fonte: OasiCenter http://www.oasiscenter.eu/it/node/7920
Le rivolte arabe, iniziate in Tunisia e diffusesi in tutto il mondo arabo, dal Marocco alla Siria, non sarebbero potute arrivare in un momento peggiore per la leadership saudita. Indebolita da divisioni interne, l’anziana leadership si è seriamente preoccupata per i movimenti di protesta che si sono materializzati nel Paese, non solo nella Provincia Orientale dove vive una minoranza sciita, ma anche in molte città saudite. Il regime ha risposto alle dimostrazioni in tre modi. In primo luogo con il pesante intervento delle forze di sicurezza, in secondo luogo con lo schieramento dell’establishment religioso, che ha ripetutamente condannato la disobbedienza civile come contraria all’Islam, giocando allo stesso tempo la carta del settarismo, soprattutto contro la comunità sciita. Infine, distribuendo benefit economici per comprare la fedeltà dei sauditi.
Queste tensioni interne hanno determinato il modo in cui l’Arabia Saudita ha risposto alle rivolte nei paesi limitrofi e nel mondo arabo nel suo complesso. Sono state adottate tre strategie: contenimento, contro-rivoluzione e sostegno alla rivoluzione. In Tunisia ed Egitto inizialmente i media sauditi sono stati critici verso le proteste e si sono schierati piuttosto chiaramente a sostegno dei regimi. Per esempio si è affermato che Bouazizi, il giovane tunisino che si è ucciso dandosi fuoco, aveva una fede debole ed è stato incapace di sopportare le difficoltà, altrimenti avrebbe evitato di commettere il suicidio, un atto condannato nell’Islam. Nonostante le strette relazioni in materia di sicurezza, in fin dei conti la Tunisia era marginale alla politica saudita e alla fine il regime ha accettato il fatto compiuto. Tuttavia, l’Arabia Saudita non si è congratulata con i tunisini per la loro rivoluzione fino a poco tempo fa, quando il nuovo Primo Ministro tunisino, Jebali si è recato in visita a Riyadh principalmente per discutere la sorte dell’ex presidente Ben Ali, che ha trovato rifugio a Jeddah.