10 gennaio 2012 – Aisling Byrne
Fonte: Asia Times online – 05 gennaio 2012
“La guerra con l’Iran è già iniziata,” ha scritto di recente un importante commentatore israeliano descrivendo la “combinazione costituita da uno stato di guerra nascosto e la pressione internazionale” attualmente applicata in Iran.
Anche se non detto, il “premio strategico” della prima fase di questa guerra all’Iran è la Siria; la prima campagna di una faziosa scalata al potere molto più ampia. “Oltre al crollo della stessa Repubblica Islamica”, ha detto la scorsa estate il re saudita Abdullah secondo quanto riportano le le cronache, “niente potrebbe indebolire l’Iran più della perdita della Siria.”
A dicembre, alti ufficiali degli Stati Uniti sono stati espliciti sul loro programma circa il cambio di regime in Siria: Tom Donilon, il Consulente per la Sicurezza Nazionale USA, ha spiegato che la “fine del regime del Presidente Bashar al-Assad costituirebbe la più grande battuta d’arresto per l’Iran nella regione – un colpo strategico che sposterebbe ulteriormente contro l’Iran l’equilibrio di potere nella regione.”
Poco prima, un funzionario chiave in termini di operazionalizzazione di questa politica, il Sottosegretario di Stato per il Medio Oriente Jeffrey Feltman, aveva dichiarato in occasione di un’audizione al Congresso che gli USA avrebbero “perseguito senza sosta la nostra duplice strategia di sostegno all’opposizione e di strangolamento diplomatico e finanziario del regime [siriano] fino al raggiungimento del risultato”.
Quella che stiamo vedendo in Siria è una campagna calcolata e deliberata per abbattere il governo di Assad in modo da rimpiazzarlo con un regime “più compatibile” con gli interessi USA nella regione.
Il programma dietro questo progetto è essenzialmente una relazione presentata dal neo-conservatore Brooking Institute per il cambio di regime in Iran nel 2009. Il rapporto “Quale Strada per la Persia?” – continua ad essere l’approccio strategico generale per il cambio di regime guidato dagli USA nella regione.
Una rilettura di esso, insieme al più recente “Verso Una Siria Post-Assad” (che adotta lo stesso linguaggio e la stessa prospettiva ma concentrandosi sulla Siria, ed è stato recentemente prodotto da due think-tanks neo-conservatori americani) illustra come gli sviluppi in Siria siano stati modellati secondo l’approccio passo dopo passo dettagliato nella relazione sulla Persia con lo stesso obiettivo chiave: il cambio di regime.
Tra gli autori di questi rapporti vi sono, tra gli altri, John Hannah e Martin Indyk, entrambi ex alti funzionari neo-conservatori dell’amministrazione George W Bush/Dick Cheney, ed entrambi sostenitori del cambio di regime in Siria. Non è la prima volta che assistiamo ad una stretta alleanza tra i neo-cons americani e britannici e gli islamici (tra i quali, come dimostrato, alcuni legati ad al-Qaeda) che lavorano insieme per portare il cambio di regime in uno stato “nemico”.
Probabilmente, la componente più importante in questa lotta per il “premio strategico” è stata la deliberata costruzione di una narrazione ampiamente falsa che snocciola dimostranti per la democrazia disarmati uccisi a centinaia e a migliaia mentre protestano pacificamente contro un regime oppressivo e violento, una “macchina omicida” guidata dal “mostro” Assad.
Mentre in Libia la NATO ha dichiarato che non vi erano “rapporti confermati di vittime civili” perché, come ha scritto di recente il New York Times, “l’alleanza aveva creato una definizione tutta sua di ‘confermato’: solo una morte sulla quale la NATO stessa avesse indagato e poi corroborato poteva essere definita ‘confermata’.
“Ma poiché la NATO stessa si è rifiutata di indagare sulle accuse,” ha scritto il Times, il suo conteggio delle vittime per definizione non poteva muoversi – da zero”.
