Commissione Teologica Internazionale. “La libertà religiosa per il bene di tutti. Approccio teologico alle sfide contemporanee.”

COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE

SOTTOCOMMISSIONE LIBERTÀ RELIGIOSA

LA LIBERTÀ RELIGIOSA
PER IL BENE DI TUTTI

APPROCCIO TEOLOGICO ALLE SFIDE CONTEMPORANEE

 

INDICE

 

Nota Preliminare

1. UNO SGUARDO SUL CONTESTO ATTUALE

2. LA PROSPETTIVA DI DIGNITATIS HUMANAE ALLORA E OGGI

Prima del Concilio Vaticano II
I punti salienti di Dignitatis Humanae
La libertà religiosa dopo il Concilio Vaticano II
Una soglia di novità?

3. IL DIRITTO DELLA PERSONA ALLA LIBERTÀ RELIGIOSA

La disputa sui fondamenti teorici
Dignità e verità della persona umana
L’essere persona inerisce alla condizione umana
La mediazione della coscienza

4. IL DIRITTO DELLE COMUNITÀ ALLA LIBERTÀ RELIGIOSA

Dimensione sociale della persona umana
Sussidiarietà e racconto fondatore
Pratiche religiose e umanità concreta
Educazione integrale e incorporazione alla comunità
Il valore dei corpi intermedi e lo Stato
Lo Stato, la rete e le comunità di convinzione

5. LO STATO E LA LIBERTÀ RELIGIOSA

Cristianesimo e dignità dello Stato
La deriva “monofisita” nelle relazioni fra religione e Stato
La riduzione “liberale” della libertà religiosa
Ambiguità dello Stato moralmente neutro

6. IL CONTRIBUTO DELLA LIBERTÀ RELIGIOSA ALLA CONVIVENZA E ALLA PACE SOCIALE

Libertà religiosa per il bene di tutti
L’essere insieme ha qualità di bene
Il giusto discernimento della libertà religiosa
Le estensioni della libertà religiosa

7. LA LIBERTÀ RELIGIOSA NELLA MISSIONE DELLA CHIESA

La libera testimonianza dell’amore di Dio
La Chiesa proclama la libertà religiosa per tutti
Il dialogo interreligioso come via alla pace
Il coraggio del discernimento e del rifiuto della violenza in nome di Dio

CONCLUSIONE


COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE

LA LIBERTÀ RELIGIOSA
PER IL BENE DI TUTTI

Nota preliminare

 

Nel corso del suo Nono quinquennio, la Commissione Teologica Internazionale ha avuto modo di approfondire uno studio sul tema della libertà religiosa nel contesto odierno. Detto studio è stato condotto da un’apposita Sottocommissione, presieduta dal Rev.do Javier Prades López e composta dai seguenti membri: Rev.do Željko Tanjić, Rev.do John Junyang Park, Prof.ssa Moira Mary McQueen, P. Bernard Pottier, S.I., Prof.ssa Tracey Rowland, Mons. Pierangelo Sequeri, Rev.do Philippe Vallin, Rev.do Koffi Messan Laurent Kpogo, P. Serge-Thomas Bonino, O.P..

Le discussioni generali sul tema in parola sono avvenute sia nel corso di vari incontri della Sottocommissione che in occasione delle Sessioni Plenarie della Commissione stessa, negli anni 2014-2018. Il presente testo è stato approvato in forma specifica dalla maggioranza dei membri della Commissione Teologica Internazionale nella Sessione Plenaria del 2018, per mezzo di un voto scritto. In seguito, il documento è stato sottoposto all’approvazione del suo Presidente, Sua Eminenza il Sig. Card. Luis F. Ladaria, S.I., Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, il quale, dopo aver ricevuto parere favorevole dal Santo Padre Francesco, in data 21 marzo 2019, ne ha autorizzato la pubblicazione.

 

APPROCCIO TEOLOGICO ALLE SFIDE CONTEMPORANEE

1. UNO SGUARDO SUL CONTESTO ATTUALE 

1. Nel 1965 la Dichiarazione conciliare Dignitatis humanae fu approvata in un contesto storico significativamente diverso da quello attuale, anche a riguardo del tema che ne costituiva l’argomento centrale, ossia quello della libertà religiosa nel mondo moderno. La sua coraggiosa puntualizzazione delle ragioni cristiane del rispetto per la libertà religiosa dei singoli e delle comunità, nell’ambito dello Stato di diritto e delle pratiche della giustizia delle società civili, desta tuttora la nostra ammirazione. Il contributo del Concilio, che possiamo ben definire profetico, ha offerto alla Chiesa un orizzonte di credibilità e di apprezzamento che ha enormemente favorito la sua testimonianza evangelica nel contesto della società contemporanea.

2. Nel frattempo, un nuovo protagonismo delle tradizioni religiose e nazionali dell’area medio-orientale e asiatica ha sensibilmente mutato la percezione del rapporto fra religione e società. Le grandi tradizioni religiose del mondo non appaiono più soltanto come il residuo di epoche antiche e di culture pre-moderne superate dalla storia. Le diverse forme di appartenenza religiosa incidono in modo nuovo sulla costituzione dell’identità personale, sull’interpretazione del legame sociale e sulla ricerca del bene comune. In molte società secolarizzate le diverse forme di comunità religiosa sono ancora socialmente percepite come fattori rilevanti di intermediazione fra i singoli e lo Stato. L’elemento relativamente nuovo, nella configurazione odierna di questi modelli, può essere riconosciuto nel fatto che, oggi, questa rilevanza delle comunità religiose si trova impegnata a porsi – direttamente o indirettamente – nei confronti del modello democratico-liberale dello Stato di diritto e della regia tecno-economica della società civile.

3. Dovunque nel mondo si ponga oggi il problema della libertà religiosa, questo concetto è discusso in riferimento – positivo o negativo che sia – ad una concezione dei diritti umani e delle libertà civili che è associata alla cultura politica liberale, democratica, pluralistica e secolare. La retorica umanistica che fa appello ai valori della pacifica convivenza, della dignità individuale, del dialogo interculturale e interreligioso, si esprime nel linguaggio dello Stato liberale moderno. E d’altra parte, ancora più profondamente, attinge ai principi cristiani della dignità della persona e della prossimità fra gli uomini, che hanno contribuito alla formazione e all’universalizzazione di quel linguaggio.

4. L’odierna radicalizzazione religiosa indicata come “fondamentalismo”, nell’ambito delle diverse culture politiche, non sembra un semplice ritorno più “osservante” alla religiosità tradizionale. Questa radicalizzazione è connotata spesso da una specifica reazione alla concezione liberale dello Stato moderno, a motivo del suo relativismo etico e della sua indifferenza nei confronti della religione. D’altra parte, lo Stato liberale appare a molti criticabile anche per il motivo opposto: ossia per il fatto che la sua proclamata neutralità non sembra in grado di evitare la tendenza a considerare la fede professata e l’appartenenza religiosa un ostacolo per l’ammissione alla piena cittadinanza culturale e politica dei singoli. Una forma di “totalitarismo morbido”, si potrebbe dire, che rende particolarmente vulnerabili alla diffusione del nichilismo etico nella sfera pubblica.

