Referendum per l'Euro

da: http://www.beppegrillo.it/2011/12/referendum_per/index.html Il sondaggio “L’Italia deve uscire dall’Euro” ha visto il prevalere degli euroscettici. Su 20.176 risposte, 11.352 hanno risposto SI, pari al 56,68% e 8,676 hanno risposto NO, pari al 43,32%. Ben 10.608 persone hanno spiegato le motivazioni del loro voto. Una Summa dell’Euro. Chi ha il tempo di leggerle può farsi una opinione …

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LAICI, CIOÈ CRISTIANI

Mi sembra particolarmente importante aver voluto affrontare quest’anno, nell’Assemblea Plenaria, il tema di Dio: «La questione di Dio oggi». Non dovremmo mai stancarci di riproporre tale domanda, di “ricominciare da Dio”, per ridare all’uomo la totalità delle sue dimensioni, la sua piena dignità. Infatti, una mentalità che è andata diffondendosi nel nostro tempo, rinunciando a …

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Paolo Savona: "Ci siamo mossi con troppa superficialità per entrare in europa"

Questo è interessantissimo intervento dell’economista Paolo Savona, per cambiare punto di vista, e non usare quello che il problema l’ha creato ( ci sono colpe dei singoli stati ma è il sistema euro che non funziona): chi è Paolo Savona. Dopo la laurea inizia la sua carriera in Banca d’Italia vincendo il concorso per entrare …

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«Libia 2011»: un paese che non c'è più

fonte Eurasia

Abbiamo intervistato Paolo Sensini,  autore dell’opera “Libia 2011”[1]. Un saggio molto interessante che offre nella prima parte un’agile narrazione di cento anni di storia libica incastonati fra due eventi luttuosi per il paese: la guerra coloniale italiana del 1911 e l’intervento umanitario (rectius neocoloniale) del 2011. La seconda parte è invece una disamina ben documentata degli eventi legati proprio all’intervento militare scaturito dalla Risoluzione ONU 1973, corredata anche dalla testimonianza diretta dell’autore, giunto in Aprile nei  luoghi del conflitto e partecipe dei lavori della commissione d’inchiesta sui fatti di Libia (Fact Finding Commission on the Current Events in Lybia).

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woophi - creative commons

Giacomo Guarini: Abbiamo visto con piacere che la sua opera viene citata e accolta con giudizio complessivamente positivo anche in un servizio video del Corriere della Sera[2]. Dispiace però che l’autore del servizio faccia riferimento a presunti “eccessi” che lei avrebbe compiuto nel dipingere la Libia pre-bellica come “prospera” e “teatro di riforme realizzate”. Eppure anche i riferimenti che lei fa a notevoli aspetti dello sviluppo economico-sociale del paese sono ben corredati da fonti, spesso anche ‘insospettabili’ (vedi ad esempio l’Indice di Sviluppo Umano ed altri dati riportati dalla Banca Mondiale in riferimento alla Libia). Può dare ai lettori un’idea dei progressi raggiunti dal paese in questi decenni di governo Gheddafi?

Paolo Sensini: In effetti l’unico modo per esprimere un giudizio obiettivo e ponderato sulla Libia, è quello di guardare alle realizzazioni concrete della Jamahiriyya. Partiamo dunque dal tasso di alfabetizzazione dei libici, che si attesta oggi intorno all’88%, mentre quando Gheddafi salì al potere nel settembre 1969 era circa del 6%. Già un dato di questo genere ci fornisce uno spaccato piccolo ma indicativo delle condizioni del paese. Se consideriamo poi anche gli indici sulle aspettative di vita e il reddito pro capite dei suoi abitanti, che combinati insieme al tasso d’istruzione costituiscono gli elementi chiave per il computo dell’Indice di Sviluppo Umano (HDI), vediamo che la Libia è l’unico paese dell’Africa rappresentato con il colore verde (livello HDI alto), trovando collocazione prima di ben nove nazioni europee. Bisogna anche considerare l’assistenza medica gratuita e di qualità largita a tutti i suoi cittadini, così come il livello d’istruzione primaria, secondaria e universitaria (nazionale ma anche in sedi estere) e la promozione familiare: in pratica a ogni neolaureato le istituzioni libiche erogavano, prima del colpo di Stato NATO-ribelli, una somma pari a cinquantamila dollari per potersi pagare una casa senza dover sostenere alcun interesse e senza data di scadenza. Ecco perché l’emigrazione dei libici verso l’Europa era quasi nulla (1.517 persone, in gran parte uomini d’affari e operatori commerciali), se rapportata all’esodo di dimensioni bibliche dagli altri paesi africani e arabi. Non va dimenticata, inoltre, la distribuzione quotidiana di cinque milioni di mq di acqua dolce che arrivavano gratuitamente nelle case dei tutti i libici attraverso le condutture del Great Made-Man River, il più grande acquedotto del mondo fatto costruire da Gheddafi a partire dagli anni Ottanta. Il che, per un paese quasi interamente desertico come la Libia, rappresenta una risorsa di straordinaria importanza. Insomma, se consideriamo tutto questo e molto altro di cui ho dato conto in dettaglio nel mio libro, vediamo che la Jamahiriyya è riuscita a ottenere risultati, sia pure con aspetti socioeconomici e politici che andavano certamente migliorati, di cui è difficile trovare riscontro a livello mondiale.