La gran parte dei media occidentali e di quelli degli alleati degli Usa nella regione mediorientale, soprattutto al-Jazeera e al-Arabiya, collaborano effettivamente con la narrazione e l’agenda volte al cambio di regime in Siria, con una mancanza pressoché totale di spirito critico e di indagini sulle statistiche e sulle informazioni messe in giro da organizzazioni e media che sono o finanziati o posseduti dall’alleanza Usa/Europa/Golfo; proprio quei paesi che stanno promuovendo il cambiamento di regime.
Le denunce di “massacri”, le “campagne di stupro contro le donne soprattutto nelle aree sunnite”, le “torture” e perfino gli “stupri di bambini” riferiti dai media internazionali provengono in gran parte da due fonti: il SYrian Observatory of Human Rights e i Local Coordination Committees (Lcc); i media non fanno verifiche né riscontri se non in forma minima. Si nascondono dietro la formula “non possiamo verificare queste statistiche”. Dieci anni dopo la guerra all’Iraq, sembra che la lezione del 2003 – con la demonizzazione di Saddam Hussein e delle sue inesistenti armi di distruzione di massa – sia stata dimenticata (NB a cura della traduttrice: così come quella molto più vicina nel tempo, delle enormi menzogne che hanno dato il via alla guerra alla Libia, ndt).
Le fonti di tutti i dati e cifre circa la quantità di dimostranti uccisi e circa il numero di persone che partecipano alle manifestazioni – i pilastri della narrazione – sono tutti parte dell’alleanza per il cambio di regime.
L’Osservatorio siriano per i diritti umani, ad esempio, è finanziato da un fondo di Dubai con soldi messi dai paesi del Golfo – solo l’Arabia Saudita secondo Elliot Abrams ha destinato 130 miliardi di dollari a piegare ai propri fini le masse della primavera araba. Il detto Osservatorio è stato centrale nel guidare la narrazione circa l’uccisione di massa di migliaia di dimostranti pacifici usando figure gonfiate, “fatti”, e spesso esagerate notizie di “massacri” fino al più recente uso di “genocidio”. Pur sostenendo di lavorare dalla casa del suo direttore, l’Osservatorio è stato descritto come parte di una propaganda stampa messa in piedi dagli oppositori siriani e da chi li finanzia. Il ministro degli Esteri russo ha dichiarato:
Il Syrian transitional council è costituito a Londra dal Syrian Observatory of Human Rights…
L’Osservatorio non è legalmente registrato come compagnia o come Ong in Uk, opera in modo informale; dice di ricevere le sue informazioni da una rete di “attivisti” dentro la Siria; il suo sito in inglese è di una pagina mentre al-Jazeera ha un blog minuto per minuto fin dall’inizio delle proteste.
La seconda fonte di “notizie” dalla Siria, gli Lcc (Local Coordinating Committees) fanno più apertamente parte dell’infrastruttura mediatica dell’opposizione, e le loro cifre e rapporti rispondono alla stessa narrazione; in un’analisi dei loro rapporti, non ho trovato un solo riferimento all’uccisione di un insorto armato; si parla sempre di “martiri”, “soldati disertori”, gente uccisa in “manifestazioni pacifiche” e simili.
La terza fonte è al-Jazeera, il cui modo del tutto parziale di raccontare le diverse insurrezioni arabe è ben documentato. Un analista di lungo corso l’ha descritta come “sofisticato megafono del Qatar e del suo ambizioso emiro”; al-Jazeera è del tutto interna alle “aspirazione di politica estera” del Qatar.
Continua a fornire sostegno tecnico, materiali, voce e credibilità all’opposizione siriana. Da marzo 2011, offre sostegno tecnico agli attivisti in esilio che dal gennaio 2010 coordinavano le proprie attività da Doha.
