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Chi viola il diritto internazionale? La Russia e le guerre dell’Occidente – Limes

[Carta di Laura Canali]

Dal Kosovo in poi, Europa e Stati Uniti ignorano o strumentalizzano senza scrupoli norme fondamentali dello Statuto dell’Onu. Poi, come elefanti in una cristalleria, accusano Mosca.

di Felix Stanevskiy
La logica è uguale a Mosca e a Roma? Giorni fa un professore di una grande università italiana ha così reagito a un mio racconto sulla Crimea: “Sì, lo sappiamo che la maggioranza degli abitanti della penisola voleva associarsi alla Russia. Ma il voto è stato organizzato in un paio di settimane. Non lo accettiamo. Il referendum è una cosa seria!”

Francamente, il mio interlocutore mi ha messo in imbarazzo. Si trattava di un esperto di problemi internazionali e sapeva bene che lo aspettava una risposta alla quale non avrebbe potuto opporre nulla. Infatti, in Kosovo il referendum non è stato fatto, e l’Occidente non l’ha chiesto. Senza alcun referendum la Repubblica democratica tedesca è stata annessa alla Bundesrepublik Deutschland. E forse Israele, che appartiene al mondo occidentale, ha aggiunto vasti territori altrui dopo un voto di popolazioni confinanti? Più tardi ho capito perché il professore, dopo avere sentito le mie osservazioni, non si è scomposto minimamente: le mie considerazioni, insieme ai fatti che lo contraddicevano, non gli importavano per nulla.

Certamente le conosceva. Erano per lui come quelle mosche che danno fastidio, ma non troppo. Tutto ciò che considera non conveniente viene automaticamente ridotto a dettaglio inconsistente. Quasi nulla al confronto della ferrea convinzione che l’appartenenza alla “democrazia occidentale” consente di evitare la sgradevole necessità di dover passare per l’angusta porta della logica comune.

Chi non ha sentito l’Occidente accusare la Russia di aver violato in Crimea il diritto internazionale? Davvero una cosa fantastica. Gli accusatori, come elefanti in una cristalleria, calpestano, infrangono, distruggono le regole di convivenza pacifica tra gli Stati che sono state, bene o male, rispettate perfino nei decenni della guerra fredda. Il Kosovo è un caso classico.

Sedici anni fa, il 24 marzo 1999, i paesi della Nato scatenarono la guerra contro la Jugoslavia in violazione delle norme fondamentali dello Statuto dell’Onu e dell’Atto finale di Helsinki. Nulla è rimasto del principio che vieta non solo l’uso della forza, ma perfino la minaccia di usarla. Idem per il principio dell’integrità territoriale, per quello dell’inviolabilità delle frontiere e di quello della soluzione delle controversie internazionali con mezzi pacifici.

Peggio ancora. È stata compiuta una plateale aggressione contro uno Stato sovrano membro dell’Onu. La definizione di aggressione, deliberata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 14 dicembre del 1974, lo attesta nero su bianco: “Il bombardamento, da parte delle Forze armate di uno Stato, del territorio di un altro Stato, sarà qualificato come atto di aggressione”. E ciò – lo afferma con tutta chiarezza il documento – non può essere giustificato da nessuna considerazione di qualsiasi carattere: politico, economico, militare, ecc. Il bombardamento durò 78 giorni: 2.300 attacchi aerei contro 995 obbiettivi, 25 mila tonnellate di bombe sganciate, mille missili di crociera lanciati, circa duemila civili uccisi, quasi 7 mila civili feriti, numerosi edifici distrutti o semidistrutti, incluse case, scuole, alcuni monasteri e chiese, perfino luoghi riconosciuti dall’Unesco come patrimonio dell’umanità.

Le tecnologie più avanzate, messe al servizio della democrazia occidentale, riuscirono a centrare, con un missile di alta precisione, l’ambasciata cinese a Belgrado. Un altro di questi gioielli centrò il treno Belgrado-Salonicco carico di civili. L’Europa ha detto “addio!” al diritto internazionale.

