“Ciò che deve accadere è un autentico cambiamento nella cultura della Chiesa, in particolare tra gli stessi vescovi”

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Vi propongo questa analisi di Ed Condon della lettera che Papa Francesco ha inviato il 2 gennaio scorso ai vescovi statunitensi che si sono riuniti in ritiro per riflettere sulla crisi della Chiesa generata dagli abusi sessuali. Condivido tutto di questo analisi, anche se a mio parere manca di un tassello. Ne parlerò in un mio prossimo articolo.

Ecco l’analisi di Condon nella mia traduzione.

Un zucchetto da vescovo.  Credit: Antonio Nardelli-Shutterstock

Un zucchetto da vescovo. Credit: Antonio Nardelli-Shutterstock

 

Questa settimana i vescovi statunitensi si sono riuniti al Mundelein Seminary nell’arcidiocesi di Chicago per un ritiro di una settimana, tenutosi su sollecitazione di Papa Francesco. Sotto la guida del predicatore della Casa Pontificia, padre Raniero Cantalamessa, trascorreranno una settimana “facendo una pausa di preghiera” per “riflettere sui segni dei tempi”.

Nonostante i recenti scandali che si profilano su tutta la riunione, il Papa ha chiesto ai vescovi di concentrarsi sulla propria conversione, prima di discutere ulteriormente su nuovi sistemi o strutture per affrontare la crisi degli abusi sessuali.

In una lettera inviata ai vescovi americani prima del loro ritiro, Papa Francesco ha sottolineato che la recente crisi ha “gravemente minato e diminuito” la credibilità della Chiesa. Solo una risposta fondata sull’unità e la comunione, ha scritto il Papa, ha il potere di ripristinare l’autorità e l’autenticità della Chiesa.

Il Papa ha avvertito i vescovi di evitare la tentazione di cercare o la “relativa calma risultante da un compromesso, o da un voto democratico in cui alcuni emergono come ‘vincitori’ e altri no”.

Queste tentazioni rimangono forti. Una delle grandi frustrazioni per molti di loro durante l’assemblea di Baltimora è stata quella che hanno visto come un’occasione mancata di produrre “una soluzione”, in qualsiasi forma.

Qualunque sia il modello che i vescovi hanno sostenuto in novembre: la proposta di una commissione nazionale laica o il cosiddetto modello metropolitano, almeno alcuni sembravano essere alla ricerca di una soluzione semplice ad un problema complesso, una potente “soluzione” che ristabilirebbe la fiducia ora e impedito il ripetersi degli scandali.

Anche molti cattolici americani sembrano aspettarsi una riforma strutturale, e ora sperano che al vertice mondiale sugli abusi di febbraio, Roma produca le riforme che la Chiesa americana non potrebbe fare.

Ma le aspettative che ci possa essere una soluzione pratica per risolvere la crisi sono suscettibili di dimostrarsi false speranze. E’ diventato ovvio per la maggior parte degli osservatori che nessuna nuova politica, struttura o processo può rispondere o prevenire ciò che è essenzialmente una crisi di peccato.

Nella sua lettera, Francesco chiamava le riforme amministrative “necessarie ma insufficienti“, perché “alla fine rischiano di ridurre tutto ad un problema organizzativo”. Il papa chiamava i vescovi a riconoscere i loro “peccati e limitazioni” e a predicare gli uni agli altri il bisogno di conversione.

La diagnosi del Papa sembra essere radicata nell’evidenza degli ultimi mesi.

La crisi attuale è davvero meglio intesa come una rete di crisi che si intersecano. L’abuso sessuale sui minori è giustamente visto come il più scandaloso tra di loro, ma si è accentuato – come ha osservato il Papa – tra le altre malattie del corpo della Chiesa.

Clericalismo, permissività sessuale, indifferenza morale e negligenza amministrativa sono a loro volta problemi gravi che richiedono risposte proprie.

Ma, se la storia recente è di qualche indicazione, è improbabile che queste risposte provengano da una riforma canonica o strutturale, per quanto drammatica o ben intenzionata.

Come ha notato il cardinale Blase Cupich a novembre, dal 2002 esistono strutture e impegni di vario genere. La Dichiarazione di Impegno Episcopale è stata concepita per assicurare che il diritto della Chiesa fosse sempre seguito quando venivano fatte le accuse, indipendentemente da chi fosse accusato. E nel 2016, Papa Francesco ha emesso il motu proprio Come una madre amorevole, che ha istituito – o doveva istituire – una procedura canonica completamente nuova per indagare e processare le accuse contro un vescovo.

Ma anche con quelle politiche e promesse, i funzionari della Chiesa non sembrano considerarsi vincolati a nessuna procedura uniforme per la gestione delle accuse contro i vescovi. Nel frattempo, Francesco ha ritirato le riforme di Come una madre amorevole prima che esse fossero messe alla prova.