Anche se il progetto non va secondi i piani: un sondaggio YouGov commissionato dalla Qatar Foundation ha mostrato che il 55% dei siriani non vogliono che Assad si dimetta e che il 68% dei siriani disapprova le sanzioni imposte alla Siria dalla Lega araba. Il sostegno ad Assad sarebbe dunque aumentato: prima degli eventi, il 46% dei siriani riteneva che Assad fosse un “buon presidente”. Il sondaggio conclude tuttavia che “la maggioranza degli arabi ritiene che Assad debba dimettersi vista la brutale repressione dei manifestanti…l’81% degli arabi vuole che Assad se ne vada e ritiene che per la Siria occorrano elezioni sotto la supervisione di un governo di transizione”. Ma a chi deve rendere conto il governo siriano? Al popolo siriano l’opinione pubblica degli altri paesi arabi? E’ interessante che parallelamente due fra i principali gruppi di opposizione abbiano annunciato che pur essendo contro un intervento militare straniero, non ritengono straniero un intervento arabo.
Comunque nessun grande media ha riportato il sondaggio di YouGov; non corrisponde alla narrazione.
In Gran Bretagna solo il Muslim News ha riportato il sondaggio. Due settimane prima, nel commentare le vittime dell’esplosione suicida a Damasco, il Guardian e gli altri media pubblicavano rapporti sensazionali e non verificati di alcuni blogger, uno dei quali ad esempio sosteneva che “è certo che alcuni dei corpi fossero quelli dei manifestanti”. “L’hanno già fatto in passato. Hanno preso corpi di vittimi da Dera’a (nel sud) e lei hanno mostrati a Jisr al-Shughour (vicino alla frontiera turca)”.
Rapporti recenti hanno sollevato seri dubbi sull’attendibilità della narrazione portata avanti quotidianamente dai media, soprattutto quella che ha come fonte l’Osservatorio siriano sui diritti umani e gli Lcc. A dicembre, il gruppo Stratfor ha avvertito: “Molte delle denunce più gravi dell’opposizione siriana si sono rivelate esagerate o semplicemente non vere”. Anche nei mesi precedenti Stratfor metteva in guardia contro la guerra delle percezioni. “I rapporti dell’Osservatorio siriano per i diritti umani e degli Lcc, come quelli del regime, dovrebbero essere visti con scetticismo; l’opposizione sa che ha bisogno di sostegno finanziario dall’estero e a questo fine presenta i fatti in modo tale da giustificare appunto un finanziamento dall’estero”.
Il ministro degli esteri russo Sergei Lavrov ha osservato: “E’ chiaro che l’obiettivo è provocare una catastrofe umanitaria, trovare il pretesto per chiedere un intervento estero nel conflitto”. Allo stesso modo, a metà dicembre, American Conservative riportava che: “Analisti della Cia sono scettici. Il rapporto dell’Onu spesso citato, secondo il quale sono stati uccisi oltre 3.500 civili dai soldati di Assad si basa in gran parte su fonti dei ribelli e non è verificato. L’Agenzia ha rifiutato di confermare le denunce”.
Allo stesso modo, le notizie circa defezioni di massa dall’esercito siriano e di battaglie fra disertori e lealisti sembrano essere montate; poche le conferme indipendenti di defezioni. Il governo siriano sostiene che i soldati sono assaltati da ribelli armati, formati e finanziati da governi esteri. In novembre, la Free Syria Army ha affermato di avere molti più adepti ma, come ha spiegato a un analista, sostiene di “chiedere ai simpatizzanti di rimandare la defezione a quando le condizioni regionali non migliorino”.
Una guida per rovesciare un regime
Parlando della Siria, la sezione tre di “Passi per la Persia” il punto è particolarmente importante – si tratta essenzialmente di una guida che spiega – passo-passo- come istigare e sostenere una rivolta popolare, ispirando una rivolta e/o incitando ad un colpo di stato. La relazione viene fornita completa di una sezione “Pro e contro”:
Una rivolta è spesso più facile se fomentata e appoggiata dall’estero … Notoriamente costa poco sostenere le insurrezioni … un sostegno segreto a una insurrezione permetterebbe agli Stati Uniti di giustificarsi con una “negazione plausibile” … [Con un minor] gioco diplomatico e politico … piuttosto che partecipare ad una azione militare diretta… prima che il regime subisca una grave battuta d’arresto, cosa che offrirebbe (solo) l’opportunità di agire.