Spettacolare è stata anche l’infrazione del diritto in Iraq. All’amministrazione statunitense appartiene il brevetto di inventore di un pretesto di tipo nuovo per scatenare una guerra. Basta mostrare dalla tribuna dell’Onu un’ignota polvere bianca dichiarandola arma chimica (irachena nel nostro caso) per ingannare, consapevolmente, la comunità internazionale. Una bella dimostrazione del comportamento etico degli Usa nonché della solidità delle affermazioni dei servizi segreti occidentali! Insomma la violazione della sovranità dell’Iraq nel 2003 ha dimostrato un disprezzo palese per il diritto internazionale, la sua cinica, sfacciata sostituzione con quello del più forte.

Di conseguenza il territorio iracheno si è trasformato in un mare di sangue: centinaia di migliaia di morti. A distanza di dodici anni dalla guerra, il diritto alla vita non è per niente assicurato, e non solo l’Iraq ma quasi tutto il Medio Oriente non trova pace. Diversamente, ma sempre sfidando il diritto internazionale, l’Occidente si è comportato in Libia. L’ingenua spensieratezza dell’offensiva anti-Gheddafi era frutto dell’estrema incompetenza di dirigenti occidentali nonché di un’interessata e irresponsabile interpretazione della risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu 1973 (2011). Così l’Occidente ha generato una permanente carneficina e il più grande caos degli ultimi anni poco lontano dalle frontiere europee.

La marea cancrenosa si è estesa dalla Libia fino al Medio Oriente da una parte, fino al Mali, alla Repubblica Centrafricana dall’altra e continuamente lambisce coste italiane con onde di una disperata, drammatica emigrazione. Ancora un prodotto della violazione del diritto internazionale – l’apparire e il consolidamento dello Stato Islamico. L’Occidente ha contribuito in modo determinante prima con la guerra in Iraq, poi in Libia ed infine ingerendosi negli affari interni della Siria. Invece di cercare una soluzione negoziata della crisi siriana, prescritta dai più autorevoli documenti internazionali, i paesi europei e nordamericani hanno agito secondo lo slogan apertamente formulato da un ministro degli Esteri occidentale: “appoggiare gli sforzi diplomatici con minacce di uso della forza”. In barba alle norme del diritto che lo vietano.

I media approvano in pieno. Ecco, per esempio, un rispettabile quotidiano italiano afferma che “non si può rinunciare a minacciare con la forza se si vuole giungere alla pace.” Da qui a un coinvolgimento nel conflitto non resta che un passo e l’Occidente l’ha fatto, rifornendo di armi gli oppositori di Asad, di cui più degli altri si è approfittato lo Stato Islamico. La banalizzazione della minaccia dell’uso della forza, ritenuta inammissibile 30-40 anni fa (l’Atto finale di Helsinki), è una conquista dell’Occidente dei nostri giorni. La minaccia ovunque si trasformava in un’azione bellica. A parte Jugoslavia, Libia, Iraq e Siria, gli alleati atlantici hanno bombardato Somalia, Yemen, Sudan, Pakistan, Afghanistan, Mali e hanno condotto massicce operazioni militari nella Repubblica Centrafricana.

Il ricorso alla guerra fa parte della normalità occidentale. Gli Usa e i loro alleati se ne sono serviti dieci volte in un quarto di secolo, e niente permette di credere che questa prassi cesserà presto. L’ultimo caso è il bombardamento dello Yemen da parte della coalizione capeggiata dall’Arabia Saudita con il consenso degli Usa. Si tratta di una violazione di turno del diritto internazionale: il Consiglio di sicurezza dell’Onu non ha dato il suo nulla osta a questo intervento. L’Occidente, abituato ormai a trasgredire leggi internazionali, neanche se ne accorge: una guerra in più non cambia niente. Avete mai sentito o letto una seria discussione sull’opportunità o meno di tante guerre? È letteralmente fuori discussione. Polemizzare sulla guerra in Libia – sì, anche su quella in Iraq, separatamente, come se non ci fosse alcun legame tra di esse.

