Bin Salman e Netanyahu guidano Jabhat al-Nusra

Nasser Kandil, Top News/al-Bina  – Muna Alno-Nakhal, Reseau International, 22 marzo 2017

In generale, l’opinione pubblica occidentale sa che le mentono sulla Siria, ma non sa la verità.
Dr. Bashar al-Assad, Presidente della Repubblica araba siriana, 20 marzo 2017, ai media russi

Il 14 marzo Donald Trump riceveva il viceprincipe ereditario saudita Muhamad bin Salman. Il giorno dopo Damasco veniva colpita da due attentati estremamente letali, a meno di due ore di distanza, uno nel palazzo di giustizia, nelle ore di punta, l’altro in un popolare ristorante affollato nella parte occidentale della città. Non c’è bisogno di chiedersi, ancora una volta, dell’indifferenza strabordante dai media umanitari occidentali. Allo stesso tempo, si ebbe la terza sessione dei colloqui di Astana, boicottata dai capi delle fazioni armate della cosiddetta opposizione moderata presente nelle precedenti due sessioni, il cui garante è la Turchia secondo l’accordo tripartito tra Russia, Iran e Turchia, che aveva portato all’accordo di cessate il fuoco entrato in vigore il 29 dicembre 2016 e adottato all’unanimità dal Consiglio di Sicurezza con la risoluzione 2336 del 31 dicembre 2016. Il 16 marzo 2017, Nasser Kandil commentava questi eventi con una certa preveggenza.

La coincidenza della visita di Muhamad bin Salman a Washington con le esplosioni mortali a Damasco, i colloqui ad Astana 3 in assenza dei capi delle fazioni militari e le dichiarazioni russe su soggetti esteri che influenzano affinché non si risolva la crisi siriana, non è casuale. Risentimento saudita per la monopolizzazione dei gruppi armati del governo turco di Erdogan, relegando l’Arabia Saudita al ruolo di finanziatore, insieme alla Turchia non più un così attraente alleato, per il disaccordo statunitense-turco sulla guerra in Siria e l’uso di tutte le carte a suo favore, pur di sbarazzarsi dei curdi, al punto di osare aderire all’accordo tripartito con Mosca e Teheran.

Al contrario, a Riyadh, l’alleanza con Israele ha il vantaggio di permettere a Washington di dividere la guerra tra Siria meridionale e settentrionale, dando la priorità l’attacco all’Asse della Resistenza e all’Esercito arabo siriano, rispondendo alla volontà di Donald Trump di “vietare qualsiasi influenza iraniana” nella regione. Bin Salman quindi si recava a Washington portando col bagaglio le credenziali insanguinate dagli attentati terroristici a Damasco e il nuovo boicottaggio di Astana 3 delle fazioni terroristiche, dicendo che la priorità in Siria è a sud e non appartiene più ai turchi. Di qui la proposta a Trump di accordarsi sulla sicurezza con la Russia e soprattutto di non interessarsi alla soluzione politica globale della crisi siriana.

Il piano che bin Salman ha proposto a Washington si riduce a: La guerra in Siria del Nord contro lo SIIL è vostro affare, la guerra nel sud della Siria contro l’Asse della Resistenza è un nostro e vostro affare“.

Il 17 marzo, la Prima Dichiarazione dell’Alto Comando delle Forze Armate siriane faceva sapere che, mentre l’Esercito arabo siriano continua l’offensiva contro lo SIIL ad est di Palmyra:

Quattro aerei da guerra israeliani penetravano nello spazio aereo siriano intorno alle 02:40 su al-Buraj, dal territorio libanese, e hanno preso di mira una postazione dell’Esercito arabo siriano presso Palmyra, ad ovest di Homs. La nostra contraerea reagiva e abbatteva uno degli aerei sui territori occupati, e colpiva un secondo aereo, costringendo gli altri a fuggire. Tale aggressione palese del nemico sionista è volta a sostenere le bande terroristiche dello SIIL, cercando disperatamente di sollevarne il morale crollato e offuscare le vittorie dell’Esercito arabo siriano contro le organizzazioni terroristiche. L’Alto Comando del nostro Esercito è deciso a contrastare qualsiasi attentato sionista in qualsiasi parte del territorio della Repubblica araba siriana e risponderà con ogni mezzo possibile”.

Il governo israeliano lo negava, ma la reazione del ministro della Difesa Avigdor Lieberman, due giorni dopo, suggeriva il contrario a molti analisti, come Nasser Kandil, che tornava sul caso ampiamente riportato dai media, tuttavia, evidenziandone il legame col massiccio attacco di diverse fazioni asservite ad al-Nusra (alias Fatah al-Sham/Tahrir al-Sham] del 19 marzo, fermato dall’Esercito arabo siriano con centinaia di terroristi circondati nella periferia di Jubar, Qabun e Duma:

Negli ultimi sei anni, i turchi erano i più presenti sulla scena della coalizione contro la Siria, dietro facciate che crollate una dopo l’altra, rivelano infine, nell’ultimo scorcio di guerra, i veri volti dei mandanti. In effetti, l’alleato statunitense che aveva ritirato la flotta del Mediterraneo per evitare di una guerra senza sapere come finirla (in riferimento alla famosa notte del 30 agosto 2013), è riapparso sulla scena siriana una volta che la “guerra al terrorismo” diveniva una comoda copertura che gli riserva un ruolo “calcolato” sia nell’escalation che in qualsiasi soluzione o sistemazione politica. Così, lasciava condurre tale guerra agli alleati israeliani e sauditi, secondo l’equazione che ne mette in gioco la loro sopravvivenza, così come l’alleato turco che suona tutte le corde. Nascondendosi così dietro la maschera del trio israelo-saudita-turco per appropriarsi dei benefici delle tre comparse, e scaricandone i costi su ciascuna di esse”.

