciò che vuole il demonio.
Benedetto XVI viene rappresentato come l’ultimo baluardo di un cattolicesimo che resiste nella purezza della sua dottrina. Eppure, non è stato forse fra i più rivoluzionari, abdicando al trono di Pietro?
Benedetto XVI certamente si è dimostrato molto libero. Non direi rivoluzionario, ma libero sì. Certamente ha pensato che la rinuncia avrebbe aiutato la Chiesa a uscire da una situazione difficile, ma a mio modesto avviso ha sbagliato previsione. In realtà ha lasciato campo libero allo schieramento modernista, con tutte le conseguenze che stiamo vedendo. Tutto il suo pontificato è stato un monito contro il relativismo dilagante, e oggi, puntualmente, anche la Chiesa abbraccia il relativismo.
L’Islam può essere una minaccia concreta per l’Europa cristiana?
Non solo può esserlo, ma lo è già. L’Islam non conosce l’idea del dialogo e del compromesso. Conosce solo la logica della conquista. La parola Jihād ha il significato di lotta interiore, di sforzo di miglioramento, ma anche di guerra per la causa di Dio. L’Occidente cristiano pertanto va conquistato e convertito. Quando parliamo di Islam moderato in realtà proiettiamo sull’Islam una categoria nostra. Per il vero musulmano essere moderato significa tradire. E il Dio del Corano ha davvero poco in comune con il Dio della Bibbia. Non è un Dio-relazione ma un Dio-imposizione. E del tutto assente è il messaggio d’amore che è al centro del cristianesimo. Se poi a tutto ciò aggiungiamo la questione demografica il quadro si fa ancora più drammatico e la cosiddetta Eurabia non sembra poi tanto lontana.
Parafrasando il titolo di un’altra sua pubblicazione (Il diavolo in piazza San Pietro e altri racconti, Àncora, 2015), anche il diavolo passeggia per San Pietro?
Certamente sì. Non per niente sulla base dell’obelisco al centro della piazza è inciso il testo di un esorcismo!
A cura di Vincenzo Fiore