23 settembre 2020
Il titolo è impegnativo perché, detta così, non lo diresti: «Dio vive in Olanda».
Ma come? Nel Paese europeo che si è scristianizzato per primo?
Nella terra dove la prostituzione è stata completamente liberalizzata, la cannabis promossa in tutti i modi?
La nazione dove l’eutanasia e l’aborto sono fenomeni endemici?
Eppure, è questo l’intento che si prefigge il cardinale arcivescovo di Utrecht Willem J. Eijk (foto in basso) che si è confidato con il giornalista Andrea Galli.
Il libro, in uscita in questi giorni per le edizioni Ares è il racconto – a tratti disincantato, a tratti speranzoso, ma di quella speranza come virtù cristiana – di come la Chiesa si sia ridotta in Olanda, ma anche di quelli che sono i germogli che si vedono nascere: «Il suo è il racconto che parla di una Chiesa che fu gloriosa e dopo il Concilio – fattasi avanguardia delle aperture più scriteriate – è finita in macerie», ha spiegato al Timone, Galli. «Però un piccolo resto è sopravvissuto alla catastrofe, un piccolo resto fedele alla dottrina cattolica, che è come un seme che fa intravedere un futuro… di rinascita. Quello che sta emergendo è che la Chiesa “progressista” si estingue, l’altra, anche se non può vantare performance, resiste e si rigenera».
Nel libro infatti, Eijk, amico del compianto cardinal Caffarra, parte dallo sfacelo degli anni Sessanta: Dice: «I punti più sensibili, che generavano scontri, riguardavano la morale e la liturgia. Per esempio, celebrare la prima Comunione con una preghiera eucaristica di quelle esistenti e approvate, cioè non una inventata di sana pianta, seguendo anche per le altre parti il messale romano, implicava spesso un combattimento noioso con i genitori responsabili della cerimonia ed esigeva molta diplomazia. Lo stesso valeva per la celebrazione dei Matrimoni, quando la coppia voleva a ogni costo letture non bibliche e altre cose liturgicamente inaccettabili, fino a formule che escludevano l’indissolubilità del Matrimonio. Capitava che chi non vedeva esaudite le proprie richieste andava poi da un altro prete, in una parrocchia vicina, che era pronto ad accettare tutto».
Questo sono stati i “formidabili” anni ’60 della Chiesa post conciliare olandese. E di questo vediamo i frutti: «Oggi i problemi che avevamo trent’anni fa con i Matrimoni si sono spostati sui funerali: sono gli esponenti della stessa generazione, invecchiati, che pretendono di modellare a proprio piacimento le liturgie funebri».
Ma il punto di caduta individuato da Eijk è proprio sulla devastazione sacramentale: «Mi sembra che crediamo tutti poco alla forza dei sacramenti. Gesù vuole continuare la sua vita in noi, come affermava san Jean Eudes. Con il Battesimo veniamo trasfigurati così da somigliare a Gesù. Questo è confermato nella Cresima, in cui lo Spirito Santo ci dà la forza di essere testimoni di Gesù in questo mondo. E il sacramento dell’Eucaristia alimenta la nostra trasfigurazione in Gesù. Mentre il nutrimento ordinario è trasformato nelle sostanze del nostro corpo, nel caso dell’Eucaristia succede l’opposto: noi, ricevendola, siamo trasformati in Eucaristia, cioè in Cristo. E Cristo continua in noi la sua vita terrena, per cui noi, assomigliando a lui, incontriamo le stesse difficoltà che ha avuto lui, per esempio nelle sue numerose dispute con gli scribi e i farisei. I martiri gli assomigliano nella morte violenta, che subiscono per la loro fede in lui. Gesù vive in noi anche la sua vita celeste, che si manifesta fra l’altro in una profonda gioia spirituale, una forza grandissima per un essere umano».
«La società, con tutta la tecnologia di cui è capace, può darci comodità e piaceri, ma non la gioia spirituale. Questa può donarcela solo Cristo, perché si tratta di un dono celeste. Chi ha gustato una volta questa gioia spirituale non vuole perderla facilmente, e una volta gustata, ma persa, sentirà sempre una mancanza nella sua vita. Questa gioia, frutto di uno stretto rapporto con Gesù, non soddisfa i sensi ma la persona nella sua totalità, corpo e anima. Si può sentire solo a volte, ma non importa, è una forza profonda che aiuta il credente a rimanere un seguace fedele di Cristo».
Importante poi il nesso che il cardinale olandese individua nella crisi della fede partita dalla crisi della liturgia, un nesso già dimostrato da Papa Benedetto XVI e che, così come vale in negativo, è valido anche per il positivo: «L’esperienza insegna che il numero più alto dei veri credenti, chiamiamoli così, si trova nelle parrocchie che hanno mantenuto anche durante la tempesta rivoluzionaria degli anni ’60 e ’70 un carattere veramente cattolico nel modo di celebrare la liturgia. E qui si vede la profondità delle parole «lex orandi, lex credendi», cioè che la legge della preghiera ha il suo corrispettivo nella legge del credere.
Inoltre, queste parrocchie hanno mantenuto anche una buona catechesi, nel senso che dicevo. Tutto questo è dipeso spesso dalla presenza prolungata, anche di decenni, di qualche bravo parroco, coraggioso e ortodosso, come è stato don Giorgio Laan nella parrocchia del paese dove sono nato.
Oggi i giovani o le famiglie che credono, non trovando nella propria parrocchia una liturgia celebrata degnamente o una buona catechesi le cercano altrove. I giovani non si curano dei limiti fisici della parrocchia dove abitano, ma si guardano intorno finché non trovano un ambiente adatto a loro».
Ebbene, in questo sfacelo allora dove può essere la speranza? Eccola: «Se penso ad altre gioie mi viene in mente l’aver avuto nelle due diocesi dove sono stato dei seminaristi che poi ho ordinato sacerdoti. Tutti sono olandesi, tranne uno che è colombiano. Abbiamo poche vocazioni ma buone, anche per l’età media. E se penso al futuro, ai prossimi 50 anni, questo mi dà speranza e gioia, sapere che avremo un numero ristretto di preti, ma ci saranno. I preti sono necessari per celebrare l’Eucaristia. E per dare la possibilità alle persone di incontrare Gesù nel Santissimo Sacramento».
fonte: https://www.iltimone.org/news-timone/eppure-nonostante-dio-si-fermato-olanda/
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