trascrizione dell’intervista in aereo:
Santo Padre, in questi giorni ci sono anniversari terribili, come quello dell’11 settembre o quello del massacro di Sabra e Chatila. Alle frontiere del Libano c’è una sorta di guerra civile e noi vediamo anche nei nostri Paesi il rischio della violenza sempre presente. Con quale sentimento affronta questo viaggio? È stato tentato di rinunciare per l’insicurezza o qualcuno le ha suggerito di rinunciare?
«Cari amici, sono molto riconoscente per questa possibilità di parlare con voi. Nessuno mi ha consigliato di rinunciare a questo viaggio e per parte mia non ho mai pensato a questa ipotesi. Perché so che se la situazione diventa più complicata diventa ancora più necessario dare questo segno di fraternità, di incoraggiamento, di solidarietà. Dunque questo è il senso del mio viaggio: invitare al dialogo, invitare alla pace, contro la violenza, andare insieme per trovare la soluzione dei problemi. E dunque i sentimenti in questo viaggio sono soprattutto sentimenti di riconoscenza per la possibilità di andare ora in questo paese grande . Questo Paese che, ha detto Giovanni Paolo II , più che un paese è un messaggio, questa regione dell’incontro delle origine delle tre religioni abramitiche. E sono riconoscente soprattutto al Signore che mi ha dato la possibilità; sono riconoscente a tutte le istituzioni e le persone che hanno collaborato…; e sono riconoscente a tante persone che mi accompagnano con la preghiera questa protezione della preghiera… sono felice e sono sicuro…»
Un gran numero di cattolici manifesta inquietudine davanti alla crescita dei fondamentalismi in varie regioni del mondo e davanti alle aggressioni delle quali sono vittime molti cristiani. In questo contesto difficile, come la Chiesa può rispondere all’imperativo del dialogo con l’Islam, sul quale lei ha più volte insistito?
«Il fondamentalismo è sempre una falsificazione della religione, è contro l’essenza della religione. Il compito delle Chiesa e delle religioni è purificarsi. La purificazione delle religioni da queste tentazioni è sempre necessaria ed è nostro compito illuminare, purificare le coscienze. Ogni uomo è un’immagine di Dio e noi dobbiamo rispettare nell’altro non solo la sua alterità ma nell’alterità l’essenza comune, d’essere un’immagine di Dio, l’altro come immagine di Dio. Dunque il messaggio fondamentale è contro la violenza che è una falsificazione come i fondamentalismi; è nell’educazione, l’illuminazione e purificazione delle coscienze, tolleranti capaci di dialogo alla riconciliazione e alla pace».
In questo contesto dell’onda di desiderio di democrazia che si è messa in moto in tanti Paesi del medio oriente con la cosiddetta primavera araba, data la realtà sociale della maggioranza di questi paesi in cui i cristiani sono minoranza non c’è il rischio di una tensione inevitabile tra il dominio della maggioranza e la sopravvivenza del cristianesimo?
«Direi di per sé la primavera araba è una cosa positiva: è il desiderio di più democrazia, di più libertà, di più cooperazione, della rinnovata identità araba. E questo grido della libertà che viene da una gioventù più formata culturalmente professionalmente che desidera più partecipazione nella vita politica e nella vita sociale è un progresso, una cosa molto positiva e salutata proprio anche da noi cristiani. Naturalmente dalla storia delle rivoluzioni noi sappiamo che il grido della libertà così importante e positivo, è sempre in pericolo di dimenticare un aspetto e una dimensione fondamentale della libertà, cioè la tolleranza dell’altro e il fatto che la libertà umana è sempre una libertà condivisa, che solo nella condivisione, nella solidarietà, nel vivere insieme con determinate regole può crescere. E questo è sempre il pericolo, così anche in questo caso e dobbiamo fare tutti il possibile perché il concetto di libertà, il desiderio di libertà, vada nella giusta direzione altrimenti la tolleranza, l’insieme, la riconciliazione come parte fondamentale della libertà. Così anche la rinnovata identità araba implica penso anche il rinnovamento dell’insieme secolare, millenario, di cristiani e arabi che proprio insieme in tolleranza di maggioranza e minoranza hanno costruito queste terre non possono non vivere insieme. Perciò penso è importante vedere l’elemento positivo di questi movimenti e fare il nostro perché libertà sia concepita nel modo giusto e risponda al maggior dialogo e non alla dominazione di uno contro l’altro».
In Siria come tempo fa in Iraq molti cristiani si sentono costretti a malincuore a lasciare il loro paese che cosa intende fare o dire la chiesa cattolica per aiutare in questa situazione per arginare la scomparsa dei Cristiani in Siria e in altri paesi medio orientali?
«Bisogna innanzitutto dire che non solo i cristiani fuggono ma anche i musulmani ma naturalmente il pericolo che i cristiani si allontanino e perdano la loro presenza in queste terre è grande dobbiamo fare noi il possibile per aiutarli a rimanere. L’aiuto essenziale sarebbe la cessazione della guerra della violenza, questa crea questa fuga e quindi il primo atto è fare tutto il possibile perché finisca la violenza e che sia realmente creata una possibilità di rimanere insieme anche in futuro. Cosa possiamo fare contro la guerra? Naturalmente sempre difendere il messaggio della pace, coscienti che la violenza non risolve mai un problema, e rafforzare le forze della pace. Direi importante è che il lavoro dei giornalisti che possono aiutare molto per dimostrare come la violenza distrugge e non costruisce, non è utile per nessuno. Poi direi forse gesti nella cristianità, giorni di preghiera per il Medio Oriente, per i cristiani e i musulmani, mostrare la possibilità di dialogo e di soluzione. Direi anche deve finalmente cessare l’importazione di armi, perché senza l’importazione della armi la guerra non potrebbe continuare, invece dell’importazione delle armi che è un peccato grave si dovrebbe importare idee di pace, creatività, trovare soluzioni da accettare ognuno nella sua alterità e dobbiamo quindi nel mondo rendere visibili il rispetto delle religioni, gli uni degli altri, rispetto dell’uomo come creatura di Dio, l’amore del prossimo come fondamentale per tutte le religioni. In questo senso con tutti i gesti possibili, con aiuti anche materiali aiutare perché cessi la guerra la violenza e tutti possono ricostruire il paese».
Oltre alla preghiera e ai sentimenti di solidarietà lei vede passi concreti che le chiese e i cattolici dell’occidente, soprattutto in Europa e America possono fare per sostenere i fratelli del Medio Oriente?
«Dobbiamo influire nell’opinione politica e ai politici di realmente ingegnarsi con tutte le forze, con tutte le possibilità, con della creatività per la pace, contro la violenza. Nessuno dovrebbe sperare in vantaggi dalla violenza, tutti devono contribuire in questo senso è un lavoro di armonizzazione, di educazione, di purificazione molto necessario da parte nostra. Del resto le nostre organizzazioni caritative dovrebbero aiutare in modo materiale e fare di tutto. Abbiamo organizzazioni come i cavalieri del santo sepolcro, di per sé solo per la Terra Santa, ma anche potrebbero aiutare simili organizzazioni materialmente, politicamente e umanamente in questi paesi io direi ancora una volta gesti visibili di solidarietà, giorni di preghiera pubblica, simili cose possono direi, allarmare l’opinione pubblica essere veramente fattori reali, non dimentichiamo che la preghiera ha un effetto se fatta con tanta fiducia e fede, avrà il suo effetto».