Alexey Paramonov – ambasciatore della Federazione russa in Italia – risponde a Repubblica

Pubblico la lettera che l’Ambasciatore della Federazione russa, Alexey Paramonov, ha indirizzato a Repubblica

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di Alexey Paramonov – 22 febbraio 2024

Di recente, nei discorsi dei politici occidentali e nei materiali dei principali mass media, si registrano sempre più frequentemente affermazioni sulle presunte intenzioni aggressive della Russia nei confronti dell’Occidente e in particolare degli Stati membri della UE, dopo la fine del conflitto in Ucraina, sulla presunta inevitabilità o alta probabilità di uno scontro armato tra Russia e NATO nel giro di pochi anni. Lo spazio mediatico si riempie di nuovi “piani segreti” della NATO in caso di guerra con la Russia, creando letteralmente un’atmosfera di psicosi prebellica.

Anche la morte di Alexei Navalny, che di per sé è un evento inaspettato e tragico che dovrebbe suscitare molta compassione umana, viene interpretata in Occidente in una chiave accusatoria ai fini di fomentare l’ostilità nei confronti delle autorità russe e giustificare la frattura insanabile tra la Russia e l’Occidente.

Siamo onesti e ricordiamo una verità ben nota: nella sua storia plurisecolare, la Russia non ha mai mostrato aspirazioni espansionistiche verso l’Occidente, ha solo risposto ad antecedenti atti di aggressione. L’Occidente, invece, compie regolarmente robusti tentativi di indebolire e spingere la Russia verso il cortile del mondo, lo fa con invidiabile ostinazione, circa una volta ogni secolo. Solo negli ultimi 400 anni la Russia ha dovuto sopportare l’occupazione polacco-lituana del XVII secolo, le campagne del re svedese Carlo XII, l’invasione della “Grand Armée” di Napoleone e la fallimentare “Blitzkrieg” di Hitler. La Russia non dimentica nemmeno i piani postbellici degli ex alleati della coalizione antihitleriana che, nell’ambito dell’Operazione Dropshot, prevedevano il massiccio bombardamento nucleare di quasi tutte le principali città dell’URSS, per fortuna, tutti i relativi documenti sono stati desegretati da tempo. Nell’ottica di questa esperienza storica è da considerarsi anche l’espansione a Est della NATO, iniziata negli anni ’90, nonostante gli accordi esistenti e in mancanza di una minima oggettiva necessità, ma con gli stessi scopi ostili ed espansionistici. Quest’ultimi si esprimono in modo esemplare nel tentativo occidentale di sconfiggere la Russia per mano dell’Ucraina, da tempo intesa, adescata, preparata, caricata a servire da ordigno ibrido contro Mosca.

Sia il Presidente Vladimir Putin che il Ministro degli Esteri Sergey Lavrov negli ultimi mesi hanno ripetutamente dichiarato che la Russia non ha intenzioni aggressive nei confronti dei Paesi occidentali. E se i più informati pubblicisti italiani (come lo stimato direttore Maurizio Molinari) sulle pagine dei principali quotidiani ammettono che i leader russi, a differenza di quelli occidentali, “fanno sempre quello che dicono”, allora dovrebbero essere coerenti e convenire che le cose stanno così anche in questo caso. Lo confermano i principali documenti teorici, prima fra tutti la Dottrina Militare della Federazione Russa adottata nel 2014, dopo la cui lettura anche un non competente può comprendere la logica puramente difensiva nella gestione dell’apparato bellico russo.

Se durante la Guerra Fredda la tesi dell’inevitabilità dello scontro tra Occidente e Oriente si fondava sulle insormontabili contraddizioni ideologiche tra il mondo capitalista e il sistema socialista e appariva più o meno razionale, oggi questa affermazione viene fatta sulla base dell’idea, attualmente di moda nell’ambiente degli esperti anglo-americani, del mondo moderno come campo di battaglia tra “democrazie occidentali” e “autocrazie orientali”. Questo quadro del mondo, tuttavia, è molto artificioso, superficiale, essenzialmente antiscientifico e non è supportato da osservazioni reali delle tendenze dello sviluppo sociale globale e delle realtà emergenti della vita internazionale. Se non altro perché la definizione di “democrazie occidentali”, che in origine aveva un significato ben preciso, si sta sempre più svuotando di ogni contenuto.

Molti ricercatori hanno evidenziato l’erosione delle fondamenta veramente democratiche in Occidente tra cui l’ultimo, E.Todd (“La defaite d’Occident”, “Gallimard”, 2024), ha suggerito che l’attuale conflitto dovrebbe essere visto come “uno scontro tra la democrazia autoritaria della Russia e l’oligarchia liberale dell’Occidente”. In effetti, i percorsi delle élite e delle popolazioni di molti Paesi occidentali hanno iniziato da tempo a divergere in modo significativo. Durante il periodo della pandemia e sullo sfondo del conflitto in Ucraina, siamo stati testimoni del fatto che nel sistema politico occidentale le élite dirigenti ascoltano sempre meno le voci dei cittadini e sempre più si fanno pilotare da varie lobby e gruppi di influenza politici, industriali e finanziari, i cui interessi non hanno nulla a che fare con le richieste della popolazione, anzi, nella maggior parte dei casi, le contraddicono direttamente.