Molti ora si stanno rendendo conto che i problemi della Chiesa non sono mai stati il risultato di una mancanza di procedure. Invece, l’attenzione si sta spostando verso la perdurante mancanza di volontà della Chiesa di utilizzare le sue politiche in modo coerente e con rigore.

In assenza di un impegno morale a vederle applicate senza parsimonia, nessuna misura di riforma – per quanto sistematica – può impedire che accada il peggio.

Per fare un esempio: il mese scorso è emerso che l’arcidiocesi di New York, che ha alcune delle politiche di abuso più chiare e meglio strutturate di qualsiasi diocesi degli Stati Uniti, ha lasciato un sacerdote nel ministero anche dopo che la sua commissione indipendente ha offerto un risarcimento a molte delle sue presunte vittime.

Il mese scorso, l’ufficio del personale clericale ha emesso una lettera di buona reputazione in cui si afferma “senza riserve” che nessuna accusa era mai stata fatta contro di lui, e ciò nonostante un’indagine in corso da parte del comitato di revisione dell’arcidiocesi stessa.

I fallimenti di New York non sono stati causati dalla mancanza di politiche e procedure. Invece, sembrano essere stati dei veri e propri fallimenti umani.

Questa può essere la ragione per cui il Papa appare scettico sul fatto che un’altra politica o struttura possa dare risultati diversi, a qualsiasi livello della Chiesa, senza conversione personale da parte delle persone incaricate della loro attuazione.

Nell’agosto dello scorso anno, al culmine dell’estate di scandalo della Chiesa, il National Review Board (il Comitato nazionale di revisione, ndr) dell’USCCB (cioè della Conferenza Episcopale degli USA, ndr) ha approvato una dichiarazione che escludeva ulteriori riforme strutturali come soluzione.

“Il male dei crimini che sono stati perpetrati fino ai livelli più alti della gerarchia non sarà arginato semplicemente dalla creazione di nuovi comitati, politiche o procedure”, ha scritto il National Review Board.

“Ciò che deve accadere è un autentico cambiamento nella cultura della Chiesa, in particolare tra gli stessi vescovi. Questo male è il risultato di una perdita di leadership morale e di un abuso di potere che ha portato a una cultura del silenzio che ha permesso il verificarsi di questi incidenti”.

La leadership morale, come il papa ha detto ai vescovi statunitensi senza mezzi termini, non può essere effettuata con un voto. Richiede una conversione personale di fronte al fallimento e al peccato. Un vero cambiamento richiederà una mentalità totalmente nuova tra i vescovi e la Curia.

Il primo ministro britannico del XIX secolo George Canning ha ridicolizzato quella che ha definito “l’oziosa supposizione che sono i finimenti e non i cavalli che trainano la carrozza”.

Gli uomini sono tutto”, ha detto Canning, “le misure sono relativamente nulla”.

Papa Francesco ha fatto eco a questo sentimento nella sua lettera ai vescovi, avvertendo che la credibilità perduta della Chiesa “non può essere riconquistata emettendo severi decreti o semplicemente creando nuovi comitati o migliorando i diagrammi di flusso”.

Invece, ha scritto il Papa, la Chiesa recupererà la sua credibilità solo “riconoscendone il peccato e i limiti” e allo stesso tempo “predicando il bisogno di conversione”.

Dopo gli scandali del 2002, molti vescovi e funzionari hanno trattato le nuove misure e i nuovi standard come un disagio da sopportare, piuttosto che come una nuova realtà della vita ecclesiastica da interiorizzare. Il “cambiamento culturale” richiesto dal comitato di revisione nazionale e dal papa può rivelarsi l’unico mezzo per rompere quello che ha cominciato a somigliare a un ciclo di scandalo.

Mettendo in guardia i vescovi americani da misure volte a recuperare la loro reputazione piuttosto che a modificare le loro abitudini, il papa potrebbe aver fissato il limite entro il quale si misurerà il suo vertice di febbraio. Nella sua lettera, Francesco ha invocato un “progetto condiviso che è al tempo stesso ampio, modesto, sobrio e trasparente”. Un progetto di questo tipo, a quanto pare, assomiglierebbe poco ai tentativi del passato di rispondere alla crisi degli abusi sessuali.

Mentre i vescovi pregano a Mundelein e i consiglieri del Papa si preparano alla riunione di febbraio a Roma, molti cattolici iniziano a chiedersi se una gerarchia assediata dallo scandalo possa veramente convertirsi, o semplicemente riformarsi – di nuovo.

 

 

fonte: Catholic News Agency

 

L’articolo “Ciò che deve accadere è un autentico cambiamento nella cultura della Chiesa, in particolare tra gli stessi vescovi” proviene da Il blog di Sabino Paciolla.

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