L’azione militare, sostiene il rapporto, dovrebbe essere presa solo dopo aver tentato ogni altra opzione e aver verificato che la “comunità internazionale” ha fallito in tutti i tentativi che i governi “avrebbero dovuto fare”, senza respingere nessun negoziato.
Questi aspetti chiave per istigare una rivolta popolare e la costruzione di una “vera e propria insurrezione” sono evidenti se si osservano gli sviluppi in Siria.
Questi includono:
• “Finanziamento e aiuti per organizzare le rivalità interne al regime” tra cui l’uso “infelice” di gruppi etnici;
• “Costruire una competenza per una ‘opposizione efficace’ con cui lavorare” e “creare una leadership alternativa per prendere il potere”;
• Fornire attrezzature e sostegno segreto ai gruppi, comprese le armi – dirette o indirette – come “fax , accesso a Internet, soldi” (contro l’Iran il rapporto osserva che la “CIA potrebbe curare la maggior parte delle forniture e della formazione, come ha fatto per decenni in tutto il mondo “);
• Formazione e appoggio per i contatti tra gli attivisti dell’opposizione;
• Costruire una storia che “con il supporto dei media USA potrebbe sottolineare le carenze del regime e minimizzare le sue attività più importanti” – ” Screditare il regime nell’opinione pubblica è fondamentale per il suo crollo”;
• Lo stanziamento di un budget di di grandi dimensioni per finanziare varie classi della società civile e promuovere iniziative (come il “fondo da 75 milioni dollari”, creato sotto l’ex segretario di stato americano Condoleezza Rice che finanziò i gruppi della società civile, tra cui “una manciata di opinionisti di Beltway e le istituzioni [che] aprirono nuovi tavoli sull’Iran)”;
• La necessità di una striscia di terra adiacente al con fine, in un paese vicino “per aiutarti a sviluppare un’ installazione per appoggiare le operazioni”.
“Al di là di questo”, continua il rapporto, “la pressione economica degli Stati Uniti (e forse la pressione militare) possono screditare il regime, sobillando la popolazione a pretendere una leadership contrapposta.”
Gli Stati Uniti ed i suoi alleati, in particolare la Gran Bretagna e la Francia, hanno finanziato e aiutato qualche “forma” di opposizione fin dall’inizio – i primi tentativi sono iniziati con gli Stati Uniti nel 2006 quando sostennero un fronte unitario contro il governo di Assad, e quando percepirono il “successo” del modello libico del Consiglio Nazionale di Transizione.
Nonostante tanti mesi di tentativi – principalmente da parte deli paesi occidentali – di riunire i vari gruppi in un solo, valido movimento di opposizione, questi restano sempre “un gruppo eterogeneo, che rappresenta le divisioni ideologiche, settarie e generazionali del paese “.
“Non c’è mai stata né c’è adesso nessuna tendenza naturale per una unità di questi gruppi, perché appartengono a contesti ideologici totalmente diversi e hanno opinioni politiche contrastanti “, ha concluso un analista.
In un recente incontro con il ministro degli esteri britannico, William Hague, i diversi gruppi non si sarebbero nemmeno voluti incontrare, anzi avrebbero voluto incontri separati.
Tuttavia, nonostante la mancanza di coesione, credibilità e legittimità interna, l’opposizione, prevalentemente sotto l’ombrello del Consiglio Nazionale Siriano (SNC), è stata istruita per prendere il governo. Ciò include una presa di coscienza delle proprie capacità, come conferma l’ex ambasciatore siriano negli Stati Uniti, Rafiq Juajati, ora parte dell’opposizione.