Allo stesso tempo, non si può contestare il fatto che la forma di governo presidenziale in Russia, introdotta in conformità alla Costituzione del 1993 e agli emendamenti del 2020, sia marchiata da caratteristiche di democrazia diretta piuttosto che di democrazia proporzionale rappresentativa, come nella maggior parte dei Paesi occidentali. Non sarebbe quindi superfluo raccomandare a tutti di rileggere ogni tanto la carta costituzionale russa per la migliore comprensione dei principi fondanti della statualità dell’attuale Federazione Russa. A questo proposito il punto di vista del ricercatore francese sembra quindi essere molto più vicino alla realtà rispetto alle dichiarazioni ufficiali delle alte tribune euro-atlantiche.

Nell’attuale situazione di crescente ostilità dell’Occidente nei confronti della Russia, sorprende un’altra cosa. Si nota sempre di più che, dietro ai discorsi sull’”autonomia strategica” dell’Unione Europea, c’è sempre meno Europa, la quale sembra dissolversi nei ranghi omogenei sempre più militarizzati dell’Occidente collettivo, plasmato prevalentemente da Stati Uniti e Regno Unito, grazie al rigido sistema delle relazioni transatlantiche che è stato a lungo il principale strumento militare e politico dell’egemonia anglosassone.

D’altronde, non sfugge il fatto che anche durante la Guerra Fredda, gli Stati dell’Europa continentale erano meno subordinati agli Stati Uniti di quanto lo siano ora. Ora stiamo assistendo a come i nostri ex partner europei – alcuni in misura maggiore, altri in misura minore – siano stati trascinati in un conflitto che contrasta con i loro interessi e li porta all’autodistruzione. Pare abbastanza logico che alcuni studi di scienze politiche abbiano suggerito che il livello di aggressività dell’Europa nei confronti della Russia possa aumentare significativamente con il continuo deterioramento della situazione socioeconomica e l’aumento del numero di persone impoverite e moralmente degradate. Non sono forse questi gli obiettivi di vari guerrafondai in giro che spingono la UE verso una completa rottura economica e “civile” con la Russia, a qualsiasi costo?

Pertanto, per quanto possa sembrare paradossale e provocatorio, il fallimento dei piani dell’Occidente collettivo in Ucraina potrebbe essere una vera e propria vittoria per l’Europa, che sarebbe finalmente in grado di respirare “con entrambi i polmoni”, liberandosi dalla necessità di essere una base territoriale degli Stati Uniti in Eurasia, di scontrarsi con la Russia “ad ogni costo”, pagandone un prezzo ogni anno più alto. Inoltre, la UE e i suoi Paesi membri, come del resto anche gli USA, avrebbero la possibilità di realizzarsi liberamente nel mondo multipolare emergente e sarebbero in grado di fare un uso pieno e sovrano dei loro indiscutibili vantaggi civili, tecnologici e culturali, senza remora alcuna.

Oggi, come non mai, ha senso invertire la rotta autodistruttiva e pensare al futuro, alle opportunità senza precedenti che le innovazioni nell’intelligenza artificiale e nelle altre tecnologie digitali, nella robotica, nella biomedicina, nell’esplorazione spaziale, nei trasporti, nell’urbanistica, nell’ambiente, nella cultura e in molti altri settori, offrono all’umanità intera. Questi grandi temi sono tra le principali priorità della Russia sia nella definizione della sua agenda interna sia in relazione alle idee per l’interazione, avanzate nel formato del Grande Partenariato Eurasiatico, come spazio di cooperazione strategica plurisettoriale nelle condizioni di reciprocità di stima, equità, interessi e del rispetto di sovranità, diversità di culture, tradizioni e civiltà, in cui l’Europa continentale potrebbe ritagliarsi un posto adeguato e dignitoso.

Tuttavia, in risposta all’agenda aggregante che Mosca propone ormai da molti anni, i politici occidentali continuano, con una perseveranza degna di miglior causa, a cercare di resuscitare i costrutti distruttivi del passato, a dividere il mondo in “insider” e “outsider”, a creare focolai di tensione e conflitto tra gli indecisi e a stimolare incertezza, caos, povertà e migrazioni di massa. Tutto questo va veramente a vantaggio del progresso e dell’armonia internazionale? E dove sono le aspirazioni espansionistiche e aggressive di Mosca in tutto questo? La risposta sembra ovvia.

Suscita profondo dispiacere che, nel contesto di tutto ciò che sta accadendo in Europa, la culla della civiltà ebraico-cristiana, anche l’arte della diplomazia stia degenerando. I minuziosi sforzi congiunti per trovare compromessi, reciprocamente accettabili sulla base del rispetto dei reciproci interessi, non sono più considerati la forma migliore per risolvere le contraddizioni. Prevalgono l’”istinto del branco” , il diritto del più forte, il diktat, il rigetto delle ragioni altrui e il rifiuto dei punti di vista alternativi, la cieca fede nella superiorità aprioristica del modello di ordine mondiale occidentalocentrico, il vincolo preconcetto di tutte le decisioni prese dalle strutture del “miliardo d’oro”. Tutto questo, ovviamente, non avvicina le prospettive di un ritorno al dialogo reciprocamente rispettoso e di una messa in cantiere di un ordine internazionale più sicuro, giusto, equo e inclusivo. Ma c’è la speranza che non sia sempre così.

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