L’islam che l’Occidente si rifiuta di conoscere

10150639_655408241179713_2481201917375440978_nAnalisi di Valentina Colombo

Valentina Colombo

Membri “occidentali” dell’ISIS (Stato islamico dell’Iraq e del Levante) dichiarano che tra poco si dirigeranno, dopo avere invaso Siria e Iraq, verso la Giordania e il Libano. Il mondo sta a guardare pensando di salvaguardare meri interessi economici oppure i cosiddetti equilibri internazionali. Purtroppo, e per fortuna, il mondo non è bianco o nero, sunnita o sciita, musulmano o non, in mezzo agli estremi ci sono persone vere che subiscono le scelte della Realpolitik che vuole imporre una visione manichea.

Da un lato il bene e dall’altro il male, da un lato gli sciiti e dall’altro i sunniti, da un lato l’occidente ebraico-cristiano dall’altro islam, da un lato l’islamofobia dall’altro l’islam. Un’attenta analisi dei fatti e delle dinamiche che muovono il mondo contemporaneo dimostra che il problema nasce da una mancanza di chiarezza, di informazione corretta e di definizioni precise.

Un esempio lampante viene dalla reazione occidentale, a livello istituzionale e mediatico, alla cosiddetta “primavera araba”.
Alla fine del 2011, con la fuga di Ben Ali da Tunisi, i mezzi di comunicazione occidentali hanno iniziato a proporre, come unica alternativa ai dittatori arabi, i Fratelli musulmani definendoli con l’assurdo ossimoro “estremisti moderati”. Ebbene, il 27 ottobre 2011 i due principali quotidiani italiani, “Corriere della Sera” e “Repubblica”, annunciavano la vittoria alle elezioni tunisine da parte del partito Al-Nahdha parlando di islamismo “moderato”.
Il giorno successivo il quotidiano arabo internazionale “Al Hayat” conteneva un editoriale di Raghda Durgham dal titolo L’occidente confisca le rivoluzioni a vantaggio degli islamisti che esordiva con queste parole: «Mentre l’occidente parla della necessità di accettare il risultato del processo democratico che ha portato gli islamisti al potere nella regione araba, aumentano i dubbi circa le intenzioni dell’occidente stesso che ha avviato una nuova politica volta a favorire lo sviluppo della corrente islamica indebolendo le correnti moderniste, laiche e liberali».

Anche altri commenti provenienti dal mondo arabo non trasudavano certo tranquillità né serenità per i risultati tunisini. A prescindere dal fatto che il termine moderato riferito sia all’islam sia ai musulmani è del tutto inadeguato, ci si sarebbe dovuti chiedere come potesse essere “moderato” un partito legato ai Fratelli musulmani il cui motto è dato dal verso 60 della sura VIII del Corano che recita come segue: «E preparate contro di loro forze e cavalli quanto potete, per terrorizzare il nemico di Dio e vostro, e altri ancora, che voi non conoscete ma Dio conosce, e qualsiasi cosa avrete speso sulla via di Dio vi sarà ripagata e non vi sarà fatto torto».

Sebbene Rached al-Ghannouchi, leader di Al-Nahdha, non solo nel corso di tutta la campagna elettorale, ma sin dal suo rientro dall’esilio in Gran Bretagna, abbia giocato al ribasso ovvero rassicurando i tunisini sul fatto di non volere uno stato teocratico, di non volere fare venire a meno i diritti acquisiti dalle donne tunisine, di avere come modello la Turchia, è evidente che si trattava di mero pragmatismo. D’altronde Ghannouchi stesso nel volume Muqarabat al-‘ilmaniyya (Avvicinamenti alla laicità, Dar al-Mujtahid, Tunisi 2011, p. 33) non dava adito a dubbi sulla sua concezione di Stato: «Lo Stato islamico è uno stato di diritto per eccellenza ovvero l’autorità della sharia prevale su quella dello Stato». È pur vero che i più hanno conosciuto al-Ghannouchi solo di recente e soprattutto attraverso le sue dichiarazioni alla stampa internazionale. Sono in pochi ad avere avuto modo di leggerne gli scritti in arabo, primo fra tutti il suo saggio fondamentale Le libertà generali nello Stato islamico (Al-hurriyat al-‘amma fi al-dawla al-islamiyya, Markaz Dirasat al-Wahda al-‘Arabiyya, Beirut 1993, p. 48).

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