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guardare intorno per capirci meglio: cos’ha la Norvegia che l’Italia non ha?

un problema non può essere risolto con la stessa mentalità di chi l’ha creato, ecco la prima soluzione più logica ma più indigesta per le banche che hanno in mano la BCE. fonte: articolo di Nicoletta Forcheri La Norvegia sarebbe un caso da studiare e da emulare: un surplus del 10%, un profitto netto dei …

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E' UNA OPPORTUNITA' PER LA NOSTRA VITA DA NON PERDERE

  Cari amici, Non è forse una guerra quella che si sta disputando contro la Grecia ed ora contro l’Italia? Chi è favorevole alla destabilizzazione di intere economie nazionali? Questa carovana  guidata da banche creditrici, speculatori istituzionali, hedge funds e istituzioni finanziarie internazionali a cosa mirano? Onon mirano a nulla e si accontentano solo di …

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un occhio all'estero: banche di poprietà pubblica tedesche

Fonte: Publicly-owned Banks as an Instrument of Economic Development: The German Model

Le banche di proprietà pubblica sono state fondamentali per il finanziamento del “miracolo economico” della Germania dopo le devastazioni della Seconda Guerra Mondiale. Sebbene le banche pubbliche tedesche siano state prese di mira negli ultimi dieci anni dai loro concorrenti privati per ottenerne la distruzione, il modello rimane una valida alternativa all’affarismo privato ora oggetto di contestazione a Wall Street.

Una delle richieste avanzate dai manifestanti del modello Occupy Wall Street è la “public option” [Ndt: Per “public option” si intende l’ingresso dello Stato nel mercato privato] nel settore bancario. Che cosa ciò significhi è stato spiegato dal dottor Michael Hudson, docente di Economia presso l’Università del Missouri a Kansas City, in un’intervista a firma di Paul Jay del Real News Network del 6 ottobre:

[L]a richiesta non è semplicemente quella di creare una banca pubblica, ma di trattare le banche in genere come un servizio pubblico, proprio come le società elettriche vengono considerate di pubblica utilità.[…] Così come ci sono state pressioni per un ingresso dello Stato nel settore sanitario, ci dovrebbe essere l’ingresso dello Stato nel settore bancario. Ci dovrebbe essere una banca controllata dal governo che offra carte di credito con tassi di interesse non punitivi come quelli attualmente praticati pari al 30%, senza sanzioni, senza aumentare il tasso di interesse se non si paga la bolletta elettrica. Quello che ha reso l’America forte nel 19° secolo e nell’inizio del 20° secolo è stato l’avere infrastrutture essenzialmente pubbliche, proprio come se si hanno strade e ponti pubblici. […] L’idea alla base delle infrastrutture pubbliche consisteva nella volontà di pervenire alla riduzione del costo della vita e dei costi di impresa.

Negli Stati Uniti non si sente parlare molto dell’ingresso dello Stato nel settore bancario, ma alcuni paesi hanno già un forte settore bancario pubblico. A maggio 2010 un articolo comparso su The Economistsottolineava che la presenza di banche forti e stabili di proprietà pubblica in India, Cina e Brasile ha aiutato questi paesi a superare la crisi bancaria che negli ultimi anni sta affliggendo la maggior parte del mondo.

 

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