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Evviva! E poi dicono che l’Italia non ha i numeri. Stappate stasera, aprite lo champagne che tenete in frigo per le celebrazioni calcistiche o per le lauree di qualche congiunto, fate volar via il tappo della più prosaica birra o bevetevi un grappino alla salute dei 50mila migranti sbarcati sulle coste del nostro Paese da inizio anno. Anzi, per la precisione, 50.041. Sono soddisfazioni, non c’è che dire. E stavolta a confermare le cifre non è Frontex, quantomeno ballerino nelle statistiche ma il ministero dell’Interno, il quale certifica che questa cifra rappresenta il 47,54% in più rispetto allo stesso periodo del 2016 (anno che, con oltre 181mila sbarchi, aveva già infranto ogni record nella storia del nostro Paese). I dati del Viminale segnalano poi che i porti più sotto pressione sono quelli di Augusta (11.100 arrivi), Catania (6.454), Trapani (4.202) e Pozzallo (3.700).
Ma non basta, perché dopo aver strombazzato il famoso “piano Milano”, ovvero l’ok di 76 comuni dell’hinterland milanese che accoglieranno migranti in arrivo (l’idea è decongestionare il capoluogo ma scommetto che non resisteranno un giorno alla tentazione del bivacco in Stazione Centrale), ecco che al Viminale ci si prepara a una maxi-accoglienza: “L’Italia è pronta ad accogliere la cifra record di 200mila migranti. Il nuovo piano di ripartizione è pronto. Ciascuno dovrà fare la propria parte”. Me cojoni, siamo a posto. Interessante, poi, la classifica dei Paesi di provenienza di chi sbarca in Italia: in testa resta la Nigeria (6.516), probabilmente anche grazie alla recente visita di Laura Boldrini, seguita da Bangladesh (5.650), Guinea (4.712) e Costa d’Avorio (4.474). Insomma, scappano tutti dalla guerra, non rompete i coglioni! Cresce, stranamente dopo l’approvazione della legge ad hoc da parte del nostro Parlamento di rincoglioniti, anche il numero dei minorenni non accompagnati che arrivano: al 19 maggio scorso, sono già 6.242. Attendiamo anche gli animali domestici a questo punto, visto che lo stesso Silvio Berlusconi ha riconosciuto l’importanza di cani e gatti, tanto da essere tentato di presentare il “Partito animalista” alle elezioni.
Non stupitevi, il Paese è questo. L’Italia, purtroppo, è ridotta a questo.
Vi chiederete cosa sia e io ve lo spiego subito, riproponendo la notizia diffusa in origine da “Reggioreport” e poi rilanciata da “Il Giornale”. Due giorni fa, come vedete, a Reggio Emilia passava la fanfara, i militari sfilavano ordinati, due ministri e i vicepresidenti delle Camere della Polonia erano in visita ufficiale in Italia e chi si trovano di fronte, durante l’esecuzione dell’inno? Un bel migrante si che dorme beato in mezzo alla piazza, come se nulla fosse. La figura di merda, a livello diplomatico, è stata di quelle serie, perché si celebrava con la massima ufficialità il 220mo anniversario della composizione dell’inno nazionale polacco, composto nel 1797 a Reggio da Jozef Wybicki, tenente dell’armata polacca in Italia. Magari per noi è poca cosa, per un polacco no.
Tanto più che, mentre la banda militare faceva risuonare le note dell’inno, le alte cariche della Polonia e l’assessore reggiano Foracchia hanno deposto una lapide commemorativa dell’evento. Il tutto in compagnia della simpatica risorsa, probabilmente fatta come un cammello, vista la postura. La vicenda è emersa perché alcuni cittadini, indignati, hanno postato la foto e il resoconto dell’accaduto su Facebook, da dove è stato immediatamente rilanciato da “Reggioreport”. Non so perché ma, essendo Reggio un feudo PD e la città del ministro Graziano Delrio, ho come l’impressione che se fosse andato in visita Matteo Renzi, anche solo per inaugurare un vespasiano, quel simpatico migrante sarebbe finito a calci nel culo altrove. Chiedo scusa alle autorità e al popolo polacco da parte del mio Paese. O, almeno, da parte di quanto ne resta degno di questo nome.
Lo so, come me vi state chiedendo quando la misura sarà colma, quando gli italiani diranno basta. Io una risposta, a questo punto, non ce l’ho più. Ma sfogliando l’edizione on-line dell’Economist, mi sono posto una domanda: come mai il settimanale più establishment del mondo, l’altoparlante della rivoluzione globalista fin dai tempi di Clinton e Blair, dedica la sua recensione libraria – con parecchia enfasi – a un libro che dimostra come soltanto le rivolte violente portino a un riequilibrio reale del benessere? Cos’è, istigazione a delinquere? La City è in crisi d’identità e invita alla rivolta? Il volume in questione si intitola “The Great Leveller: Violence and the History of Inequality from the Stone Age to the Twenty-First Century” ed è scritto dallo storico austriaco Walter Scheidel, ora docente a Princeton. E l’Economist sottolinea subito una cosa: a pagina 363, l’autore fa notare come uno degli eventi storici che ha creato maggiore sollievo momentaneo a livello di redistribuzione sia stata la Grande Depressione, quando i salari reali salirono, mentre gli introiti dei privilegiati scesero “a un punto tale che ebbe un potente impatto sulla diseguaglianza economica”.
