fonte Sibialiria
L’opposizione siriana ha accusato le forze governative di aver bombardato con gas nervino uccidendo nel sonno centinaia di civili nell’area di Ghouta vicino a Damasco, all’alba del 21 agosto 2013; in coincidenza temporale (così come è successo per molte altre denunce di massacri) , cioè, con l’arrivo a Damasco di Ispettori delle Nazioni Unite (incaricati di indagare proprio su un presunto uso di armi chimiche che si sarebbe verificato a Khan el Assal, nel nord della Siria) e della convocazione a Bruxelles del Consiglio dei ministri degli Esteri, dedicato, tra l’altro, all’emergenza siriana.
Sul presunto attacco esistono diverse versioni, alcuni video tragici ma controversi e nessuna indicazione oggettiva su che cosa sia avvenuto e quali siano i responsabili.
Ancora una volta, tra i primi a diffondere la notizia è la rete saudita Al-Arabiya, non nuova a episodi di manipolazione (ricordiamo il suo comunicato sui “diecimila morti vittime di Gheddafi” nel febbraio 2011). L’emittente rende note due versioni dell’accaduto: nella prima le vittime sarebbero 280, nella seconda 1.188. Altre cifre sono fornite dal Consiglio rivoluzionario militare: 1.300 morti; dalla Coalizione nazionale siriana: 650; dai Comitati di coordinamento locale: 750. L’Osservatorio siriano di Londra cita un numero più limitato di vittime, ma si sofferma sulla presenza di molti bambini
Media mainstream, diplomatici e perfino fonti dell’opposizione dubitano che si tratti dell’esercito siriano
A mettere in dubbio la veridicità della suddetta notizia non pochi media mainstream, esperti e diplomatici.
L’esperto nel campo delle armi non convenzionali, Gwyn Winfiled, in un’intervista a Repubblica il 22 agosto, sostiene che «L’attacco con agenti tossici ieri in Siria sembra avere tutte le caratteristiche di un nuovo incidente del Tonchino: un “casus belli” creato ad arte per giustificare un’escalation militare delle potenze straniere, come quello che nel ’64 autorizzò l’intervento americano in Vietnam ». Secondo Winfiled, l’autore della strage non è Assad: «È difficile credere che il regime di Assad lanci un’offensiva del genere in simultanea con l’arrivo a Damasco degli ispettori Onu incaricati delle indagini sulle armi chimiche. Come in ogni omicidio, l’investigatore dovrebbe chiedersi: cui prodest? Non giova certo al regime, che in ogni caso verrà incolpato».
Il corrispondente della BBC, Frank Gardner, si chiede: “Perché il governo di Assad, che recentemente sta riconquistando terreno sui ribelli, dovrebbe effettuare un attacco chimico, mentre gli ispettori delle Nazioni Unite sono nel paese?”
E così il diplomatico svedese ed ex ispettore Onu Rolf Ekeus, che ha dichiarato alla Reuters: “Sarebbe molto strano se fosse stato il governo a fare questo nel momento esatto in cui gli ispettori internazionali entrano nel paese …. per lo meno, non sarebbe molto intelligente.”
Anche lo svedese Ake Sellstrom, esperto di armi chimiche, che guida il gruppo di Ispettori ONU ha espresso le sue perplessità sulla dinamica dell’attacco, evidenziando tra l’altro, come “sospetto” l’alto numero di morti e feriti riportato dai media mainstream.
Perfino sul Jerusalem Post sono state evidenziate perplessità sul presunto attacco; riportando, ad esempio, la dichiarazione di Charles Lister, analista dell’IHS Jane’s Terrorism and Insurgency Center: “Logicamente, non avrebbe molto senso per il governo siriano impiegare agenti chimici in un momento simile, in particolare data la relativa vicinanza delle città di destinazione (al team delle Nazioni Unite)”.
E mons. Silvano Maria Tomasi, Osservatore permanente della Santa Sede presso l’Onu a Ginevra, dichiara: “Non si può, a mio avviso, partire già con un pregiudizio, dicendo che questo o quello sono responsabili. Dobbiamo chiarire il fatto, anche perché da un punto di vista d’interessi immediati, al governo di Damasco non serve questo tipo di tragedia, sapendo che ne è comunque incolpato direttamente. Come nel caso delle investigazioni di un omicidio, bisogna farsi la domanda: a chi veramente interessa questo tipo di crimine disumano?”