5. La pretesa neutralità ideologica di una cultura politica che dichiara di volersi costruire sulla formazione di regole meramente procedurali di giustizia, rimuovendo ogni giustificazione etica e ogni ispirazione religiosa, mostra la tendenza ad elaborare una ideologia della neutralità che, di fatto, impone l’emarginazione, se non l’esclusione, dell’espressione religiosa dalla sfera pubblica. E quindi, dalla piena libertà di partecipazione alla formazione della cittadinanza democratica. Da qui viene allo scoperto l’ambivalenza di una neutralità della sfera pubblica soltanto apparente e di una libertà civile obiettivamente discriminante. Una cultura civile che definisce il proprio umanesimo attraverso la rimozione della componente religiosa dell’umano, si trova costretta a rimuovere anche parti decisive della propria storia: del proprio sapere, della propria tradizione, della propria coesione sociale. Il risultato è la rimozione di parti sempre più consistenti dell’umanità e della cittadinanza da cui la società stessa è formata. La reazione alla debolezza umanistica del sistema fa persino apparire giustificato per molti (soprattutto giovani) l’approdo ad un fanatismo disperato: ateistico o anche teocratico. L’incomprensibile attrazione esercitata da forme violente e totalitarie d’ideologia politica, o di militanza religiosa, che sembravano ormai consegnate al giudizio della ragione e della storia, deve interrogarci in modo nuovo e con maggiore profondità di analisi.

6. In contrasto con la tesi classica, che prevedeva la riduzione della religione come effetto inevitabile della modernizzazione tecnica ed economica, si parla oggi di ritorno della religione sulla scena pubblica. L’automatica correlazione fra progresso civile ed estinzione della religione, in verità, era stata formulata in base ad un pregiudizio ideologico, che vedeva la religione come la costruzione mitica di una società umana non ancora padrona degli strumenti razionali capaci di produrre emancipazione e benessere della società. Questo schema si è rivelato inadeguato, non solo in rapporto alla vera natura della coscienza religiosa, ma anche in riferimento all’ingenua fiducia rivolta agli effetti umanistici della modernizzazione tecnologica. Nondimeno, proprio la riflessione teologica ha contribuito a chiarire, in questi decenni, le forti ambiguità di quello che è stato frettolosamente indicato come ritorno della religione. Questo cosiddetto “ritorno”, infatti, presenta anche aspetti di “regressione” nei confronti dei valori personali e della convivenza democratica che stanno alla base della concezione umanistica dell’ordine politico e del legame sociale. Molti fenomeni associati alla nuova presenza del fattore religioso nella sfera politica e sociale appaiono del tutto eterogenei – se non contraddittori – rispetto alla tradizione autentica e allo sviluppo culturale delle grandi religioni storiche. Nuove forme di religiosità, coltivate nel solco di arbitrarie contaminazioni fra la ricerca del benessere psico-fisico e costruzioni pseudo-scientifiche della visione del mondo e del sé, appaiono piuttosto, agli stessi credenti, come inquietanti deviazioni dell’orientamento religioso. Per non parlare della rozza motivazione religiosa di talune forme di fanatismo totalitario, che mirano ad imporre, anche all’interno delle grandi tradizioni religiose, la violenza terroristica.

7. La progressiva sottrazione post-moderna all’impegno sulla verità e sulla trascendenza, pone certamente in termini nuovi anche il tema politico e giuridico della libertà religiosa. D’altra parte, le teorie dello Stato liberale che lo pensano come radicalmente indipendente dall’apporto dell’argomentazione e della testimonianza della cultura religiosa, devono concepirlo come più vulnerabile alla pressione delle forme di religiosità – o di pseudo-religiosità – che cercano di affermarsi nello spazio pubblico al di fuori delle regole di un rispettoso dialogo culturale e di un civile confronto democratico. La tutela della libertà religiosa e della pace sociale presuppone uno Stato che non solo sviluppa logiche di cooperazione reciproca fra le comunità religiose e la società civile, ma si mostra capace di attivare la circolazione di una cultura adeguata della religione. La cultura civile deve superare il pregiudizio di una visione puramente emozionale o ideologica della religione. La religione, a sua volta, deve essere incessantemente stimolata ad elaborare in un linguaggio umanisticamente comprensibile la visione della realtà e della convivenza che la ispirano.

8. Il cristianesimo – il cattolicesimo in modo specifico, e proprio con il sigillo del Concilio – ha concepito una linea di sviluppo della sua qualità religiosa che passa attraverso il ripudio di ogni tentativo di strumentalizzare il potere politico, sia pure praticato in vista di un proselitismo della fede. L’evangelizzazione si rivolge oggi alla positiva valorizzazione di un contesto di libertà religiosa e civile della coscienza, che il cristianesimo interpreta come spazio storico, sociale e culturale favorevole ad un appello della fede che non vuole essere confuso con l’imposizione, o approfittare di uno stato di soggezione dell’uomo. La proclamazione della libertà religiosa, che deve valere per tutti, e la testimonianza di una verità trascendente, che non si impone con la forza, appaiono profondamente aderenti all’ispirazione della fede. La fede cristiana, per sua natura, è aperta al confronto positivo con le ragioni umane della verità e del bene, che la storia della cultura porta alla luce nella vita e nel pensiero dei popoli. La libertà della ricerca delle parole e dei segni della verità di Dio, e la passione per la fratellanza degli uomini, vanno sempre insieme.

9. Le trasformazioni recenti dello scenario religioso, come anche della cultura umanistica, nella vita politica e sociale dei popoli, confermano – se fosse necessario – che le relazioni fra questi due aspetti sono strette, profonde, e di vitale importanza per la qualità della convivenza e per l’orientamento dell’esistenza. In questa prospettiva, la ricerca delle forme più adeguate a garantire le migliori condizioni possibili per la loro interazione, nella libertà e nella pace, sono un fattore decisivo del bene comune e del progresso storico delle civiltà umane. L’imponente stagione delle migrazioni d’interi popoli, le cui terre sono ormai rese ostili alla vita e alla convivenza, soprattutto a causa di un endemico insediamento della povertà e di un permanente stato di guerra, stano creando, all’interno dell’Occidente, società strutturalmente interreligiose, interculturali, interetniche. Non sarebbe ora di discutere, oltre l’emergenza, il fatto che la storia sembra imporre qui la vera e propria invenzione di un nuovo futuro per la costruzione di modelli del rapporto fra libertà religiosa e democrazia civile? Il tesoro di cultura e di fede che abbiamo ereditato nei secoli, e che abbiamo accolto liberamente, non deve forse generare un umanesimo realmente all’altezza dell’appello della storia, capace di rispondere alla domanda di una terra più abitabile?

