Chiuso a Pechino il 12° summit dell’Organizzazione di Shanghai per la Cooperazione

di Patrizio Ricci

A Pechino, usando come lingua di lavoro il cinese e il russo, i leader dei sei stati membri dello Shanghai Cooperation Organization (Cina, Russia, Kazakistan, Turkmenistan, Kyrgyzstan e Tagikistan) hanno cercato di consolidare la propria unione e di pianificarne meglio la direzione futura, sospinti dalla necessità imposta dal panorama regionale e globale, in rapida evoluzione. I paesi aderenti hanno convenuto che l’obiettivo è mantenere e migliorare i rapporti di buon vicinato, incoraggiare la cooperazione scientifica, dei trasporti, della cultura e del turismo. Naturalmente si è discusso anche di questioni internazionali, di stabilire un piano comune per combattere il terrorismo, il separatismo e l’estremismo. I leaders considerano “inaccettabili” i cambi di regime avvenuti recentemente nei paesi del Medio Oriente. Per la Siria è stata riaffermata la propria “ferma opposizione ad ogni tipo d’interferenza esterna” e l’obiettivo comune di fermare “ogni violenza da qualunque parte essa provenga, nel rispetto dell’integrità territoriale e della sovranità nazionale“.

Di fronte alla sfida della recessione globale, il presidente cinese Hu Jintao ha detto che “i membri dovrebbero rafforzare la cooperazione economica ed essere meglio preparati a navigare nelle acque agitate dell’economia globale” ed ha posto l’accento sulla necessità di “coordinarsi strettamente su importanti questioni regionali e rafforzare il sostegno dell’uno per l’altro su questioni concernenti l’integrità territoriale, la sicurezza nazionale, la stabilità sociale e lo sviluppo“.

L’iniziativa di cooperazione asiatica rappresentata dallo SCO ha avuto origine soprattutto come risposta alla critica situazione internazionale e ha trovato nuovo impulso dopo le trasformazioni politiche avvenute in Africa, in Asia minore, nel Mediterraneo, che sono viste dall’organizzazione asiatica con estrema preoccupazione e come l’esito dell’invadenza occidentale, che sta generando conflitti, ingiustizie, povertà e soprattutto continue violazioni del diritto internazionale. Per questi motivi è iniziato il progetto di unione asiatica. E’ stato voluto fortemente dalla Russia: dopo la caduta del muro di Berlino, contrariamente a quanto assicurato all’ex-URSS dall’allora Segretario di Stato americano Backer e dal cancelliere tedesco Kohl circa la non espansione della Nato negli ex-paesi satelliti dell’URSS, l’alleanza atlantica ha invece accolto le richieste di adesione di Ungheria, Bosnia, Albania e Macedonia e Bulgaria (appunto paesi ‘ex-satelliti’ dell’URSS) e si sono costruite basi militari a ridosso della Russia.

Per giunta, dopo l’11 settembre 2001 il mondo ha ripreso a riarmarsi. L’“U.S. Military Troops and Bases around the World”, pubblicata nel 2002, riportava che le basi americane nel mondo erano allora ben 737, e ne sono state costruite di nuove in ulteriori sette paesi a ridosso della Russia e della Cina. Evidentemente, questa ‘intrusione’ ha suscitato forte preoccupazione ed ha fatto decidere di ‘far quadrato’, di dare vita al primo accordo bilaterale tra Russia e Cina, lo ‘Shangai five’ (accordo di demilitarizzazione delle rispettive zone di confine), primo passo di avvicinamento tra le due potenze asiatiche che si è trasformato poi nell’attuale ‘Shanghai Cooperation Organization’.

Notevoli sono le differenze tra le politiche decise nella riunione di Pechino e quelle adottate in ambito europeo: lo SCO ha deciso di proseguire nella politica espansiva e nell’ampliamento delle infrastrutture, l’Europa ha invece reagito alla crisi adottando una politica recessiva, con la conseguenza che austerity e liberalizzazioni hanno dato inizio a una nuova epoca contrassegnata da minori tutele individuali e maggiori vulnerabilità sociali. Tuttavia l’aspetto in cui si entra apertamente in contrasto con i paesi aderenti allo SCO è la politica estera, che sostanzialmente per l’Europa è quella americana (la Strategia Europea di Sicurezza enunciata da Javier Solana nel 2003, la National Security Strategy degli Stati Uniti e il Concetto Strategico della NATO sono pressoché identiche). Così la Cina, dopo la perdita degli ingenti contratti stipulati nella Libia di Gheddafi, vede con irritazione e sospetto l’accresciuta influenza USA nel sud-est asiatico, che è dichiaratamente un obiettivo fondamentale della nuova politica estera dell’amministrazione Obama. Il ridispiegamento nel Pacifico del 60% della marina statunitense e l’attività della marina militare americana specialmente nel mar della Cina, dove ha formalizzato un accordo di reciproca difesa con le Filippine in funzione anti-cinese, è la prova più sensibile di questo cambiamento politico.

Questo è lo scenario, quando invece la comprensione e l’amicizia tra i popoli sono quanto mai urgenti perché, come ha ribadito il Papa nell’omelia di Pentecoste, “viviamo in una nuova Babele e il senso di diffidenza e sospetto ci rende pericolosi gli uni per gli altri”, ma comprendersi sembra troppo impegnativo e si preferisce occuparsi solo dei propri interessi. Questo è il clima che si respira.

Allora bisogna raccogliere una sfida, che è quella di sempre per l’uomo: in questa situazione, possiamo veramente trovare e vivere quell’unità di cui abbiamo tanto bisogno? Sì, se inizia una collaborazione in primis tra Europa e Russia che funga da ‘ponte’ con l’intero continente asiatico: ciò potrebbe favorire enormemente un clima di rinnovata fiducia, di collaborazione e di sviluppo, nell’interesse della pace nel mondo.

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