Proseguiamo nella lettura del Documento «Il sensus fidei nella vita della chiesa», elaborato dalla Commissione teologica internazionale e pubblicato dalla Congregazione per la dottrina della fede nel 2014.
«Come concetto teologico, il sensus fidei fa riferimento a due realtà distinte, anche se strettamente connesse; il soggetto proprio dell’una è la Chiesa, «colonna e sostegno della verità» (1Tm 3,15),[3] mentre il soggetto dell’altra è il singolo credente, che appartiene alla Chiesa per mezzo dei sacramenti dell’iniziazione e che partecipa alla fede e alla vita ecclesiali particolarmente mediante la celebrazione regolare dell’eucaristia. Da una parte, il sensus fidei fa riferimento alla personale attitudine che il credente possiede, all’interno della comunione ecclesiale, di discernere la verità della fede. Dall’altra, il sensus fidei fa riferimento a una realtà comunitaria ed ecclesiale: l’istinto di fede della Chiesa stessa, per mezzo del quale essa riconosce il suo Signore e proclama la sua Parola. Il sensus fidei inteso in questo senso si riflette nel fatto che i battezzati convergono nell’adesione vitale a una dottrina di fede o a un elemento della praxis cristiana. Questa convergenza (consensus) riveste un ruolo vitale nella Chiesa: il consensus fidelium è un criterio sicuro per determinare se una particolare dottrina o una prassi particolare appartengono alla fede apostolica». [3]
Ci si può chiedere se, negli ultimi decenni, non sia venuto un gran male alla chiesa dalla noncuranza, per non dire dal disprezzo, che talvolta i “chierici” hanno avuto nei riguardi dei sentimenti dei fedeli: quante “innovazioni”, quante “aperture” (o “rotture”), quanti “esperimenti” sono stati pensati, voluti e attuati “dall’alto”, con la convinzione che tanto “il gregge sarebbe comunque andato dove voleva il pastore”?
Eugenio Scalfari ha scritto una volta, riferendosi ai suoi colloqui con papa Francesco: «La sola frase che nelle nostre conversazioni gli ho sentito dire in francese fu: “L’intendance suivra”».
«L’intendance suivra» è una bellissima battuta, sulla bocca di un generale (come era de Gaulle, che si dice l’abbia pronunciata). Sulla bocca di un prete, di un vescovo o di un papa mi pare che suoni assai meno bene, soprattutto se si finisse per riferirla non solo alla burocrazia della chiesa, ma al popolo di Dio. Un condottiero può anche spingersi audacemente in avanti, incurante della retroguardia (e in certi casi anche del grosso dell’esercito) pur di attuare i suoi piani strategici, ma un pastore no. Il pastore deve innanzitutto tenere unito il gregge e quindi deve seguirne l’andatura. Il che vuol dire andare al passo delle pecore più lente.
Meditiamo questa affermazione: «il consensus fidelium è un criterio sicuro per determinare se una particolare dottrina o una prassi particolare appartengono alla fede apostolica». Quando si creano situazioni fortemente divisive, è segno che c’è qualcosa che non va.