In un briefing a porte chiuse tenutosi a Washington DC a metà dicembre 2011, il Dipartimento di Stato americano e la SWP-Istituto tedesco per gli affari internazionali e la sicurezza (un osservatorio di analisi della politica estera del governo tedesco) hanno confermato che è stato finanziato un progetto gestito dall’Istituto per la Pace USA e dalla SWP, in collaborazione con la SNC, per preparare la presa del potere e la gestione della Siria.
In una recente intervista, il leader SNC Burhan Ghaliyoun ha comunicato (per “accelerare il processo” della caduta di Assad) quello che si aspettano da lui: “Non ci sarà nessun rapporto speciale con l’Iran”, ha detto. “Rompere questo rapporto eccezionale significa rompere l’alleanza militare strategica e dopo la caduta del regime siriano, [Hezbollah] non sarà più lo stesso.”
Descritti dalla rivista Slate come “i più liberali e filo-occidentali dei moti della primavera araba”, i gruppi dell’opposizione siriana sembrano accomodanti come i loro omologhi libici prima della scomparsa di Muammar Gheddafi, che il New York Times descrisse come “professionisti laici – avvocati, accademici, uomini d’affari – che parlano di democrazia, trasparenza, diritti umani e di stato di diritto “, caratteristiche, che sono le stesse, che aveva l’ex leader del gruppo di lotta libico islamico Abdulhakim Belhaj insieme ai suoi colleghi jihadisti, prima della transizione .
L’importazione di armi, attrezzature, uomini (in prevalenza dalla Libia) e di addestramento per i governi e altri gruppi legati a USA, NATO e loro alleati regionali iniziata nel mese di aprile-maggio 2011, in base alle diverse relazioni, ed è stasta coordinata dalle forze della base aerea americana di Incirlik nella Turchia meridionale. Da Incirlik, una divisione di informazione bellica dirige anche le comunicazioni per la Siria attraverso il libero Esercito siriano. Questo sostegno segreto continua, come riportato su American Conservative , ancora a metà dicembre:
Aerei della NATO in incognita stanno arrivando nelle basi militari turche vicino al Iskenderum sul confine siriano e portano armi … e volontari del Consiglio Nazionale di Transizione libico … Iskenderum è anche la sede del Libero ‘Esercito siriano, il braccio armato del Consiglio Nazionale Siriano. Addestratori speciali francesi e britannici provvedono ai ribelli siriani, mentre la CIA e le operazioni speciali USA forniscono apparecchiature di comunicazione e di intelligence per aiutare la causa dei ribelli, permettendo ai combattenti di eludere le concentrazioni di soldati siriani.
Il Washington Post ha pubblicato nel mese di aprile 2011 dei documenti di Wikileaks che mostrano che il Dipartimento di Stato ha dato milioni di dollari a diversi gruppi di esiliati siriani (compreso “ Fratellanza musulmana”- affiliato al Movimento per la Giustizia e lo Sviluppo con base a Londra) e a privati dal 2006 attraverso il fondo per ” Iniziative di Partnership con il M.O.” amministrato da una fondazione statunitense, Consiglio di Democrazia.
Documenti di WikiLeaks confermano che anche nel 2010, questo finanziamento è continuato, una tendenza che non solo continua ancora oggi, ma che è cresciuta alla luce del passaggio alla scelta di una “opzione soft” per un cambio di regime in Siria.
Dato che questo cambiamento di regime in Siria richiesto dai Neo-Con., guadagna forza all’interno del governo degli Stati Uniti, anche questa politica è stata assunta dai leader di opinione della politica estera degli Stati Uniti, molti dei quali partecipano a “Tavoli per la Siria” o “Gruppi di lavoro per la Siria”che collaborano a stretto contatto con i gruppi di opposizione siriani e con le associazioni (ad esempio USIP e la Fondazione per la Difesa della Democrazia) che hanno pubblicato una serie di documenti su come dovrà essere la politica nel caso di un cambio di regime.
