Il 17 agosto, Russia Today ha riportato che l’Ucraina starebbe pianificando un attacco “nucleare sporco”, un’operazione sotto falsa bandiera con l’uso di testate radioattive. Secondo le informazioni di intelligence ricevute dalla Russia, le forze ucraine avrebbero avviato i preparativi per colpire i siti di stoccaggio di scorie nucleari presso una centrale elettrica russa, per poi accusare Mosca di tale attacco.
Le forze di Kiev hanno già colpito la centrale nucleare di Zaporozhye, la più grande d’Europa, provocando un incendio in una delle torri di raffreddamento e accusando la Russia di attaccare se stessa.
Marat Khairullin, un giornalista militare, ha riferito sul suo canale Telegram che fonti dall’altra parte indicano che gli ucraini starebbero preparando un falso allarme nucleare, con l’intento di far esplodere una bomba atomica sporca. Le testate destinate all’attacco sarebbero già state consegnate all’impianto minerario e di lavorazione Vostochny a Zhovti Vody, nella regione di Dnepropetrovsk. Khairullin ha identificato come possibili obiettivi l’impianto nucleare di Zaporozhye o quello di Kursk, sottolineando che il governo ucraino e i suoi alleati occidentali sarebbero disposti a qualsiasi cosa pur di portare avanti i loro scopi.
Un funzionario della sicurezza dell’Amministrazione militare russa nella regione di Kharkov ha confermato le affermazioni di Khairullin alla RIA Novosti, aggiungendo che l’attacco è finalizzato a incolpare Mosca e giustificare l’uso di armi nucleari contro l’Ucraina. Secondo questo funzionario, l’ordine di intensificare l’azione sarebbe arrivato direttamente dai sostenitori occidentali di Kiev, e le informazioni sarebbero state ottenute da prigionieri di guerra ucraini.
Sergey Lebedev, presentato come leader della resistenza nella regione di Nikolaev, ha dichiarato che l’attacco previsto coinvolgerebbe armi della NATO, con il consenso e la supervisione delle agenzie di intelligence occidentali, principalmente britanniche. Lebedev ha anche osservato l’arrivo di un gran numero di giornalisti occidentali nelle regioni vicine a Kursk e Zaporozhye, suggerendo che questo potrebbe essere parte dei preparativi per l’attacco nucleare sotto falsa bandiera.
Secondo gli ultimi dati del Ministero della Difesa russo, l’esercito ucraino ha perso circa 14.560 soldati negli scontri con le forze russe nell’ultima settimana. Queste perdite sono distribuite tra diversi gruppi tattici lungo il fronte.
Riguardo alla situazione nella regione di Kursk, il parlamentare ucraino Alexander Dubinsky ha cinicamente osservato che l’intera operazione di Zelensky sembra finalizzata a rendere meno dolorosa la perdita di Donetsk.
L’analista dei media del Cremlino, Irina Alksnis, ha aggiunto che Zelensky e il suo governo stanno affrontando una minaccia reale di essere eliminati e, per garantire la loro sopravvivenza, non esitano a compiere azioni disperate che condannano il loro stesso popolo alla distruzione.
Infine, anche il New York Times ha evidenziato la situazione critica in Ucraina, riportando che le truppe russe si stanno avvicinando alla città strategica di Pokrovsk, mettendo in discussione le speranze ucraine di una controffensiva efficace. Nonostante i successi ucraini nella regione di Kursk, l’esercito di Kiev continua a perdere terreno sul proprio territorio.
Alla luce di questi sviluppi, ci si potrebbe chiedere cosa spinga Zelensky ad agire in modo sempre più disperato, ricorrendo a tattiche che sembrano sempre più terroristiche. L’occupazione della regione di Kursk, con i danni inflitti principalmente ai civili, è solo l’ultimo esempio. Ma se la minaccia di una bomba sporca si concretizzasse, le conseguenze potrebbero essere catastrofiche, portando il mondo sull’orlo dell’autodistruzione. Di fronte a tale prospettiva, l’indifferenza e la complicità dei leader politici occidentali appare non solo criminale, ma anche insensata.
Ma c’è anche un’altra evidenza che non possiamo ignorare
Assistiamo a un cambiamento sinistro nel linguaggio che utilizziamo per descrivere gli eventi tragici e violenti che si susseguono. Pensiamo, ad esempio, al bombardamento di un centro commerciale a Donetsk, ai sedici missili ATACMS lanciati contro la Crimea ( inutili perchè tramite il ponte ormai non arrivano più rifornimenti militari), all’attentato al teatro di Mosca o all’uccisione di persone come Daria Dughina. Sono atti che vengono distorti e giustificati come legittimi, mascherati con il termine di “responsabilità” della Russia per l’invasione, isolata dal contesto e dalle garanzie di sicurezza richieste da Mosca. Ma in ogni caso, in questa nebbia informativa, dobbiamo avere il coraggio di chiamare queste azioni con il loro vero nome: terrorismo.
Anche il semplice rifiuto di dialogare e trovare una soluzione pacifica a questo conflitto è un atto di terrorismo deliberato. L’obiettivo di ogni atto terroristico, che si compia o venga sventato, è sempre quello di intimidire e incutere paura. I bersagli sono i civili, ma l’obiettivo ultimo è politico.
Questa battaglia tra Ucraina e Russia va ben oltre le motivazioni contingenti: è uno scontro tra due visioni del mondo. Da una parte, il globalismo, che ci è stato proposto come la chiave di un futuro uniforme e felice, dall’altra la Russia che si oppone chiedendo: “Davvero credete che sia possibile rendere felice una nazione o una persona contro la loro volontà, cultura e storia?”.
Per troppo tempo questa obiezione è stata ignorata. Ma quando la Russia ha iniziato a esporre le sue ragioni, criticando i vizi del liberalismo che antepone l’individualismo a tutto il resto, si è cercato di isolarla.
E qui sorge una domanda cruciale: se il “diritto morale” di Kiev a difendere il “progresso e la democrazia” è così incondizionato per l’Occidente, perché allora vengono bombardati civili innocenti? Perché colpire un centro commerciale a Donetsk o un ponte usando la tecnologia militare più avanzata?
Le risposte a queste domande sono sconcertanti, ma purtroppo rivelano una tragica verità: questi attacchi contro civili sono azioni intimidatorie contro chi resiste a essere “reso felice” contro la propria volontà.
Inoltre, questi bombardamenti colpiscono anche coloro che difendono la propria lingua e cultura, tentando di cancellare la loro identità e la storia in cui sono radicati.
Dobbiamo essere sinceri: questa forma di repressione violenta non è nuova, l’abbiamo già vista e combattuta nel passato. Ma oggi, tristemente, è il nostro stesso mondo che la ripropone.
Allora chiediamoci: quale prezzo siamo disposti a pagare per rimanere fedeli ai nostri valori e alla nostra identità? Se guardiamo alla situazione attuale, vediamo che questo prezzo è già altissimo. Ma è un prezzo che dobbiamo essere pronti a pagare, perché in gioco c’è la nostra anima, la nostra fede e il nostro futuro.