10. In riferimento ai “segni dei tempi” a venire, che hanno già incominciato ad accadere, è necessario dotarsi di strumenti adeguati per aggiornare la riflessione cristiana, il dialogo religioso, e il confronto civile. La rassegnazione, di fronte alla durezza e alla complessità di alcune involuzioni del presente, sarebbe una debolezza ingiustificabile nei confronti della responsabilità della fede. Il legame della libertà religiosa e della dignità umana è diventato anche politicamente centrale: le due si tengono strettamente insieme, in un modo che oggi appare definitivamente chiaro. Una Chiesa credente che vive all’interno di società umane sempre più caratterizzate in senso multi-religioso e multi-etnico – tale sembra essere il movimento della storia – deve saper sviluppare per tempo una competenza idonea alla nuova condizione esistenziale della sua testimonianza di fede. Condizione non così diversa, del resto, a ben vedere, da quella in cui il cristianesimo fu inviato a seminare e fu capace di fiorire.

11. Questo documento inizia ricordando l’insegnamento della Dichiarazione conciliare Dignitatis humanae e la sua ricezione, nel magistero e nella teologia, dopo il Concilio Vaticano II (cf. cap. 2). Poi, a modo di quadro sintetico dei principi, soprattutto antropologici, della comprensione cristiana della libertà religiosa, si tratta della libertà religiosa della persona prima nella sua dimensione individuale (cf. cap. 3) e dopo nella sua dimensione comunitaria, sottolineando tra l’altro il valore delle comunità religiose come corpi intermedi nella vita sociale (cf. cap. 4). I due aspetti sono inseparabili nella realtà, tuttavia, poiché il radicamento della libertà religiosa nella condizione personale dell’essere umano indica il fondamento ultimo della sua dignità inalienabile, appare utile procedere con questo ordine. Successivamente si considera la libertà religiosa nei confronti dello Stato e si offre qualche puntualizzazione a riguardo delle contraddizioni iscritte nell’ideologia di quella concezione di Stato religiosamente, eticamente, valorialmente neutrale (cf. cap. 5). Nei capitoli finali, il documento si sofferma sul contributo della libertà religiosa alla convivenza e alla pace sociale (cf. cap. 6), prima di mettere in rilievo il posto centrale della libertà religiosa nella missione della Chiesa oggi (cf. cap. 7).

12. L’impostazione generale della riflessione che proponiamo nel testo può essere brevemente delineata in questi termini. Non intendiamo proporre un testo accademico sui molti aspetti del dibattito sulla libertà religiosa. La complessità del tema, sia dal punto di vista dei vari fattori della vita personale e sociale che sono coinvolti, sia dal punto di vista delle prospettive interdisciplinari che esso chiama in causa, è un’evidenza comune. La nostra scelta metodologica fondamentale può essere sintetizzata come una riflessione teologico-ermeneutica, in un duplice intento. (a) In primo luogo, proporre un aggiornamento ragionato della recezione di Dignitatis humanae. (b) In secondo luogo, esplicitare le ragioni della giusta integrazione – antropologica e politica – fra l’istanza personale e quella comunitaria della libertà religiosa. L’esigenza di questo chiarimento dipende essenzialmente dalla necessità che la stessa dottrina sociale della Chiesa tenga conto delle evidenze storiche più rilevanti della nuova esperienza globale.

13. L’assoluta indifferenza etico-religiosa dello Stato rende debole la società civile nei confronti del discernimento richiesto per l’applicazione di un diritto veramente liberale e democratico, in grado di tenere conto effettivamente delle forme comunitarie che interpretano il legame sociale in vista del bene comune. Nello stesso tempo, la corretta elaborazione del pensiero sulla libertà religiosa nella sfera pubblica, chiede alla stessa teologia cristiana un approfondimento consapevole della complessità culturale dell’odierna forma civile, in grado di sbarrare teoricamente la strada alla regressione in chiave teocratica del diritto comune. Il filo conduttore del chiarimento che viene qui proposto è ispirato alla utilità di tenere strettamente collegati, in chiave sia antropologica sia teologica, i principi personalistici, comunitari e cristiani della libertà religiosa di tutti. Lo svolgimento non aspira (né, del resto potrebbe) alla sistematicità del “trattato”. In questo senso, perciò, non ci si deve attendere da questo testo una dettagliata esposizione teorica delle categorie (politiche ed ecclesiologiche) che sono implicate. D’altronde, è noto a tutti che molte di queste categorie si trovano esposte a oscillazioni di significato: sia a motivo del differente contesto culturale di impiego, sia a seconda delle diverse ideologie di riferimento. Nonostante questo limite obiettivo, imposto dalla materia stessa e dalla sua evoluzione, questo strumento di aggiornamento potrà offrire un valido aiuto per un migliore livello d’intesa e di comunicazione della testimonianza cristiana. Sia nell’ambito della coscienza ecclesiale a riguardo del giusto rispetto dei valori umanistici della fede; sia all’interno dell’attuale conflitto delle interpretazioni sulla dottrina dello Stato, che chiede una migliore elaborazione del nuovo rapporto fra comunità civile e appartenenza religiosa, non solo teologica, ma anche antropologica e politica.

2. LA PROSPETTIVA DI DIGNITATIS HUMANAE ALLORA E OGGI

Il capitolo vuole rilevare il significato che i Padri conciliari hanno dato alla libertà religiosa come un diritto inalienabile di ogni persona. Valuteremo l’insegnamento magisteriale considerando sinteticamente la percezione che la Chiesa ha avuto prima del Concilio Vaticano II e la sua recezione nel Magistero recente.

Prima del Concilio Vaticano II

14. La Dichiarazione del Concilio Vaticano II sulla libertà religiosa rivela una maturazione del pensiero del Magistero sulla natura propria della Chiesa in connessione con la forma giuridica dello Stato[1]. La storia del documento dimostra il rilievo essenziale di questa correlazione per l’evoluzione omogenea della dottrina, a motivo di sostanziali mutamenti del contesto politico e sociale in cui si trasforma la concezione dello Stato e del suo rapporto con le tradizioni religiose, con la cultura civile, con l’ordine giuridico, con la persona umana[2]. Dignitatis humanae attesta un sostanziale progresso nella comprensione ecclesiale di questi rapporti dovuto a una più approfondita intelligenza della fede, che permette di riconoscere la necessità di un progresso nell’esposizione della dottrina. Questa migliore intelligenza della natura e delle implicazioni della fede cristiana, che attinge alle radici della Rivelazione e della tradizione ecclesiale, implica una novità di prospettiva e un diverso atteggiamento a riguardo di alcune deduzioni e applicazioni del magistero antecedente.

