Oggi, primo giorno d’agosto, la Chiesa ricorda sant’Alfonso Maria de’ Liguori (1696 – 1787), al quale sono affezionato per numerosi motivi. Compose Tu scendi dalle stelle, la più nota canzone popolare natalizia, e a lui è intitolata la parrocchia della quale faccio parte da quando vivo a Roma. Inoltre scrisse Apparecchio alla morte, opera utilissima, perché ci ricorda che quaggiù l’unica cosa che conta è prepararci alla vita di lassù.
Beatificato nel 1816, canonizzato nel 1839, proclamato dottore della Chiesa da Pio IX nel 1871 e patrono dei confessori e dei moralisti da Pio XII nel 1950, sant’Alfonso è uno di quegli autori che fanno bene sempre. E Apparecchio alla morte è particolarmente indicato per dare il giusto valore alle cose
«Ricominciate a leggerlo» raccomandava Pio IX ai seminaristi. E quando il rettore gli fece notare che i giovani alunni lo conoscevano già bene, il papa commentò: «Lo rileggano, lo rileggano ancora, perché saperlo anche a memoria c’è sempre frutto da riceverne».
Apprezzato, fra gli altri, da santa Gemma Galgani e san Giovannni Bosco, Apparecchio alla morte non rivela nulla di nuovo rispetto a quanto la Chiesa ha sempre insegnato. Ma il suo merito è di dire con chiarezza ciò che la Chiesa troppo spesso non dice più.
“Pertanto bisogna che ci procuriamo non quella fortuna che finisce, ma quella che sarà eterna, giacché eterne sono l’anime nostre. A che servirebbe l’esser felice (se mai può darsi vera felicità in un’anima che sta senza Dio), se poi dovreste esser infelice per tutta l’eternità?”
“Quel che puoi far oggi, non aspettare a farlo domani, perché quest’oggi passa e non torna più, e domani può venirti la morte, la quale non ti permetterà di fare più niente”.
“Che cosa è la nostra vita? è simile ad un vapore, che ad un poco di vento sparisce, e non v’è più. Tutti sanno che han da morire; ma l’inganno di molti si è che si figurano la morte così lontana, come non avesse mai da venire”.
“La morte ci corre all’incontro più presto d’un cursore, e noi in ogni momento corriamo alla morte. In ogni passo, in ogni respiro alla morte ci accostiamo”.
“Abbiate dunque a vivere, lettor mio, tutti gli anni che sperate, ha da venire un giorno, e di quel giorno un’ora, che sarà l’ultima per voi. Per me che ora scrivo, per voi che leggete questo libretto, sta già decretato il giorno e ‘l punto, nel quale né io più scriverò, né voi più leggerete”.
“Fratello mio, siccome voi siete stato scritto un giorno nel libro del battesimo, così avrete un giorno da essere scritto nel libro de’ morti. Siccome voi nominate ora i vostri antenati, la buona memoria di mio padre, di mio zio, di mio fratello; così i posteri avran da dire anche di voi. Siccome avete più volte udito sonare a morto degli altri, così gli altri avran da sentire sonare di voi”.
“Qual pazzia maggior è dunque sapere che si ha da morire, e che dopo la morte ci ha da toccare o un’eternità di gaudi o un’eternità di pene; pensare che da quel punto dipende l’essere o eternamente felice o eternamente infelice, e poi non pensare ad aggiustare i conti e prendere tutti i mezzi per fare una buona morte?”.
“Noi compatiamo coloro che muoiono di subito, e non si trovano apparecchiati alla morte: e noi perché poi non procuriamo di stare apparecchiati, potendo anche a noi accadere lo stesso?”.
“E noi che facciamo? Vogliamo aspettare ad apparecchiarci a morir bene, quando la morte sarà già vicina? Bisogna dunque fare al presente quel che vorremo aver fatto in morte”.
“Dirà taluno: ma io son giovane, appresso mi darò a Dio. Ma sappiate (rispondo) che il Signore maledisse quel fico, che trovò senza frutto, ancorché non fosse tempo di frutti, come nota il Vangelo”.
“Dirà quell’altro: ma io che male fo? Oh Dio, e non è male perdere il tempo in giuochi, in conversazioni inutili, che niente giovano all’anima? Iddio forse a ciò vi dà questo tempo, affinché lo perdiate?”.
Nell’udienza generale del 30 marzo 2011, dedicata proprio a sant’Alfonso, Benedetto XVI disse: “Nella nostra epoca, in cui vi sono chiari segni di smarrimento della coscienza morale e – occorre riconoscerlo – di una certa mancanza di stima verso il Sacramento della Confessione, l’insegnamento di sant’Alfonso è ancora di grande attualità”.
Angelo Gugel, aiutante di camera di Giovanni Paolo I, ha rivelato (intervista al Corriere della sera, 22 aprile 2018) che papa Luciani la sera prima della sua morte “a cena mangiò pochissimo e a tavola parlò con i suoi segretari dell’Apparecchio alla morte, il libro di sant’Alfonso Maria de’ Liguori”.
E concludiamo con un’altra frase di sant’Alfonso dalla quale emerge la sua concretezza cristiana, così diversa da certo cattolicesimo “liquido” al quale siamo oggi abituati: “Ravviviamo la fede che vi è inferno e paradiso eterno; o l’uno o l’altro ci ha da toccare”.
Aldo Maria Valli
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