Il portavoce del ministero degli Esteri russo, Alexander Lukashevick, ha parlato di una “provocazione pianificata”, con un’aggressiva campagna orchestrata come a comando da media regionali, gettando la colpa sul governo. Il ministero russo, citando sue fonti, avanza l’ipotesi che da un’area controllata dall’opposizione sarebbe stato lanciato un missile di fattura artigianale contenente sostanze chimiche non identificate (come quelli che sarebbero stati usati nel marzo scorso per la strage di Khan el Assal, per la quale il governo siriano ha richiesto l’indagine degli ispettori dell’Onu, ndr).
Il portavoce del ministero degli Esteri siriano ha etichettato le accuse come “false”, e volte a “impedire agli Ispettori delle Nazioni Unite di svolgere l’inchiesta sul presunto uso di armi chimiche a Khan el Assal”
Più preciso il sito d’informazione (non filogovernativo) SyriaTruth che riconduce l’episodio a un progetto organizzato dalle “brigate turkmene” di Latakia e Damasco, in particolare “la bandiera dell’Islam” e “le brigate dei discendenti del Profeta”; questi gruppi sarebbero riusciti ad ottenere elementi chimici da utilizzare in “massacri su richiesta” nella campagna di Latakia per commettere stragi di pulizia confessionale e a Damasco per alimentare la campagna mediatica internazionale. In particolare, come rivelato in una relazione pubblicata il 14 agosto scorso 2013, era stato già pianificato un massacro, che si sarebbe dovuto attuare, nei pressi di Damasco, all’inizio della terza settimana di agosto, in concomitanza con l’arrivo della squadra della commissione d’inchiesta internazionale a Damasco.
Un’interessante considerazione sulla scarsa plausibilità dell’attacco chimico, secondo l’opposizione sferrato dall’aviazione di Assad, è stata fatta da esperti militari che hanno fatto notare come il 21 agosto sull’area di Ghouta spirasse un notevole vento: una situazione meteorologica tecnicamente poco adatta ad un attacco chimico, dal momento che il vento avrebbe causato un importante numero di vittime anche nelle aree circostanti.
Le “testimonianze” e i video
Le foto e i video diffusi mostrano scene drammatiche, ma suscitano molti dubbi. Un esame completo sarà oggetto di un prossimo articolo. È possibile comunque qui evidenziare alcuni punti.
1. Intanto, ammettendo che l’attacco sia effettivamente avvenuto, e che – secondo quanto sostengono le fonti dell’opposizione – sia avvenuto nelle prime ore del 21 agosto (più precisamente, alle 3 del mattino, secondo alcune di queste fonti), come è possibile che alcuni video che dovrebbero documentare le conseguenze dell’attacco sui civili, risultino caricati in rete già dal 20 agosto?
Questo video, ad esempio, diffuso dall’opposizione anti-Assad è stato caricato in data 2013/08/20 su YouTube e le immagini sono state girate chiaramente di giorno alla luce del sole. Anche questo altro video, e questo, e questo, e questo risultano caricati il 20 agosto. Nonostante le evidenti incongruenze, questi video immediatamente propagati in Rete e tradotti in più lingue, sono stati presentati come prove inconfutabili delle conseguenze dell’attacco.
2. Su alcuni specifici video, Sibialiria si soffermerà dettagliatamente in prossimi articoli. Limitiamoci qui a segnalare alcune incongruenze che caratterizzano molti dei video, prodotti e distribuiti dalla “opposizione anti-Assad”, “attestanti” l’attacco.
Intanto è molto sospetto, che, nei video, accanto ai bambini morti o moribondi non ci sia nessuna madre ma solo uomini che, oltre ad invocare Allah e a maledire Assad, si limitano a manipolare i bambini (si direbbe ad uso esclusivo della telecamera).
