“Che fine ha fatto la questione antropologica”: Assuntina Morresi a Bassano del Grappa. Di Andrea Mariotto.
In linea con il tema dell’ultimo numero del Bollettino del nostro Osservatorio – “Il rischio bioetico oggi. Antropologia e antropodoxia” –, la prof.ssa Assuntina Morresi è intervenuta lunedì 2 dicembre per la Scuola di Cultura Cattolica di Bassano del Grappa in un incontro dal titolo “Che fine ha fatto la questione antropologica?”.
Lo scenario che oggi abbiamo di fronte, ha esordito Morresi, è uno scenario in cui, con la retorica dei “nuovi diritti”, tutto è cambiato: lo stare insieme, il mettere al mondo dei figli, il vivere e il morire. Seguendo lo spunto fornito dal biologo e filosofo Hugo Tristram Engelhardt nel libro “Dopo Dio. Morale e bioetica in un mondo laico”, possiamo dire di trovarci di fronte a una società che per la prima volta è senza un riferimento trascendente. Non pagana, ma proprio senza Dio: “viviamo come se Dio non ci fosse – ha commentato – e non è mai successo che ci si dimenticasse dell’idea di Mistero”. Per la prima volta, quindi, “il trascendente non ha più rilevanza, per l’uomo conta solo quello che possiamo toccare, vale solo la terra sotto i nostri piedi e non arriviamo a vedere che cosa c’è oltre”. Si pensi ad esempio all’ambientalismo che negli ultimi tempi è tornato tanto in auge: non c’è meraviglia di fronte al creato, uno stupore che porta a chiedersi cosa c’è oltre, ma è un’ideologia “caratterizzata dalla sola volontà di conservare”.
“Se Dio non esiste, tutto è lecito”, è la celebre frase che Dostoevskij ne I fratelli Karamazov fa pronunciare a Ivan, uno dei protagonisti del romanzo. Oggi ci troviamo in questa esatta situazione. Se il dato di partenza è che nella società non è possibile porre la questione dell’esistenza di un trascendente, “come si fa a dire che cosa è bene e che cosa è male?”, si è chiesta Morresi. E infatti oggi “abbiamo solo delle opinioni l’una uguale alle altre e tutto ciò che è morale diventa uno ‘stile di vita’ che non si può giudicare”. È così anche nel Comitato Nazionale di Bioetica, del quale la relatrice è membro, e un esempio lo abbiamo avuto nel pronunciamento del Comitato sul suicidio medicalmente assistito dello scorso luglio. Se si rinuncia ad affermare una verità sull’uomo, se non si pone una questione antropologica, la conseguenza è che quando un soggetto sostiene di voler morire, lo Stato deve tutelare non la sua vita, ma la sua scelta. “Senza Dio, la bioetica laica non esiste”, scriveva infatti Engelhardt nel suo volume, alludendo al fatto che per definire il bene e il male è necessario un criterio oggettivo. Senza questo criterio oggettivo, ha commentato Morresi, non ci resta che prendere atto delle opinioni e “possiamo solamente metterci d’accordo sulle maggioranze”.
Vittime della dittatura del politicamente corretto, oggi la lotta tra bene e male non ha diritto di cittadinanza nel dibattito pubblico, dal quale sono puntualmente cancellati i temi sensibili, e “lo Stato non è più il luogo in cui si difendono i diritti dei più deboli”.
Si tratta di una situazione irreversibile, secondo Morresi, perché la mentalità è cambiata in modo troppo radicale. Il cuore di tutto sta nella maternità e nella maniera in cui è cambiata a partire dal 1978, quando venne alla luce Louise Brown, la prima bimba concepita in provetta. La genitorialità venne sganciata dalla sessualità, e dopo quarant’anni ci troviamo al punto in cui si è genitori non perché si è generato, ma perché si è manifestata un’intenzione. “Questa è una rivoluzione, perché se basta l’intenzione, quest’ultima è assolutamente gender neutral”. Non si tratta soltanto di una questione morale, perché l’omosessualità c’è sempre stata, ma “la rivoluzione consiste nel fatto che si nega la differenza sessuale e la sua massima espressione che è la fecondità”. La Chiesa aveva già capito tutto con l’enciclica Humanae Vitae, in cui Paolo VI avvisava dei danni che avrebbe prodotto la separazione tra sessualità e generazione. Infatti siamo passati dalla contraccezione, cioè sesso senza figli, alla fecondazione artificiale, cioè figli senza sesso. E non ha rilevanza se a farlo sono in pochi, ha precisato Morresi, perché anche se a ricorrervi sono delle minoranze cambia la mentalità di tutti, “si apre la crepa nella diga”.
Si fa presto anche ad immaginare cosa potrebbe riservarci il futuro, perché “se ciò che conta è l’intenzione, perché limitarsi a due genitori?”. Così è ad esempio nei casi di “coparenting”, che sono degli accordi in cui due o più persone senza necessariamente una relazione tra loro si accordano su come crescere un bambino.
“Eutanasia, utero in affitto, DAT – ha concluso – sono conseguenze di un cambiamento di paradigma antropologico in cui la felicità è solo un raggiungimento personale e la relazione diventa un limite”. Lo si vede anche dalla crisi demografica nella quale siamo immersi: “nessun Paese europeo arriva a 2,1 di tasso di sostituzione. Non è una questione economica, perché viviamo nel migliore dei mondi possibili quanto ad opportunità. C’è alla base una perdita di speranza”.
Andrea Mariotto
vanthuanobservatory.org