Il trio israelo-saudita-turco che ha infiltrato le due versioni di al-Qaida in Siria (SIIL e al-Nusra), le ha schierate su tutti i fronti, finanziandole, armandole e dirigendole nascondendosi dietro la maschera di al-Qaida, a sua volta mascherata da cosiddetta opposizione siriana. Questo, ben sapendo che la carta di al-Qaida è politicamente impraticabile e che l’organizzazione terroristica potrebbe rivoltarglisi, perché è la loro unica risorsa sul campo, essendo la scadente opposizione siriana incapace, anche per solo un’ora, di affrontare l’Esercito arabo siriano e i suoi alleati.

Uno degli indicatori dell’ingresso in quest’ultimo scorcio di guerra è il coinvolgimento diretto dei “grandi attori”; poiché le maschere sono cadute, non v’è più spazio per gli errori e né possibilità di scommettere su piccoli attori davanti l’enormità dei problemi. In effetti, al-Qaida opera apertamente senza nascondersi dietro una presunta opposizione; al-Nusra e Faylaq al-Rahman rivendicano ufficialmente l’attacco a Dara, al-Qabun e Jubar a Damasco; ed ecco Israele altrettanto apertamente compiere un raid aereo sulle postazioni dell’Esercito arabo siriano e degli alleati presso Palmyra con il pretesto chiaramente falso di distruggere un convoglio di Hezbollah. In realtà, l’azione israeliana mirava ad evitare che l’Esercito arabo siriano prendesse la sponda meridionale dell’Eufrate, mentre quella settentrionale è per metà occupata dallo SIIL che cerca d’invadere l’altra metà, battendo i curdi e l’Esercito arabo siriano ad Hasaqah e Dayr al-Zur.

Chiaramente, l’obiettivo degli israeliani era ritardare l’avanzata dell’Esercito arabo siriano sull’Eufrate, in modo che i gruppi dell’opposizione armata (raggruppati nel cosiddetto “nuovo esercito siriano”), che hanno addestrato per tale scopo, raggiungano la riva sud del fiume dopo aver attraversato il confine giordano e iracheno; tali gruppi, già utilizzati dagli statunitensi nelle battaglie di al-Tanaf, al confine siriano-iracheno, hanno fallito. In questo caso, ci si aspetta che attraversino il deserto siriano fino all’Eufrate, raggiungendo i curdi discesi da Hasaqah, quando gli statunitensi daranno l’ordine. Così sperano di tagliare la strada per Dayr al-Zur all’Esercito arabo siriano, inserendovi gruppi armati guidati da statunitensi ed israeliani, e allo stesso tempo spezzare il triangolo che ha consolidato tra Tadaf (città nel nord della Siria, a sud di al-Bab, liberata il 26 febbraio 2017), Palmyra e Dayr al-Zur.

Il fallimento del raid israeliano per via della risposta schiacciante dei siriani, che ha portato il confronto al livello “strategico”, ben al di là delle proiezioni del governo di Benjamin Netanyahu, e la risposta russa al raid, limitano lo spazio di manovra d’Israele, aumentando il livello del confronto e mettendo alla prova le relazioni USA-Russia in una situazione che toglie ogni possibile futuro ruolo d’Israele nello spazio aereo siriano. Poiché gli statunitensi hanno permesso agli israeliani di effettuare il raid, consegnandogli le chiavi dello spazio aereo siriano e consentendogli di volare sulla scia dei loro aerei, dopo aver effettuato un raid sulle posizioni di al-Qaida ad ovest di Aleppo (cioè, si sono presi il permesso di sorvolo sul territorio siriano concesso dai russi agli aerei degli Stati Uniti, grazie al coordinamento istituito per evitare le collisioni in volo).

Il risultato è che la manovra USA-Israele, che avrebbe reso un servizio tattico agli israeliani, permettendogli di contare sull’equazione siriana, rischia d’isolarli. Da qui la necessità per i sauditi di salvare la situazione con Jabhat al-Nusra, intensificandone gli attacchi terroristici contro Damasco per evitare che gli israeliani siano tentati di ritirarsi e, soprattutto, convincere gli statunitensi di poter ancora cambiare la situazione completando le azioni del partner israeliano.

Pertanto, gli statunitensi dovrebbero dare il tempo alla coppia israelo-saudita di condurre la guerra nel sud della Siria, contro lo Stato siriano e i suoi alleati, lungi da qualsiasi collaborazione con i russi o accordo o disaccordo con i turchi nel nord della Siria. Inoltre, i principali media sauditi e i capi delle delegazioni della presunta opposizione siriana del “Gruppo di Riyadh”, a Ginevra o Astana, non hanno condannato gli attentati terroristici o nascosto che le brigate di al-Nusra e Faylaq al-Rahman ne fossero gli autori. Come non nascondono che il momento scelto per attuarli è volto ad evitare che l’Esercito arabo siriano raccolga i frutti della “guerra dei missili” con gli israeliani.
Gli attori si muovono apertamente. Ora Israele e Siria sono faccia a faccia. Tutti gli altri sono solo tirapiedi!

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Nasser Kandil è un politico libanese, ex-vicedirettore di Top News-Nasser Kandil e redattore del quotidiano libanese al-Bina.

Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora

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