15. Una certa configurazione ideologica dello Stato, che aveva interpretato la modernità della sfera pubblica come emancipazione dalla sfera religiosa, aveva provocato il Magistero di allora alla condanna della libertà di coscienza, intesa come legittima indifferenza e arbitrio soggettivo nei confronti della verità etica e religiosa[3]. L’apparente contraddizione fra rivendicazione della libertà ecclesiale e condanna della libertà religiosa deve ormai essere chiarita – e superata – tenendo conto dei nuovi concetti che definiscono l’ambito della coscienza civile: la legittima autonomia delle realtà temporali, la giustificazione democratica della libertà politica, la neutralità ideologica della sfera pubblica. La prima reazione della Chiesa si spiega a partire da quel contesto storico in cui il cristianesimo rappresentava la religione di Stato e la religione di fatto dominante nella società occidentale. L’aggressiva impostazione di un laicismo di Stato che ripudiava il cristianesimo della comunità otteneva, in prima istanza, una lettura teologica in termini di “apostasia” della fede, piuttosto che di una legittima “separazione” fra Stato e Chiesa. L’evoluzione di questa iniziale impostazione è stata favorita essenzialmente da due sviluppi: una migliore auto-comprensione dell’autorità della Chiesa nel contesto del potere politico e un progressivo ampliamento delle ragioni della libertà della Chiesa dentro la cornice delle libertà fondamentali dell’uomo[4].

16. Nel solco di questo dinamismo dei diritti umani, san Giovanni XXIII aveva aperto la strada al Concilio. In Pacem in terris, egli descrive i diritti e i doveri degli uomini, in una prospettiva aperta alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, e insegna che la convivenza umana deve essere attuata nella libertà, «nel modo cioè che si addice alla dignità di esseri portati dalla loro stessa natura razionale ad assumere la responsabilità del proprio operare»[5]. Come tale, la libertà favorisce il dinamismo della convivenza umana nella storia e trova la sua autenticazione nell’ordine creaturale voluto da Dio. Essa, infatti, è la capacità di cui il Creatore ha dotato l’uomo, affinché potesse cercare la verità con la sua intelligenza, scegliere il bene con la sua volontà, e aderire con tutto il suo cuore alla promessa divina della salvezza, che riscatta e compie nell’amore di Dio la sua vocazione alla vita. Questa disposizione della libertà dell’essere umano deve essere difesa da ogni genere di prevaricazione, intimidazione, o violenza[6].

I punti salienti di Dignitatis Humanae

17. Ci rivolgiamo ora, sia pure in estrema sintesi, all’insegnamento del Concilio Vaticano II. In modo solenne la Dichiarazione afferma: «Il diritto alla libertà religiosa si fonda realmente sulla stessa dignità della persona umana quale l’hanno fatta conoscere la parola di Dio rivelata e la stessa ragione. Questo diritto della persona umana alla libertà religiosa deve essere riconosciuto e sancito come diritto civile nell’ordinamento giuridico della società» (DH 2a). Dignitatis humanae propone quattro argomenti che giustificano la scelta della libertà religiosa precisamente come un diritto che si fonda sulla dignità della persona umana (cf. DH 1-8). Questi argomenti sono ampiamente ripresi alla luce della Rivelazione divina (cf. DH 9-11), liberamente accolta nell’atto di fede (cf. DH 10), precisando anche l’esercizio che la Chiesa ne ha fatto (cf. DH 12-14)[7].

18. Il primo argomento è l’integrità della persona umana, ossia l’impossibilità di separare la sua libertà interiore dalla sua manifestazione pubblica. Questo diritto di libertà non è un fatto soggettivo, ma scaturisce ontologicamente dalla natura e dalla vocazione radicale per cui ogni essere umano è persona, dotata di ragione e volontà in virtù delle quali è chiamata a entrare in una relazione esistenzialmente coinvolgente con il bene, la verità, la giustizia. In termini religiosi, questa intrinseca vocazione dell’essere personale è l’essere umano secondo l’originario disegno divino: creato come capax Dei, aperto alla trascendenza. Questo è il fondamento radicale e ultimo della libertà religiosa (cf. DH 2a, 9, 11, 12). Il punto centrale quindi è la sacrosanta libertà del singolo di non essere forzato o mortificato nell’esercizio autentico della religione. Ogni singolo, a questo riguardo, deve rispondere in maniera responsabile dei suoi atti: nella serietà della sua coscienza del bene e nella libertà della sua ricerca della verità (e giustizia; cf. DH 2, 4, 5, 8, 13).

19. Il secondo argomento è intrinseco al dovere di cercare la verità, che richiede e presuppone il dialogo tra esseri umani, secondo la loro indole, dunque in maniera sociale. La libertà religiosa, lungi dallo svuotare d’importanza il legame sociale, rimane condizione condivisa della ricerca della verità degna dell’uomo. Il valore del dialogo è decisivo poiché «la verità non s’impone se non in forza della verità stessa, la quale penetra lo spirito soavemente e insieme con vigore» (DH 1c). Il dialogo attivato da tale ricerca consentirà a tutti, senza discriminazioni, di esporre e argomentare la verità ricevuta e scoperta, al fine di riconoscerne l’importanza per l’intera comunità umana (cf. DH 3b)[8]. Il soggetto della libertà religiosa non è dunque soltanto il singolo, ma anche la comunità e, in particolare, la famiglia. Di qui il richiamo alla necessità dell’esercizio della libertà nella trasmissione dei valori religiosi attraverso l’educazione e l’insegnamento (cf. DH 4, 5, 13b). Per quanto riguarda la famiglia e i genitori si afferma: «Ad ogni famiglia – società che gode di un diritto proprio e primordiale – compete il diritto di ordinare liberamente la propria vita religiosa domestica sotto la direzione dei genitori. A questi spetta il diritto di determinare l’educazione religiosa da impartire ai propri figli secondo la propria persuasione religiosa. Quindi deve essere riconosciuto dall’autorità civile ai genitori il diritto di scegliere, con vera libertà, le scuole e gli altri mezzi di educazione» (DH 5a).

20. Il terzo argomento scaturisce dalla natura della religione, che l’homo religiosus, in quanto essere sociale, vive e manifesta nella società attraverso atti interni e culto pubblico[9]. Il diritto alla libertà religiosa si esercita, infatti, nella società umana e consente all’uomo anzitutto l’immunità da qualsiasi coercizione esterna per quanto attiene al rapporto con Dio (cf. DH 2, 3c-e, 4, 10, 11, 13). Le autorità civili e politiche, il cui fine proprio è prendersi cura del bene comune temporale, non hanno alcun diritto d’ingerirsi nelle questioni attinenti alla sfera della libertà religiosa personale che rimane intangibile nella coscienza del singolo, e al tempo stesso nella sua manifestazione pubblica, a meno che non si tratti di una questione di giusto ordine pubblico fondata, in ogni caso, su fatti accertati e corrette informazioni (cf. DH 1, 2, 5).

21. Il quarto argomento, infine, tocca i limiti del potere puramente umano, civile e giuridico in tema di religione. Occorre che anche la stessa religione abbia piena avvertenza della legittimità o meno delle forme della sua manifestazione pubblica. Infatti, l’esplicitazione dei limiti della libertà religiosa, in ordine alla salvaguardia della giustizia e alla custodia della pace, sono parti integranti del bene comune (cf. DH 3, 4, 7, 8) e coinvolge gli stessi credenti (cf. DH 7, 15).