In altri video, che vorrebbero documentare i “soccorsi”, si vede qualche uomo con guanti e mascherina, (quasi a presentarsi come “medico”) ma non si capisce il senso di questa precauzione sanitaria considerando che i bambini sono, in molti casi, distesi su un pavimento (di un locale che certamente non è un ospedale) calpestato da molte persone. Inoltre ai bambini, sembrerebbe, non sono stati tolti i vestiti che avevano al momento dell’”attacco”(una precauzione ovvia considerando che dovrebbero essere intrisi di gas). Altrettanto sospetta è la sintomatologia che manifestano le presunte vittime dell’attacco con gas nervino. Questa ha, certamente, una vasta gamma di manifestazioni (dipendente da svariati fattori: dose di gas assorbita, età del soggetto, azione di antidoti…) ma generalmente si manifesta con l’incontenibile rilascio di urina e feci, epistassi, convulsioni, bava rossastra. Questi sintomi non caratterizzano il comportamento dei sopravvissuti né i loro indumenti evidenziano tracce che possano essere ascrivibili al rilascio di urina o feci. Uguale scetticismo sul gas nervino quale causa dei malori manifestati nei video è stato espresso da Jean Pascal Zanders, esperto di armi chimiche.
In alcuni filmati vengono mostrati bambini allineati sul pavimento e che, secondo quanto suggerirebbero gli stessi filmati, dovrebbero essere morti, anche se qualcuno tra questi si muove. Sconcertante è quanto documentato in un video (che collaziona e analizza diversi video prodotti dalla “opposizione anti-Assad”) in cui si mostra un bambino (o il corpo di questo) che viene spostato tre volte per apparire in tre diversi punti della stanza e una sospetta iniezione effettuata ad un altro bambino, che secondo la logica del video dovrebbe essere morto. Questo stesso filmato, tra l’altro, mostra una foto spacciata come “prova” dell’attacco con i gas in Siria e che, invece riprende le vittime della repressione in Egitto.
3. A suffragare sui media la “veridicità” dell’attacco con gas nervini testimonianze anonime; ad esempio quella raccolta da Repubblica, di un sedicente medico ospedaliero che parla di 1.300 morti accertati negli ospedali, senza riferire (e senza che l’intervistatore glielo chiedesse) di quali ospedali si tratti.
Allora, cosa è successo?
Non è ancora chiaro cosa sia successo il 21 agosto nell’area di Ghouta.
Secondo Gwyn Winfield, un autorevole esperto nel campo della difesa dalle armi non convenzionali, potrebbe essersi verificato un incidente nell’uso di un agente antisommossa, da parte di una delle tante e contrapposte fazioni dell’Esercito libero siriano.
Secondo una prima inchiesta, effettuata da SyriaTruth, interrogando abitanti del posto, nei villaggi di Zamalka e Ein Tarmah sarebbero morti 17 donne e 33 (o 34) bambini, oltre ad un numero imprecisato di uomini. Non è ancora chiara la dinamica dell’accaduto. Syriatruth fa comunque notare che i villaggi di Zamalka e Ein Tarmah, dove si sarebbe verificata la strage, sono adiacenti alle zone residenziali della capitale, (abitate per lo più da siriani filogovernativi) e all’aeroporto militare di MezzehI, che certamente il governo siriano non avrebbe avuto alcun interesse a colpire, se pur marginalmente, impiegando gas nervini.
Tra l’altro, sempre Syriatruth fa notare che se l’esercito siriano avesse avuto intenzione di usare armi chimiche in questi due anni e mezzo, avrebbe avuto diverse occasioni propizie. In particolare un anno fa quando combatteva contro circa tremila “ribelli” asserragliati a Jabal al-Zawi, nelle montagne circondate da boschi. Lì un attacco chimico non solo avrebbe “risolto” rapidamente la situazione, ma sarebbe anche passato, tutto sommato, inosservato. Però lì l’attacco chimico non è stato attuato. E perché mai avrebbe dovuto farlo ora in una zona così vicina alla lente d’ingrandimento internazionale?
Un’ultima testimonianza dalla zona che dovrebbe essere stata epicentro dell’”attacco con i gas” è stata raccolta dalla religiosa Agnès Mariam de la Croix, del movimento Mussalaha, contattata telefonicamente dalla Redazione di Sibialiria. Suor Agnès riferisce di aver contattato conoscenti che vivono a Kashkoul, solo una strada più in là di Ein Tarmah. Nessuno di loro ha provato né sentito niente, nessuno è stato disturbato da nausee, mal di testa ecc. Nessun odore né niente. Idem da parte di una signora che vive in Abassin Square, a pochi metri da Jobar.
Ma su questo e su altri aspetti del presunto attacco con i gas nervini ci soffermeremo presto
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