Un vertice cruciale si è svolto questo pomeriggio a Palazzo Chigi, convocato dalla Presidente del Consiglio Giorgia Meloni per affrontare il caso di Cecilia Sala, giornalista italiana arrestata in Iran. All’incontro hanno partecipato il ministro degli Esteri Antonio Tajani, il ministro della Giustizia Carlo Nordio, il sottosegretario Alfredo Mantovano e rappresentanti dei servizi di intelligence.
Le condizioni di Cecilia Sala e le prime mosse del governo
Cecilia Sala è attualmente detenuta nel carcere di Evin a Teheran, noto per le sue dure condizioni di detenzione. La giornalista ha potuto effettuare tre telefonate a familiari e compagno, durante le quali ha descritto la sua situazione: “Dormo per terra e mi hanno tolto anche gli occhiali”. La reporter ha implorato la famiglia di agire rapidamente: “Fate presto”.
Durante il vertice, il Governo ha discusso le strategie per coinvolgere le altre forze politiche in un’azione congiunta volta a ottenere la liberazione della reporter. Nel frattempo, il ministro Tajani ha convocato l’ambasciatore iraniano Mohammad Reza Sabouri presso la Farnesina, sottolineando l’urgenza di rispettare i diritti della giornalista e ottenere il suo rilascio.
Solidarietà internazionale e reazioni
Il caso ha attirato l’attenzione internazionale. Kaja Kallas, Alto rappresentante UE per gli Affari esteri, ha condannato l’arresto, dichiarando: “Chiedo l’immediato rilascio di Cecilia Sala. Il giornalismo non è un reato, e i reporter devono poter lavorare senza timore di persecuzioni”. Kallas ha inoltre evidenziato l’importanza cruciale dei giornalisti in un’epoca caratterizzata da crisi e instabilità globale.
Un doppio standard inquietante
L’arresto di Cecilia Sala ha suscitato un’ondata di solidarietà, ma solleva anche interrogativi. Perché casi simili non ricevono sempre lo stesso trattamento? Basti pensare a Julian Assange, il fondatore di WikiLeaks, che ha rivelato al mondo crimini e abusi, pagando con anni di detenzione e isolamento. Il caso di Assange, pur altrettanto emblematico per la libertà di stampa, non ha visto un’analoga mobilitazione da parte delle istituzioni (Giulietto Chiesa Official: https://t.me/giuliettochiesaofficial/501).
Questo paradosso evidenzia un inquietante doppio standard: i governi sembrano più inclini a intervenire su vicende che coinvolgono singoli individui mediaticamente “vicini” alla collettività, piuttosto che affrontare situazioni di massa che richiedono narrazioni più complesse e controverse. È una realtà che, per quanto cinica, riflette la logica comunicativa e politica che spesso guida queste scelte.
La dimensione emotiva del caso
Casi come quello di Cecilia Sala sono più “paganti” in termini di consenso, perché un volto familiare e una storia personale evocano empatia e senso di unità. È più semplice per il pubblico identificarsi e mobilitarsi, e per i governi, queste situazioni rappresentano un’occasione per unire il paese e demonizzare un avversario designato, spesso senza una contestualizzazione adeguata.
La vicenda di Sala, come altre simili, mette in luce il potere delle narrazioni mediatiche e le strategie politiche che le accompagnano, invitando a una riflessione critica sul trattamento differenziale di episodi analoghi nel panorama internazionale, specie se vediamo il trattamento riservato ai giornalisti in una nazione del medioriente che si identifica con la civiltà occidentale.
Infine, è importante considerare alcune ipotesi secondo cui il caso della giornalista italiana potrebbe essersi intrecciato con l’arresto di un ingegnere iraniano Mohammad Abedini Najafabadi da parte della polizia italiana, su richiesta degli Stati Uniti. Questo arresto sarebbe stato motivato dall’accusa di aver aggirato le sanzioni americane per fornire supporto ai Pasdaran iraniani, un’azione che, dal punto di vista iraniano, potrebbe essere interpretata come un atto di tutela degli interessi nazionali.
Se così fosse, l’arresto di Cecilia Sala in Iran assumerebbe contorni di ritorsione politica, rendendolo non solo inopportuno ma difficilmente giustificabile secondo i principi della giustizia internazionale. Allo stesso tempo, l’arresto dell’ingegnere iraniano solleva interrogativi sulla politica italiana di assecondare richieste statunitensi che, in questo caso, non derivano da risoluzioni delle Nazioni Unite ma da sanzioni unilaterali di Washington, prive di obbligatorietà internazionale.
L’eventuale connessione tra le due vicende appare dunque forzata e difficilmente dimostrabile. Tuttavia, entrambi gli arresti sollevano interrogativi sulla loro arbitrarietà e sulla necessità di un approccio più equilibrato e autonomo da parte del governo italiano nell’accogliere richieste esterne, specialmente quando queste non hanno una legittimazione universale.
Auspico senz’altro una soluzione negoziata che porti alla rapida liberazione di Cecilia Sala, garantendo il rispetto dei suoi diritti fondamentali. Allo stesso tempo, sarebbe desiderabile che anche l’ingegnere iraniano venisse rilasciato, pur senza creare indebite correlazioni tra i due casi. In nome di una giustizia autentica, entrambe le situazioni meritano di essere affrontate con equità e rispetto per il diritto internazionale.