La libertà religiosa dopo il Concilio Vaticano II

22. Con il principio di libertà religiosa ormai chiaramente definito in quanto diritto civile del cittadino e dei gruppi a vivere e manifestare la dimensione religiosa inerente all’uomo, i Padri conciliari lasciano ancora aperto un ulteriore approfondimento. Avendo sottolineato i fondamenti, la Dignitatis humanae favorisce una maturazione dei punti che emergono dal documento conciliare. Infatti, anche oggi «non mancano però regimi i quali, anche se nelle loro costituzioni riconoscono la libertà del culto religioso, si sforzano di stornare i cittadini dalla professione della religione e di rendere assai difficile e pericolosa la vita alle comunità religiose. Il sacro Sinodo, mentre saluta con lieto animo quei segni propizi di questo tempo e denuncia con amarezza questi fatti deplorevoli, esorta i cattolici e invita tutti gli esseri umani a considerare con la più grande attenzione quanto la libertà religiosa sia necessaria, soprattutto nella presente situazione della famiglia umana» (DH 15b-c). È così che, a distanza di cinquanta anni, le nuove minacce alla libertà religiosa hanno acquisito dimensioni globali, mettendo a rischio anche altri valori morali, e interpellano il Magistero pontificio nei suoi principali interventi internazionali, discorsi e insegnamenti[10]. I Papi della nostra epoca lasciano chiaramente intendere che questo tema, come espressione più profonda della libertà di coscienza, pone, a monte, questioni antropologiche, politiche e teologiche che ora appaiono discriminanti per le sorti del bene comune e della pace tra i popoli del mondo.

23. Per san Paolo VI il diritto alla libertà religiosa è una questione legata alla verità della persona umana. Dotato di intelletto e volontà, l’uomo ha una dimensione spirituale che lo rende un essere di apertura, di relazione e di trascendenza[11]. La verità sull’uomo rivela che egli cerca di varcare i confini della temporalità, fino al riconoscimento del suo essere creato da Dio e, in quanto credente, alla consapevolezza di essere chiamato a partecipare alla Vita divina. Questa dimensione religiosa è radicata nella sua coscienza e la sua dignità consiste precisamente nel corrispondere alla verità degli imperativi morali e nel dialogare con altri. Nel contesto di oggi il dialogo coinvolge anche le religioni, le quali devono aver atteggiamenti di apertura le une nei confronti delle altre, senza condanne a priori ed evitando polemiche che possano indebitamente offendere gli altri credenti.

24. San Giovanni Paolo II afferma che la libertà religiosa, fondamento di tutte le altre libertà, è un’esigenza irrinunciabile della dignità di ogni uomo. Non è un diritto tra gli altri ma costituisce «la garanzia di tutte le libertà che assicurano il bene comune delle persone e dei popoli»[12]. Si tratta di «una pietra angolare dell’edificio dei diritti umani»[13] come aspirazione e tensione verso una speranza più alta, spazio di libertà e di responsabilità. Pertanto, la libertà dell’uomo nella ricerca della verità e nella professione delle convinzioni religiose, deve trovare una chiara garanzia nell’ordinamento giuridico della società; vale a dire, deve essere riconosciuta e sancita dal diritto civile. È opportuno che gli stati s’impegnino attraverso documenti normativi a riconoscere il diritto dei cittadini alla libertà religiosa, base della pacifica convivenza civile, elemento sostanziale di una vera democrazia, garanzia necessaria per la vita, la giustizia, la verità, la pace e la missione dei cristiani e delle loro comunità[14].

25. Come sintesi del pensiero di Benedetto XVI sulla libertà religiosa si può indicare il messaggio per la celebrazione della Giornata mondiale della pace dell’anno 2011 [15]. Egli insegna che il diritto alla libertà religiosa è radicato nella dignità della persona umana in quanto essere spirituale, relazionale e aperto al trascendente. Non è quindi un diritto riservato ai soli credenti ma a tutti, perché sintesi e apice degli altri diritti fondamentali. Come origine della libertà morale, la libertà religiosa, se rispettata da tutti, è segno di civiltà politica e giuridica che garantisce la realizzazione di un autentico sviluppo umano integrale. Perciò promuove la giustizia, l’unità e la pace per la famiglia umana, favorisce la ricerca della verità che si focalizza su Dio, sui valori etici e spirituali, universali e condivisi e infine suscita il dialogo di tutti per il bene comune. Così si costruisce l’ordine sociale e pacifico. Al contrario, non rispettare la libertà religiosa a qualsiasi livello della vita individuale, comunitaria, civile e politica offende Dio, la dignità umana stessa e crea situazioni di disarmonia sociale. Purtroppo, si registrano ancora nel mondo frequenti episodi di negazione della libertà religiosa che si manifestano nelle forme equivoche di religione come il settarismo o il fondamentalismo violento, nella discriminazione religiosa e anche nelle manipolazioni ideologiche di stampo laicista. Occorre dunque una laicità positiva delle istituzioni statali per promuovere l’educazione religiosa, «strada privilegiata per abilitare le nuove generazioni a riconoscere nell’altro il proprio fratello e la propria sorella, con i quali camminare insieme e collaborare»[16]. Le religioni devono, per parte loro, inserirsi in una dinamica di purificazione e di conversione, opera della retta ragione illuminata anch’essa dalla religione.

26. Papa Francesco sottolinea che la libertà religiosa non mira a preservare una “sottocultura”, come vorrebbe un certo laicismo, ma costituisce un prezioso dono di Dio per tutti, garanzia basilare di ogni altra espressione di libertà, baluardo contro i totalitarismi e contributo decisivo all’umana fraternità. Alcuni testi classici delle religioni hanno una forza di motivazione che apre sempre nuovi orizzonti, stimola il pensiero e fa crescere l’intelligenza e la sensibilità. Così possono anche offrire un significato per tutte le epoche. I governi devono – fra tutti i loro compiti – tutelare, proteggere e difendere i diritti umani come la libertà di coscienza e religiosa. Infatti, rispettare il diritto alla libertà religiosa rende più forte una nazione e la rinnova. Per questo motivo, Francesco porta una grande attenzione ai molti martiri del tempo nostro, vittime di persecuzioni e violenze per motivi religiosi, come anche di ideologie che escludono Dio dalla vita degli individui e delle comunità. Per il Pontefice, la religione autentica, dal proprio interno, deve riuscire a dare conto dell’esistenza dell’altro per favorire uno spazio comune, un ambiente di collaborazione con tutti, nella determinazione di camminare insieme, di pregare insieme, di lavorare insieme, di aiutarci insieme per stabilire la pace[17].

Una soglia di novità?