Quando ho chiesto a un mio interlocutore europeo come mai non si prende neanche lontanamente in considerazione l’enorme volume di guerre condotte dall’Occidente, ho sentito la risposta: “Che c’è da discutere?” Come dire: ammazzavamo e continueremo ad ammazzare! L’uso della forza sostituisce praticamente tutto l’arsenale della diplomazia occidentale e rimane quasi l’unico metodo della soluzione di controversie internazionali (salvo il caso di paesi nucleari). Il mainstream mediatico neanche si domanda che cosa gli Usa, la Nato e l’Ue abbiano raggiunto spargendo fiumi di sangue, affondando nel caos intere regioni. Democratizzazione? Che ci dicano finalmente che cosa e dove hanno democratizzato, così sapremo finalmente che la promozione militare della democrazia fa parte del patrimonio democratico degli Usa e dell’Ue, e il ricorso alla guerra nonché alla minaccia dell’uso della forza resta compatibile con i principi democratici degli stati occidentali come erano considerati normali nei tempi delle monarchie assolutiste.

La propaganda della guerra in contrasto con le norme del diritto internazionale ha massicciamente investito i media europei e americani prima di ogni aggressione in Jugoslavia, Iraq e Libia. Attualmente una parte dei politici e dei giornalisti dei paesi Nato insiste sull’urgenza di fornire all’Ucraina armi letali per garantire la soluzione della crisi per via bellica. L’analista militare della Tv americana Fox News Robert Scales ha proposto in diretta “to start killing Russians”, “di cominciare a uccidere russi”. Non è solo una dichiarazione razzista. Si tratta della propaganda della guerra vietata dalla Convenzione internazionale sui diritti civili e politici.

Ovunque vai trovi contravvenzioni occidentali alle norme di convivenza pacifica comunemente concordate. È lecito per un diplomatico partecipare alle manifestazioni antigovernative del paese di permanenza? L’articolo 41 della Convenzione internazionale sulle relazioni diplomatiche lo vieta categoricamente. Ma all’Occidente preme di abbattere un governo sgradito. Abbiamo visto tre ministri degli esteri, l’assistente del segretario di Stato Usa, alcuni ambasciatori europei, senatori ed europarlamentari, un ex presidente e un ex premier prendere parte alle proteste di Maidan in Ucraina contro le autorità legittimamente elette e riconosciute come tali dai paesi europei e nordamericani.

Con sullo sfondo tutta questa pluriennale violazione del diritto internazionale, che peso hanno le accuse occidentali nei confronti della Russia per la Crimea e il Donbas? Si dice che i russi appoggiano Putin indottrinati dalla massiccia propaganda. In realtà, è il capo del Cremlino che sente gli umori della gente e li interpreta. I russi in maggioranza sono più radicali di lui. L’hanno evidenziato un’altra volta le domande che gli facevano i suoi concittadini nel corso dell’ultima mega-intervista Tv.

Non c’è bisogno, infatti, di una laurea universitaria per osservare che l’Occidente fa una guerra dopo un’altra, ammazza e distrugge, affonda nel caos intere regioni, demolisce il diritto internazionale – chi riuscirà a smentirlo? L’Occidente non lo smentisce ma con incessanti cannonate mediatiche cerca di abbattere la logica: importa solo ciò che gli importa. Proprio per questo il mainstream europeo e americano convince meno che mai perfino i propri lettori e ascoltatori. Basta guardare i commenti agli articoli, alle discussioni Tv: gli europei si fidano sempre meno delle dichiarazioni sull’attaccamento dei loro governi alla pace, della demonizzazione di Putin e di accuse contro la Russia.

È un fenomeno ancora più pronunciato in Asia, in Africa, nell’America latina. L’ultima inchiesta dell’Istituto americano Gallup sui paesi ritenuti più aggressivi, condotta nel mondo alla fine del 2013, ha rivelato che al primo posto con un grande distacco da altri Stati si trovano gli Usa. Non subito ma in fin dei conti i fatti vincono e la propaganda perde.

 

*L’autore di questo articolo è stato ambasciatore di Russia in Georgia e ministro-consigliere di Russia in Italia.

 

Sorgente: Chi viola il diritto internazionale? La Russia e le guerre dell’Occidente – Limes

Patrizio Ricci

Con esperienza in testate come il Sussidiario, Cultura Cattolica, la Croce, LPLNews e con un passato da militare di carriera, mi dedico alla politica internazionale, concentrandomi sui conflitti globali. Ho contribuito significativamente all'associazione di blogger cristiani Samizdatonline e sono socio fondatore del "Coordinamento per la pace in Siria", un'entità che promuove la pace nella regione attraverso azioni di sensibilizzazione e giudizio ed anche iniziative politiche e aiuti diretti.

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