Nel Regno Unito, in modo simile la Società Neo-Con ‘Henry Jackson’ (che “sostiene il mantenimento di un forte contingente militare, di Stati Uniti, dei paesi dell’U.E. e di altre potenze democratiche, con capacità offensiva di portata globale” e che ritiene che “solo i moderni Stati liberali democratici siano davvero legittimi”) sta spingendo per un programma di cambiamento di regime in Siria.
Tutto è svolto in collaborazione con uomini dell’opposizione siriana da Ausama Monajed, ex leader del gruppo siriano in esilio, il Movimento per la Giustizia e Sviluppo, legata ai Fratelli Musulmani, che è stato finanziato dal Dipartimento di Stato americano dal 2006, come abbiamo saputo da Wikileaks.
Monajed, membro del SNC, attualmente dirige una società di pubbliche relazioni appena trasferitasi a Londra e tra l’altro fu il primo ad usare il termine “genocidio” in relazione agli eventi in Siria in un recente comunicato stampa SNC.
Sin dall’inizio, è stata esercitata una forte pressione sulla Turchia per aprire un “corridoio umanitario” lungo il confine meridionale con la Siria. L’obiettivo principale di questo corridoio, come consiglia il rapporto “Passi per la Persia”, è fornire una base da cui la rivolta, preparata all’estero, può essere lanciata e supportata.
L’obiettivo di questo “corridoio umanitario” è umanitario almeno quanto le quattro settimane di bombardamenti sulla Sirte quando la NATO ha compiuto il suo mandato di “responsabilità per proteggere”, approvato dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU.
Tutto questo non vuol dire che non c’è effettivamente una domanda popolare per il cambiamento in Siria, contro quel sistema repressivo che applica controlli di sicurezza che dominano ogni aspetto della vita delle persone, né che nauseanti violazioni dei diritti umani non siano state commesse, sia dalle forze di sicurezza Siriane che dagli insorti armati dell’opposizione, oltre che da misteriosi personaggi di una terza forza che agisce fin dall’inizio della crisi in Siria, tra cui gli insorti, per lo più jihadisti entrati da Iraq e Libano, oltre a quelli arrivati più recentemente dalla Libia.
Questi abusi sono inevitabili nei conflitti a bassa intensità. I maggiori oppositori di questo progetto guidato da USA-Francia-UK- e Paesi del Golfo per un cambio di regime, fin dall’inizio avevano richiesto che fosse assunta piena responsabilità per le azioni e che fosse punito qualsiasi uomo della sicurezza o qualsiasi altro funzionario o responsabile che avesse commesso abusi contro i diritti umani.
Ibrahim al-Amine scrive che qualcuno del regime ha ammesso “che il farmaco della sicurezza stava nuocendo in molti casi e regioni [e] che la reazione alle proteste popolari era sbagliata … sarebbe stato possibile contenere la situazione con misure chiare, pratiche e ferme – come arrestare i responsabili di tortura sui bambini di Deraa “. E sostiene che la rivendicazione di un pluralismo politico e la fine della repressione generale sia vitale e urgente.
Ma quella che potrebbe essere iniziata come una protesta popolare, inizialmente concentrata su problemi locali e su incidenti (comprese le torture fatte dalle forze di sicurezza su alcuni giovani di Dera’a) è stata presto assorbita da questo progetto strategico più ampio che vuole rovesciare il regime.
Cinque anni fa, ho lavorato nel nord della Siria con le Nazioni Unite per un grande progetto di sviluppo della comunità. Dopo i primi incontri serali con le comunità, non era raro incontrare il Mukhabarat (i servizi segreti militari) che ci aspettava quando lasciavamo la stanza, per entrare e fotografare le mappe e le note attaccate alle pareti. Quasi ogni aspetto della vita quotidiana della gente era regolata da una sclerotica e irrazionale burocrazia per la sicurezza del partito Baath, priva di qualsiasi ideologia ma permeata di corruzione e nepotismo, inevitabili quando il potere è autoritario e percepibile in ogni momento della vita della gente.