27. Di fronte ad alcune difficoltà nella recezione del nuovo orientamento della Dignitatis humanae, il Magistero postconciliare ha sottolineato la dinamica immanente al processo dell’evoluzione omogenea della dottrina, che Benedetto XVI ha indicato come «“ermeneutica della riforma”, del rinnovamento nella continuità dell’unico soggetto-Chiesa»[18]. La Dichiarazione stessa ne anticipava il senso: «La Chiesa pertanto […] ha custodito e trasmesso nel decorso dei secoli la dottrina ricevuta da Cristo e dagli apostoli. E quantunque nella vita del popolo di Dio, pellegrinante attraverso le vicissitudini della storia umana, di quando in quando si siano avuti modi di agire meno conformi allo spirito evangelico, anzi ad esso contrari, tuttavia la dottrina della Chiesa, secondo la quale nessuno può essere costretto con la forza ad abbracciare la fede, non è mai venuta meno» (DH 12a). Il testo conciliare riporta dunque alla sua evidenza fondamentale l’insegnamento del cristianesimo, secondo il quale non si deve costringere alla religione, perché questa forzatura non è degna della natura umana creata da Dio e non corrisponde alla dottrina della fede professata dal cristianesimo. Dio chiama a sé ogni uomo, ma non costringe nessuno. Pertanto, questa libertà diventa un diritto fondamentale che l’uomo può rivendicare in coscienza e responsabilità nei confronti dello Stato.

28. È questa la dinamica dell’inculturazione del Vangelo che è un’immersione libera della Parola di Dio nelle culture per trasformarle dall’interno, illuminandole alla luce della rivelazione, in modo tale che anche la fede stessa si lasci interpellare dalle realtà storiche contingenti – interculturalità – come spunto per poter discernere significati più profondi della verità rivelata che deve, a sua volta, essere ricevuta nella cultura del contesto[19]. 

3. IL DIRITTO DELLA PERSONA ALLA LIBERTÀ RELIGIOSA 

29. Nell’antropologia cristiana, ogni singola persona è sempre in relazione con la comunità umana, dal suo concepimento e lungo la maturazione della sua vita: «Quando si parla della persona, ci si riferisce sia all’irriducibile identità e interiorità che costituiscono il singolo individuo, sia al rapporto fondamentale con gli altri che è alla base della comunità umana»[20]. Questo rapporto, in cui si plasma storicamente la qualità umana dell’individuo e della società, è una dimensione propria dell’esistenza umana e della sua stessa condizione spirituale. Il bene della persona e il bene della comunità non sono da intendere come principi contrapposti, bensì come finalità convergenti dell’impegno etico e dello sviluppo culturale.

30. Il dialogo sulla verità da tutti cercata e sul bene da tutti desiderato, nell’orizzonte della convivenza sociale, ci impegna conseguentemente a sviluppare le condizioni migliori per pensare e praticare la verità sull’antropologia e sui diritti della persona nel dialogo. Dobbiamo certamente fare di più poiché si tratta della questione culturale probabilmente più decisiva per la ricomposizione della moderna civiltà, dell’economia e della tecnica con l’umanesimo integrale della persona e della comunità. È anche una questione cruciale per l’umana credibilità della fede cristiana, che riconosce nella dedizione per la giustizia di questo umanesimo integrale una testimonianza di rilievo universale per la conversione della mente e del cuore alla verità dell’amore di Dio.

La disputa sui fondamenti teorici

31. La reazione contro l’esperienza traumatizzante dei totalitarismi che, nel XX secolo, hanno massacrato gli individui nel nome del potere dello Stato, ritenuto un assoluto in cui le persone sono assorbite come funzioni e strumenti della sua realizzazione, occupa un posto centrale nello sviluppo e nella difesa odierna dei diritti inalienabili del singolo individuo. In questa cornice, il diritto alla libertà religiosa appare come uno dei diritti fondamentali di ogni persona umana[21]. Quasi tutti sono d’accordo sul fatto che i “diritti fondamentali dell’uomo” sono fondati sulla “dignità della persona umana”. Ma la natura di questa dignità è oggetto di discussione e tema di contrapposizione. Questo fondamento trascende oggettivamente l’autodeterminazione umana oppure dipende esclusivamente dal riconoscimento sociale? È di ordine ontologico oppure di natura puramente legale? Qual è il suo rapporto con la libertà delle scelte personali, con la tutela del bene comune, con la verità della natura umana? In mancanza di un qualche consenso – o almeno di un comune orientamento – ad individuare i criteri del giusto esercizio del diritto alla libertà religiosa, l’arbitrio delle pratiche e il conflitto delle interpretazioni diventerà ingovernabile per la società civile (e pericoloso per la comunità umana). Il rischio raddoppia nelle società in cui l’apertura religiosa alla trascendenza non è più percepita come un elemento unificante per la fiducia condivisa nel senso della condizione umana, ma piuttosto come la sopravvivenza di una visione arcaica e ormai superata della storia.

Dignità e verità della persona umana

32. L’incipit di Dignitatis humanae riconduce i diritti della persona umana, e specialmente il diritto alla libertà religiosa, alla dignità della persona umana. In un senso molto generale, la dignità rimanda all’inalienabile perfezione dell’essere-soggetto nell’ordine ontologico, morale o sociale[22]. La nozione è impiegata nell’ordine morale delle relazioni intersoggettive per designare ciò che possiede un valore in sé stesso e, pertanto, non può mai essere trattato come se fosse un semplice mezzo. La dignità è dunque una proprietà inerente della persona come tale.

33. Nella prospettiva della metafisica classica, integrata e rielaborata dalla riflessione cristiana, la persona è stata tradizionalmente definita, in ordine alla sua irriducibile singolarità e dignità individuale, come «una sostanza individuale di natura razionale»[23]. Tutti gli individui che, in virtù della loro filiazione biologica, appartengono alla specie umana partecipano di questa natura. Pertanto, ogni individuo di natura umana, qualunque sia lo stato del proprio sviluppo biologico o psicologico, qualunque sia il suo sesso o la sua etnia, attua la nozione di persona ed esige da parte altrui il rispetto assoluto ad essa dovuto. La natura umana, nella sua irriducibilità, è collocata nell’intreccio del mondo spirituale e del mondo corporale[24]. La dignità della persona umana riguarda dunque anche il corpo che ne è dimensione costitutiva e «partecipa all’imago Dei»[25]. Il corpo non può essere trattato quale semplice mezzo o strumento, come se non fosse dimensione integrante della dignità personale. Il corpo condivide il destino della persona e la sua vocazione alla divinizzazione[26].

