In proposito, a mio avviso l’Avvenimento e la dottrina sono la stessa cosa, infatti non ci può essere Avvenimento senza un approfondimento di significato. Ciononostante, molti tendono a dare una gerarchia, dicono che senza Avvenimento non esista dottrina, perciò è più importante l’Avvenimento.
Ma in realtà non esiste una gerarchia tra Avvenimento e dottrina perché l’avvenimento già la contiene! Appunto perché l’avvenimento è una Persona. La gerarchia quindi è data solo dalla propria capacità e libertà di adesione e comprensione.Tuttavia, trattandosi di comprensione si potrebbe obiettare che aristotelicamente la persona di Gesu’ e’ la usis e la dottrina e’ una sua categoria influenzata peraltro da un sacco di fattori storici, culturali ecc[su_spacer]
Infatti, così sarebbe senza l’intelligenza dell’autorità della Chiesa e della Grazia e del criterio della comunionalità dei Santi. Anche per questi motivi non andrei con tanta leggerezza a toccare la dottrina verificata da secoli subordinandola alle esigenze del modernismo.
Segue il testo con il giudizio del card Cafarra ” LE CINQUE INSIDIE PER LA CHIESA DI OGGI” tratto dalla “lectio magistralis” tenuta dal cardinale Caffarra alla facoltà di teologia di Bratislava, il 24 febbraio 2016, dal titolo: “La Chiesa e l’uomo della post-modernità“:
“SE LA CHIESA NON SI RADICA NELLA DOTTRINA, CHE COSA DICE ALL’UOMO?”
(Card. Carlo Caffarra)
L’alternativa ad una Chiesa senza dottrina non è una Chiesa pastorale, ma una Chiesa dell’arbitrio e schiava dello spirito del tempo: “praxis sine theoria coecus in via”, dicevano i medioevali. Questa insidia è grave, e se non vinta causa gravi danni alla Chiesa. Per almeno due ragioni. La prima è che, essendo la “Sacra Doctrina” niente altro che la divina Rivelazione del progetto divino sull’uomo, se la missione della Chiesa non si radica in essa, che cosa la Chiesa dice all’uomo? La seconda ragione è che quando la Chiesa non si guarda da questa insidia, rischia di respirare il dogma centrale del relativismo: in ordine al culto che dobbiamo a Dio e alla cura che dobbiamo all’uomo, è indifferente ciò che penso di Dio e dell’uomo. La “quaestio de veritate” diventa una questione secondaria.
La seconda insidia è dimenticare che la chiave interpretativa della realtà tutta ed in particolare della storia umana non è dentro la storia stessa. È la fede. San Massimo il Confessore ritiene che il vero discepolo di Gesù pensa ogni cosa per mezzo di Gesù Cristo e Gesù Cristo per mezzo di ogni cosa. Faccio un esempio molto attuale. La nobilitazione dell’omosessualità, alla quale assistiamo in Occidente, non va interpretata e giudicata prendendo come criterio il mainstream delle nostre società; oppure il valore morale del rispetto che si deve ad ogni persona, il che è “metabasis eis allo genos”, cioè passaggio a un altro genere, direbbero i logici. Il criterio è la “Sacra Doctrina” circa la sessualità, il matrimonio, il dimorfismo sessuale. La lettura dei segni dei tempi è un atto teologale e teologico.
La terza insidia è il primato della prassi. Intendo il primato fondativo. Il fondamento della salvezza dell’uomo è la fede dell’uomo, non il suo agire. Ciò che deve preoccupare la Chiesa non è “in primis” la cooperazione col mondo in grandi processi operativi, per raggiungere obiettivi comuni. L’insonne preoccupazione della Chiesa è che il mondo creda in Colui che il Padre ha mandato per salvare il mondo. Il primato della prassi conduce a quella che un grande pensatore del secolo scorso chiamava la dislocazione delle Divine Persone: la seconda Persona non è il Verbo ma lo Spirito Santo.
La quarta insidia, molto legata alla precedente, è la riduzione della proposta cristiana ad esortazione morale. È l’insidia pelagiana, che Agostino chiamava l’orrendo veleno del cristianesimo. Questa riduzione ha l’effetto di rendere la proposta cristiana molto noiosa, e ripetitiva. È solo Dio che nel suo agire è sempre imprevedibile. E infatti al centro del cristianesimo non sta l’agire dell’uomo, ma l’Azione di Dio.
La quinta insidia è il silenzio circa il giudizio di Dio, mediante una predicazione della misericordia divina fatta in modo tale che rischia di far scomparire dalla coscienza dell’uomo che ascolta la verità che Dio giudica l’uomo.