Ora, io non ho le competenze storiche per dirvi se sia vero o sia l’ennesima teoria strampalata ma quando il settimanale dei liberal globalisti sceglie come sovra-titolo per l’articolo, “Apocalypse then”, a me si alzano le antenne. Per Scheidel, solo quattro episodi possono causare livellamenti su ampia scala. Epidemie e pandemie come la “Morte nera”, quando cambiò i valori relativi a terreno e lavoro nel tardo Medioevo. Il collasso di Stati o sistemi economici, con il crollo dell’Impero romano o della dinastia Tang in Cina, visto che quando il depauperamento è generale, i ricchi perdono di più. Le rivoluzioni cosiddette “totali” come quella russa o cinese e, infine, i fratellastri di queste ultime nel 20mo secolo, ovvero guerra di mobilitazione di massa. Ed ecco il passaggio più stridente rispetto alla filosofia del settimanale che ospita la recensione: per lo storico austriaco, le riforme politiche sono sostanzialmente incapaci di creare effetti reali sulla disuguaglianza, essendo designate al bilanciamento di potere tra ricchezza e politica, mentre solo la violenza – ma “su scala enorme” – può portare a grande uguaglianza. Il tutto, recensito senza toni critici, né crucifige sul settimanale della City. Che qualcuno metta le mani avanti? Trattasi di mea culpa o di un messaggio ancora più subdolo e subliminale? Ci si attende qualcosa?
Sicuramente se lo attende Bill Blain della Mint Partners, il quale ha anche una data precisa per il tonfo dei mercati: “La mia predizione, al momento, è per 12 ottobre. Attorno a quel giorno penso che la situazione si farà orribilmente interessante. E’ una sensazione di pancia ma, d’altronde, ci sono talmente tante contraddizioni là fuori. L’insostenibilità dei debito dei consumatori, spread di credito ristretti, il castello di sabbia che sta alle fondamenta del debito studentesco, dell’acquisto di auto, immobiliare e del mercato CLO. E poi la Cina, Trump, la politica… preoccupazioni su chi seguirà il destino del Brasile nei mercati emergenti, che altro.. Ah, il rischio di un enorme crollo del sentiment dei consumatori… E ricordatevi che non abbiamo visto una correzione significativa del mercato azionario dal 2011! L’attuale ripresa economica è la terza più lunga dal 1854 ma ora appare stanca”. Oggi, poi, attorno all’ora di pranzo l’euro ha conosciuto un aumento nel cross sul dollaro,
dopo che le agenzie hanno ribattuto le parole pronunciate da Angela Merkel nel corso di un dibattito in un liceo di Berlino incentrato sul surplus tedesco: “L’euro è troppo debole e questo rende i prodotti tedeschi a buon mercato. E’ questa debolezza dell’euro a gonfiare il nostro surplus commerciale e tutto dipende dalle politiche monetarie della BCE”. Come dire, alla riunione dell’8 giugno del board, Mario Draghi farebbe bene a mettere sul tavolo il tapering degli acquisti obbligazionari. E questa volta la voce tedesca non salta fuori dal nulla, perché a parlare di “tassi che possono salire” e “crisi dell’eurozona ormai alle spalle” sono stati sul finire della scorsa settimana i Batman e Robin della BCE, ovvero Benoit Coeure e Mario Draghi. La BCE comincia a ragionare sul ritiro dello stimolo? E dove andrà a finire lo spread italiano? E quelli spagnolo, portoghese e greco? Cazzi loro (e nostri). Anche perchè poco prima che la Merkel lanciasse il messaggio in codice, il commissario UE agli Affari economici e finanziari, Pierre Mosconici, dava il via libera alla manovrina correttiva italiana, scacciando il fantasma della procedura di infrazione ma mettendo due paletti chiari: revisione in ottobre e ripristino dell’IMU sulla prima casa per i redditi più alti già dal 2018. Ovvero, Bruxelles già ora sta dettando il DEF.
Niente di nuovo, a parte il fatto che il giorno prima di questa uscita, il capogruppo PD alla Camera, Ettore Rosato, avesse dichiarato che “il voto anticipato non è un tabù” e Silvio Berlusconi avesse chiaramente detto sì al PD per le urne in settembre od ottobre, a patto di avere il sistema elettorale tedesco per depotenziare la Lega di Matteo Salvini. Estate rovente per il combinato di tapering BCE e campagna elettorale? E poi un bel voto anticipato destinato a sfociare nell’ingovernabilità, stante anche l’Aventino preventivo e paraculo di Beppe Grillo, il quale dopo aver definito il Movimento 5 Stelle i “nuovi francescani”, ha detto chiaramente che “non mi interessa andare al governo”? A quel punto, magari, in sede di revisione, l’UE si farà matrigna e chiederà di più per evitare che scattino la clausole di salvaguardia, leggi aumento IVA. E con una situazione simile, il DEF da preparare e oltre 100mila migranti entrati nel Paese, capaci di portare l’esasperazione della gente davvero al punto di rottura, chi può escludere tensioni serie? Una situazione che richiederebbe mosse drastiche, misure d’emergenza e uno spazio di manovra pressoché illimitato, un po’ come quello garantito all’Eliseo dalla strage del Bataclan e ancora oggi in vigore. Stanno preparando una rivolta a tavolino per poter avere mano libera nella repressione e nella gestione delle misure economiche? Se a fine luglio, Emmanuel Macron prorogherà i suoi poteri fino all’inverno, io comincerei a preoccuparmi. O a prepararmi.
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