34. La dimensione intrinsecamente personale della natura umana si dispiega nell’ordine morale come capacità di autodeterminarsi e di orientarsi verso il bene, cioè come libertà responsabile. Questa qualità costituisce radicalmente la dignità della natura umana, oggetto di responsabilità e di cura per l’intera comunità umana. «Esiste anche un’ecologia dell’uomo. Anche l’uomo possiede una natura che deve rispettare e che non può manipolare a piacere. L’uomo non è soltanto una libertà che si crea da sé. L’uomo non crea se stesso»[27]. Fin dall’inizio, infatti, l’uomo e la donna scoprono ultimamente se stessi come donati-a-sé da Dio attraverso i genitori. Questo essere-donato richiede di essere ricevuto, integrandosi con lo sviluppo della coscienza, e non costituisce un limite per la libertà di realizzare sé stessi, ma rappresenta piuttosto la condizione che orienta la libertà in quanto essere-dono per l’altro. Questo originario riconoscimento sbarra la strada ad una concezione auto-referenziale dell’individualità, orientando l’edificazione della persona allo sviluppo condiviso della reciprocità.

35. «Nella tradizione teologica cristiana, la persona presenta due aspetti complementari»[28]. La nozione di persona «rinvia all’unicità di un soggetto ontologico che, essendo di natura spirituale, gode di una dignità e di un’autonomia che si manifesta nella coscienza di sé e nella libera padronanza del proprio agire»[29]. Questo medesimo soggetto spirituale «si manifesta nella sua capacità di entrare in relazione: essa esercita la sua azione nell’ordine dell’intersoggettività e della comunione nell’amore»[30]. La necessità di portare ad una più compiuta evidenza la ragione metafisica del nesso originario fra essere-individuale ed essere-relazionale, che si è affermata all’interno dell’intelligenza della fede, ha prodotto sviluppi che hanno decisamente arricchito il pensiero cristiano e le sue potenzialità di dialogo con la cultura moderna. La filosofia, la scienza, l’antropologia sociale della modernità, dal canto loro, raccogliendo anche la sollecitazione stessa dell’originaria visione cristiana, hanno dato vigoroso impulso alle strutture dell’essere personale – segnatamente, coscienza e libertà – individuandole come dimensioni costitutive della natura umana.

36. In questa valorizzazione moderna della singolarità umana, hanno preso inedito rilievo, rispetto alla tradizione precedente, la dimensione della storicità e della prassi. Questa legittima valorizzazione, nelle sue molteplici interpretazioni, non si è prodotta senza contraddizioni, che si riflettono ora in molti processi della società e della cultura contemporanea. Per esempio, nell’enfasi che è posta sull’istanza incondizionata della libertà individuale, nell’ambito politico, affettivo, morale, in un contesto dove appare sempre più pressante il racconto scientifico dei condizionamenti impersonali e materiali che decidono i pensieri, i sentimenti, le decisioni. La teologia, da parte sua, ancora prima del Concilio Vaticano II, aveva già incominciato a confrontarsi, alla luce della Rivelazione, con le istanze della nuova cultura antropologica. Sia intendendo più profondamente la vocazione divina di ogni singola persona alla responsabilità di realizzare sé stessa mediante il suo agire storico. Sia esplorando più profondamente la qualità sociale dell’essere personale, chiamato a definire sé stesso in rapporto a Dio, agli altri uomini, al mondo e alla storia.

L’essere persona inerisce alla condizione umana

37. In questo quadro dialettico, potremmo sinteticamente riassumere il focus antropologico del documento conciliare. Dignitatis humanae stabilisce il legame radicale dei diritti inviolabili dell’uomo, e dunque della sua libertà individuale, con la natura stessa del suo essere-persona. Esiste, in effetti, un unico criterio per il riconoscimento effettivo dell’a priori personale: l’appartenenza biologica al genere umano. La dignità personale, e i diritti umani che le ineriscono, sono già incondizionatamente iscritti in quest’appartenenza. L’essere-persona, in questo senso, non è un’attribuzione connessa con una specifica qualità o dotazione dell’essere umano, come il suo essere cosciente o la sua capacità di auto-determinazione. Non si tratta neppure di una potenzialità o di un effetto della sua maturazione. La dignità personale è già radicalmente inerente al singolo individuo, come fattore costitutivo della sua condizione umana: matrice di ogni qualità individuale, ogni condizione esistenziale, ogni grado di sviluppo. L’esistere personale evolve e si sviluppa, certamente; l’essere-persona, tuttavia, non è qualcosa che ognuno può aggiungere a sé stesso (o a un altro). Non esiste un processo dell’essere umano in cui “qualcosa” diventa “qualcuno”: essere-umano ed essere-persona lo si è sempre e indisgiungibilmente, perché non si diventa umani se si è altro. E il modo umano di essere è quello dell’essere individualità personale.

38. Il riconoscimento dell’essere persona, come dimensione inerente al singolo essere umano, fonda la comunità degli esseri umani, all’interno della quale ognuno occupa un posto irrevocabile e si pone come titolare di diritti inalienabili. In questi termini, si può dire che i diritti della persona sono i diritti dell’uomo. La comunità umana che pretendesse di espropriare il singolo della sua qualità umana-personale incomincerebbe dunque, in quello stesso momento, a violare la propria dignità e a distruggere se stessa: sia in quanto comunità, sia in quanto umana. Dall’altro lato, appare ugualmente chiaro che il riconoscimento dell’inalienabile qualità personale di ogni essere umano è il principio stesso dell’appartenenza all’umanità di ogni singolo. Questa appartenenza, appunto, che rende legittimo il progetto di una compiuta realizzazione di sé, non è consegnata al suo arbitrio, ma alla sua responsabilità verso l’umano che è comune. E quindi verso tutti. Il riconoscimento e la pratica della comunità umana, in quanto umana e fatta di persone, è precisamente il modo in cui ciascuno attua e onora la propria irriducibile qualità personale umana. In questa prospettiva appare definitivamente chiaro che il rispetto della dignità personale del singolo e la partecipazione del singolo all’edificazione comunitaria dell’umano si corrispondono radicalmente.

39. Assume perciò speciale importanza l’impegno di sostenere una concezione relazionale dell’essere personale, sviluppando una riflessione antropologica in grado di correggere persuasivamente le visioni individualistiche del soggetto[31]. D’altra parte, non solo le linee più importanti del pensiero filosofico recente, ma anche correnti rilevanti del sapere politico, economico e anche scientifico convergono significativamente nell’illustrare la dimensione costitutiva delle dinamiche relazionali. L’interazione e la reciprocità che caratterizzano l’esistenza personale corrispondono alla condizione profonda della singolarità umana, sia nella vita del corpo come in quella dello spirito. La persona si manifesta in tutta la sua bellezza proprio attraverso la sua capacità di realizzarsi nel rapporto con l’interiorità spirituale, nell’ordine dei rapporti intersoggettivi e in quello della natura mondana. Non è necessario enfatizzare, qui, il rilievo fondamentale che assume la comunione fra le persone, ultimamente indirizzata dalla verità dell’amore nella visione cristiana della persona e della comunità[32].