IL 20 dicembre è stato definito dai media internazionali “il giorno più mortale dei nove mesi di insurrezione in Siria”, con il “massacro organizzato” di una “defezione di massa” di disertori dell’esercito a Idlib, nella Siria del nord. Affermando che l’area era a quel punto “esposta a un genocidio su larga scala”, il Syrian national council piangeva i “250 eroi caduti in 48 ore”, citando le cifre dell’Osservatorio siriano. Citando la stessa fonte, il Guardian scriveva che l’esercito siriano stava “dando la caccia ai disertori…uccisi circa 150 uomini che erano fuggiti dalle loro basi”. Il quadro che ne emergeva: una defezione di massa…finita male…con le forze lealiste che abbattevano i disertori fuggiti da una base militare. Quelli che erano riusciti a fuggire erano stati inseguiti sulle vicine montagne. L’Osservatorio siriano stimava in cento i disertori assediati, e in seguito uccisi o catturati. Secondo l’Osservatorio anche residenti che avevano nascosto i disertori erano stati uccisi.
Il blog del Guardian citava Avaaz, il gruppo di pubbliche relazioni e advocacy politica secondo il quale “269 persone sono state uccise negli scontri”; sempre Avaaz contava fra i morti “1673 rivoluzionari armati, 97 soldati governativi e 9 civili”. Il Guardian precisava che “Avaaz non ha fornito alcuna prova”.
Il Washington Post riferiva solo di aver parlato con “un attivista di Avaaz il quale ha detto di aver parlato con attivisti locali e gruppi medici i quali hanno fissato il totale dei morti a 269”.
Comunque, un giorno dopo gli iniziali rapporti circa il massacro di disertori in fuga, la storia era cambiata. Il 23 dicembre, il Telegraph riportava: “All’inizio si diceva che erano disertori dell’esercito i quali cercavano di entrare in Turchia per raggiungere la Free Syrian Army, ma adesso si dice che erano civili disarmati che si opponevano al tentativo dell’esercito di riprendere il controllo della provincia. Sono stati circondati da truppe e carrarmati e uccisi, senza sopravvissuti secondo i rapporti.
Il New York Times il 21 dicembre riferiva che il “massacro”, citando l’Osservatorio siriano, era stato di “civili e attivisti disarmati, senza alcun disertore fra di loro”. Citava il capo dell’Osservatorio il quale parlava di “massacro organizzato”, confermato dal “racconto di un testimone di Kfar Owaid”: “Le forze di sicurezza avevano liste di nomi di quelli che organizzavano massicce proteste antiregime….le truppe hanno aperto il fuoco con carrarmati, razzi, bombe per aumentare il numero di morti”.
Il Los Angeles Times citava un attivista con il quale aveva parlato via satellite e il quale, dalla sua postazione “nascosto in mezzo ai boschi” commentava: “Il termine ‘massacro’ sembra troppo poco per descrivere quel che è successo”:
Nel frattempo, il governo siriano riferiva che il 19 e 20 dicembre erano stati uccise “decine” di membri di gruppi terroristici armati a Homs e Idlib, e di aver arrestato molti ricercati.
La verità su questi due giorni “mortali” non sarà probabilmente mai conosciuta. Le cifre succitate (fra 10 e 163 insorti armati, fra 9 e 111 civili disarmati e fra 0 e 97 forze governative) differiscono a tal punto che la verità è impossibile da stabilire.
Rispetto a un precedente “massacro” a Homs, una indagine di Sratfor aveva trovato “nessun segno di massacro” concludendo che le forze dell’opposizione hanno interesse a parlare di massacri da impedire, sperando di imitare le condizioni che hanno portate all’intervento militare in Libia.
Eppure, il “massacro” del 19-20 dicembre a Idlib è stato riportato come un fatto, e inserito nella narrazione della “macchina di morte di Assad”.
