da il Fatto Quotidiano
La Procura di Grosseto accusa Francesco Schettino, capitano della Concordia, di avere abbandonato la nave molto prima che i passeggeri fossero tratti in salvo. Ilfattoquotidiano.it è in grado di ricostruire i movimenti e i contatti del comandante in fuga: “Lo chiamò la Capitaneria intimandogli di tornare a bordo, ma non ne volle sapere”
Si porterà per sempre appresso due nomi la tragedia dell’isola del Giglio: uno è Concordia, il nome della nave, l’altro è Schettino, nome di battesimo Francesco, campano, l’uomo fermato dai magistrati e ritenuto il responsabile numero uno di quanto accaduto venerdì notte: è stato lui, secondo la Procura, a dirottare la nave verso la costa, lui che si è avvicinato troppo, lui che ha abbandonato i passeggeri e l’equipaggio al loro destino.
Il fattoquotidiano.it è in grado di ricostruire tutto quanto avvenuto quella maledetta sera che, fino a oggi, ha restituito cinque cadaveri e un milione di incertezze.
Il mayday mai dato. “Costa Concordia, tutto ok?”. “Sì, Compamare Livorno, solo un guasto tecnico”. “Costa Concordia, siete sicuri che è un guasto tecnico. Sappiamo che a bordo ci sono i passeggeri con i giubbotti salvagente”. “Compamare, confermiamo: è un guasto tecnico”. E’ andata più o meno così, secondo le testimonianze raccolte dal Fatto.it e secondo le prime ricostruzioni della Guardia costiera, la conversazione tra la plancia di comando della Costa Concordia e la sala operativa della Capitaneria. Anzi, bisogna dire piuttosto tra la Capitaneria e la Concordia, visto che sono stati i militari della guardia costiera a chiamare la nave. Chissà quanto avrebbero atteso ancora a chiedere aiuto, se non fosse stato per una signora pratese a bordo.
L’allarme? Lanciato dalla passaggera. Atterrita, ha chiamato la figlia a casa, dicendo di trovarsi all’interno della nave, che si stava già inclinando, in un locale in cui era buio pesto e con addosso il giubbotto salvagente. La figlia ha chiamato la Capitaneria di Savona perché la madre aveva detto che era nel tratto tra Civitavecchia e il porto ligure, ma la sala operativa non sapeva niente. Così la telefonata successiva è stata ai carabinieri di Prato che hanno contattato i colleghi di Livorno. E hanno coinvolto la Capitaneria di Livorno che si è messa “a caccia” della nave Costa grazie al cosiddetto ‘Ais’ (Automatic Identification System), il sistema tecnologico di identificazione navale.
“Solo un guasto”. Dalla sala operativa livornese hanno dunque chiamato a bordo del Concordia. “Problemi?”, hanno chiesto. Dall’altra parte hanno risposto che era solo un guasto tecnico (e siamo già alle 22 passate, almeno un quarto d’ora dopo la collisione contro gli scogli secondo gli orari della Procura). Ma il militare della Capitaneria è vispo, sente che qualcosa non torna: un guasto tecnico e i passeggeri hanno il salvagente? Meglio chiarire: scusate, Concordia, ma allora perché i passeggeri hanno il giubbetto? Dall’altra parte, di nuovo la stessa risposta: confermiamo, guasto tecnico. Una risposta che hanno sentito anche i finanzieri della prima motovedetta arrivata in assoluto sul posto, appartenente al Reparto aeronavale delle fiamme gialle di Livorno. “All’inizio dalla nave hanno detto che si trattava di un guasto tecnico, senza specificare la natura – racconta il tenente colonnello Italo Spalvieri, comandante del reparto – Successivamente hanno chiesto all’equipaggio della motovedetta di poter agganciare un cavo in modo da essere trainati, ma era come chiedere a una formica di spostare un elefante”. Dopo circa 20 minuti, spiega Spalvieri, hanno dato l’ ‘abbandono nave’, il segnale per l’evacuazione.