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di Luca del Pozzo
Sarà un caso che la dipartita da questo mondo di Bernardo Bertolucci sia avvenuta il giorno dopo la (politicamente correttissima, per altro) manifestazione contro la violenza sulle donne? Forse no. Perché se c’è uno, non l’unico ovviamente, che con la sua cinepresa ha trattato non esattamente bene le donne questo è stato proprio Bertolucci (e non parlo solo della famosa scena della sodomizzazione di Ultimo Tango, con la Schneider ignara di ciò che stava per accadere).
Naturalmente, il tutto coperto dalla coltre ideologica che dal ’68 in poi ha instaurato nella società quella che Augusto Del Noce, mutuando il termine da Proudhon, definì non a caso “pornocrazia”. Col risultato di banalizzare fino a svuotarlo di ogni significato che non fosse/sia la ricerca del piacere, l’atto che più di ogni altro “divinizza” l’uomo rendendolo partecipe della potestà creatrice di Dio. E’ stato anche grazie, o meglio a causa del cinema, di certo cinema al pari della letteratura dell’arte della musica delle scienze, ecc. che il celebre manifesto surrealista del 1947, quel “Rupture inaugurale” vero programma culturale della contestazione, penetrò fin nelle midolla dell’allora nascente società opulenta, e le cui conseguenze sono sotto gli occhi di tutti. Il Sessantotto ha segnato non soltanto la messa al bando di virtù quali pudore, verginità, purezza, continenza, ecc., ma soprattutto la comparsa sul proscenio della storia della pornocrazia, appunto, cioè di una visione dell’uomo come di un insieme di bisogni fisici da soddisfare, primo fra tutti quello del piacere sessuale elevato a fine supremo. Sulla scia di un libro scritto nel 1930 da Wilhelm Reich (altro nume tutelare della contestazione) intitolato non a caso “La rivoluzione sessuale”, i sessantottini teorizzarono e attuarono la cosiddetta liberalizzazione sessuale. Che in concreto voleva dire liberare la sessualità dal legame con la procreazione, vista come mezzo repressivo.
Detto in altri termini: secondo questo Reich gli uomini dovevano essere lasciati liberi di vivere la sessualità con l’unico fine della ricerca del piacere perché solo così sarebbero stati veramente felici. Ed essendo felici, l’umanità avrebbe finalmente raggiunto la pace e la concordia universali. Fintanto che, all’opposto, la sessualità fosse rimasta al servizio, per così dire, della procreazione gli uomini sarebbero stati repressi e, quindi, infelici.
Il Sessantotto ha insomma separato la sessualità dalla procreazione, teorizzando che si poteva fare sesso senza la “scocciatura” di poter avere un figlio; partendo da lì, oggi siamo arrivati all’estremo opposto, cioè a separare la procreazione dalla sessualità (è il caso dell’aberrante pratica dell’utero in affitto): per dirla in inglese, from sex without babies to babies without sex. E qual era, in tale ottica, l’istituto sociale repressivo per eccellenza, l’orrida prigione che teneva soggiogato il desiderio sessuale? La famiglia tradizionale, ovviamente. Che da allora è stata, ed è, messa sotto attacco con una ferocia implacabile, che non si spiega altrimenti se non con un’azione demoniaca, come per altro rivelò Suor Lucia dos Santos, la veggente di Fatima, al compianto card. Caffarra: “lo scontro finale tra il Signore e il regno di Satana sarà sulla famiglia e sul matrimonio”.
E basta guardare alla storia di quest’ultimo mezzo secolo per rendersi conto che è proprio così: dal divorzio all’aborto, dagli anti-concezionali alla fecondazione artificiale, dalle unioni same-sex alla maternità surrogata all’ideologia gender oggi imperante, la famiglia è stata talmente fatta a pezzi che oggi è difficile anche solo parlarne. Il motivo di tanto accanimento l’aveva già messo a fuoco sempre Augusto Del Noce nel 1970: “L’idea di matrimonio monogamico indissolubile e le correlative (pudore, purezza, continenza) sono legate a quella di tradizione che, a sua volta, in quanto «tradere» è consegnare, presuppone quella di un ordine oggettivo di verità immutabili e permanenti…Ma se noi separiamo l’idea di tradizione da quella di ordine oggettivo, essa deve di necessità apparire come il «passato», come «ciò che è superato», come «il morto che vuole soffocare il vivo»; come ciò che deve essere negato per poter ritrovare l’equilibrio psichico. All’idea del matrimonio indissolubile, deve sostituirsi l’unione libera, rinnovabile o solubile in qualsiasi momento. Non si può parlare di perversioni sessuali, anzi le forme omosessuali, maschili o femminili, dovranno essere considerate come le forme pure dell’amore”. Chiaro, no? Per far sì che il fiume potesse scorrere liberamente bisognava abbattere la diga. E pazienza se una volta lasciata libera, lo tsunami s’è portato via tutto. Non solo. Ma perfettamente in linea con la teoria dell’eterogenesi dei fini di G.B.Vico (secondo cui gli uomini partono con un obiettivo e arrivano alla conclusione opposta), la rivolta del ’68 anziché inaugurare l’età della libertà s’è risolta nel suo contrario: “ci accorgiamo – è ancora Del Noce che scrive – che il pansessualismo di oggi non è che un momento del processo verso una nuova forma totalitaria. Se la speranza, e con essa gli ideali, lo spirito, insomma, vengono meno, è inevitabile che la sessualità ne prenda il posto”. Ecco cosa è stato il “mitico” Sessantotto: siamo passati da un presunto regime alla dittatura certa di un pensiero unico sessualmente (e non solo) corretto. In pratica, cornuti e mazziati. E con gli anti-conformisti di allora nel frattempo saliti in cattedra e divenuti gli arcigni custodi del nuovo conformismo di massa. Al punto che oggi la vera trasgressione e il vero anti-conformismo stanno nella difesa della tradizione.
Ragion per cui tributare onori e ossequi a quanti, come Bertolucci, hanno contribuito (complice anche la miopia culturale di chi all’epoca non vide o fece finta di non vedere ciò che stava accadendo, in primis ampi settori ecclesiali) al diffondersi del pansessualismo oggi imperante, anche no, grazie. E a proposito della manifestazione contro la violenza sulle donne di domenica scorsa: la prossima volta voglio andarci anche io, è ora di dire basta ai femminicidi, d’ora in avanti si abortiscano solo figli maschi! Provocazioni a parte, se si vuole davvero promuovere la dignità della donna contro ogni sopruso, prima si riconoscerà che c’è stata una violenza a monte, ideologica e per questo mistificatrice, da cui è venuto tutto il resto, meglio sarà per tutti. O continueremo a guardare al dito per non vedere la luna.
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