Sia il recente rapporto del Commissario Onu per i diritti umani, sia un rapporto recente sul Guardian (pubblicato il 13 dicembre) – due esempi di tentativi di stabilire la verità circa il numero di ucci nel conflitto siriano – si fondano quasi esclusivamente su dati forniti dall’opposizione: intervista con 233 “disertori” nel caso del rapporto dell’Onu, e rapporti dell’Osservatorio siriano, degli Lcc e di al-Jazeera nel caso del blog del Guardian.
Il Guardian riferisce un totale di 1.414-5 persone uccise – fra le quali 144 addetti alla sicurezza fra gennaio e il 21 novembre 2011. Basato unicamente su notizie di stampa, il rapporto contiene una serie di imprecisioni (es. il numero degli uccisi non corrisponde ai luoghi citati nelle fonti originali); e comprende 23 siriani uccisi dall’esercito israeliano a giugno sulle alture del Golan; 25 persone riportate come “ferite” sono poi comprese nel totale degli uccisi. Il rapporto non fa riferimento ad alcuna uccisione di insorti armati nel periodo di 10 mesi: le vittime sono sempre definite “manifestanti”, “civili”, “popolo”; eccezion fatta per i 144 del personale di sicurezza.
Il 60% dei dati proviene dall’Osservatorio siriano, dagli Lcc e da “attivisti”, il resto viene da rapporti stampa, da Amnesty International e l’1,5% da fonti ufficiali siriane.
In risposta al rapporto del commissario Onu, l’ambasciatore siriano all’Onu ha commentato: “Dei disertori, come potevano dare testimonianze positive rispetto al governo siriano? Naturalmente danno testimonianze negative contro il governo siriano”.
Nello sforzo di gonfiare le cifre delle vittime, il gruppo Avaaz ha sorpassato anche l’Onu. Avaaz ha affermato pubblicamente di promuovere “il contrabbando di attivisti…fuori dal paese”, che portano avanti “rifugi segreti per dare riparo a importanti attivisti contro le persecuzioni del regime” e che un “giornalista di base di Avaaz” avrebbe “scoperto una fossa comune”.
Avaaz riferisce con compiacimento l’affermazione di Bbc e Cnn secondo cui i dati provenienti da Avaaz sono il 30% delle notizie che danno sulla Siria. Il Guardian ha riferito che Avaaz ha le “prove” di 6.200 uccisi (fra i quali le forze di sicurezza e 400 bambini), con 617 persone che sarebbero morte sotto tortura. La loro affermazione secondo cui hanno verificato ogni morte, confermata da almeno tre persone, “fra le quali un parente e un religioso che ha visto il corpo”, è estremamente improbabile.
L’uccisione di un brigadiere generale e dei suoi bambini lo scorso aprile a Homs illustra bene quanto sia pressoché impossibile, soprattutto durante un conflitto simile, verificare anche una uccisione; in questo caso di un uomo e dei suoi bambini. Il brigadiere, Abdu Tallawi, era stato ucciso con i figli e un nipote mentre passava in un quartiere non tranquillo. I rapporti su quel che è successo sono opposti.
Chi sta con il governo sostiene che egli è stato ucciso dai takfiri – estremisti islamici che accusano gli altri musulmani di apostasia – egli apparteneva alla setta alawita. Gli oppositori sostengono che egli era un membro della famiglia Tallawi di Homs e anche è stato ucciso dalle forze di sicurezza per accusare l’opposizione e distruggerne la reputazione. Alcuni affermano anche che egli sia stato ucciso per aver rifiutato di sparare ai dimostranti.
Una terza possibilità viene ignorata, vista l’estrema polarizzazione delle opinion a Homs. Il brigadiere è stato ucciso perché era in un veicolo militare, anche se aveva i bambini con sé. Chi lo ha ucciso non era interessato alla sua appartenenza religiosa ma voleva portare un colpo al regime, così da provocare una reazione anche più dura, che a sua volta avrebbe portato il movimento di protesta a un ciclo di violenza.