La mediazione della coscienza

40. Questa verità della condizione umana fa appello alla persona mediante la coscienza morale, ossia il «giudizio della ragione mediante il quale la persona umana riconosce la qualità morale di un atto concreto che sta per porre, sta compiendo o ha compiuto»[33]. La persona non deve mai agire contro il giudizio della propria coscienza – che deve formarsi rettamente, con responsabilità e con tutti gli aiuti necessari. Sarebbe da parte sua consentire ad agire contro ciò che crede essere l’esigenza del bene e, pertanto, in ultima analisi, la volontà di Dio[34]. Perché è Dio che ci parla in quel «nucleo più segreto e sacrario dell’uomo, dove egli è solo con Dio»[35].  E, al dovere morale di non agire mai contro il giudizio della propria coscienza – persino quando questa sia invincibilmente erronea – corrisponde il diritto della persona di non essere mai costretta da nessuno ad agire contro la propria coscienza, specialmente in materia religiosa. Le autorità civili hanno il dovere correlativo di rispettare e di far rispettare questo diritto fondamentale nei giusti limiti del bene comune.

41. Il diritto di non essere costretto ad agire contro la propria coscienza è in profonda sintonia con la convinzione cristiana che l’appartenenza religiosa si definisce essenzialmente da un atteggiamento – la fede – che, per natura sua, non può non essere libero. Quest’insistenza cristiana sull’indispensabile libertà dell’atto di fede ha verosimilmente giocato un ruolo di primo piano nel processo storico d’emancipazione dell’individuo nella prima modernità. «L’obbedienza della fede» (Rm 1, 5) è una libera adesione della persona al disegno d’amore del Padre che, per mezzo di Cristo e nella potenza dello Spirito, invita ogni uomo ad entrare nel mistero della comunione trinitaria. L’atto di fede è l’atto per mezzo di cui «l’uomo si abbandona a Dio tutt’intero e liberamente […] assentendo volontariamente alla Rivelazione che egli fa»[36]. Così, nonostante i comportamenti storici dei cristiani attuati in grave contraddizione con la sua costante dottrina[37], la Chiesa sa che Dio rispetta la libertà dell’agire umano e la sua iscrizione nei processi della vita e della storia. Difendendo la libertà dell’atto di fede, la Chiesa offre a tutti gli uomini un’alta testimonianza: se è vero che la libertà cresce con la verità, è altrettanto evidente che la verità ha bisogno di un clima di libertà per fiorire (cf. Gv 8, 32).

42. In effetti, se ci riflettiamo a fondo, la libertà della fede è il modello più alto che si possa pensare per la dignità dell’uomo. In questa cornice si comprende che la Chiesa interpreti la sua missione fondamentale in termini di riscatto della libertà dalla potenza del peccato e del male, che vuole convincere la creatura dell’impossibilità dell’amore di Dio. Il sospetto insinuato dal serpente maligno, di cui parla il libro della Genesi (cf. Gen 3), imprigiona l’essere umano nel pensiero di una segreta ostilità di Dio. Questa corruzione dell’immagine di Dio genera conflitto fra gli esseri umani, soffoca la libertà, mortifica le relazioni. L’immagine dispotica di Dio, insinuata dall’inganno del maligno, si proietta in tutti i rapporti umani (a cominciare da quello dell’uomo e della donna), generando una storia di violenza e di assoggettamento, che porta al degrado della dignità personale e alla corruzione del legame sociale[38]. La dottrina sociale della Chiesa afferma esplicitamente che il centro e la sorgente dell’ordine politico e sociale non può che essere la dignità della persona umana, iscritta nella forma della libertà[39]. Si tratta di un principio assoluto, incondizionato. Quest’impostazione converge, su questo punto, con un principio universalmente condiviso della modernità filosofica e politica: la persona umana non può mai essere considerata semplicemente come un mezzo, ma come un fine[40].

4. IL DIRITTO DELLE COMUNITÀ ALLA LIBERTÀ RELIGIOSA

Dimensione sociale della persona umana

43. La concezione cristiana dei diritti della persona – che troverebbe echi nell’antropologia esplicita o implicita di altre tradizioni religiose – sostiene che la libertà inerente al soggetto umano, è chiamata a vivere nella responsabilità per il bene di tutti. Tuttavia, non ha alcuna possibilità di crescere in forza e saggezza senza la mediazione di relazioni umanizzanti che aiutano questa libertà a impegnarsi, a educarsi, a rafforzarsi, e anche a trasmettersi, al di là delle alienazioni dove la pura individualità, abbassata ad individualismo, può solo vegetare. In altri termini, nessuna persona, di fatto, vive da sola nell’universo ma è sempre insieme ad altri con cui è chiamata a costituire una comunità[41]. È stato da lungo tempo riconosciuto che non potremmo mai giudicare se una cosa sia meglio di un’altra se una consapevolezza elementare della verità non fosse già stata instillata in noi. Il giudizio della coscienza circa la giustizia dell’agire viene elaborato in base all’esperienza personale, attraverso la riflessione morale; e questo giudizio si definisce in rapporto con l’ethos comunitario che istruisce e rende apprezzabili i comportamenti virtuosi conformi alla verità dell’umano[42]. In questo senso, le comunità di appartenenza (famiglia, nazione, religione) precedono l’individuo per accoglierlo e assisterlo nella grande avventura antropologica della sua personalizzazione integrale[43]. Qui viene verificata la forma storica e sociale di attuazione della natura umana, che comprende un movimento di reciproca integrazione tra verità e libertà.

44. Il riconoscimento della “pari dignità” delle persone, in ogni caso, non si risolve nella semplice formulazione giuridica degli “uguali diritti”. Una concezione troppo astratta e formale dell’uguaglianza giuridica dei singoli, nell’ambito della legalità istituzionale, tende a ignorare la ricchezza delle differenze che possono e devono essere valorizzate e messe in relazione come fonte di ricchezza umana, e non neutralizzate come se fossero, in sé stesse, fondamento di discriminazione e svuotamento dell’identità. D’altro canto, occorre distinguere le differenze che strutturano la condizione umana dall’arbitrio delle inclinazioni soggettive private. Lo Stato che si limitasse a registrare questi desideri soggettivi, trasformandoli in vincolo del diritto, senza alcun riconoscimento del suo rapporto con il bene comune, rischierebbe di indebolire il sostegno istituzionale delle ragioni etiche che proteggono il legame sociale[44]. La tutela dell’umano, che è il nostro bene comune più prezioso, viene in tal modo esposta ad una inevitabile erosione, che finisce per danneggiare anche il singolo[45]. In particolare, oggi lo riconosciamo con un’evidenza che in altre epoche non è stata così forte, l’uguale dignità della donna deve tradursi nel compiuto riconoscimento dei diritti umani uguali. Di fatti, «la Bibbia non dà alcun adito al concetto di una superiorità naturale del sesso maschile rispetto a quello femminile»[46]. Nonostante che l’uguale dignità della creatura di Dio, in virtù della quale la reciprocità deve esaltare e non mortificare la differenza del suo essere “uomo e donna”, sia chiaramente riconoscibile nel testo veterotestamentario (cf. Gen 2, 18-25), come anche nella parola e nell’atteggiamento di Gesù (cf. Mt 27, 55; 28, 1-8; Mc 7, 24-30; Lc 8, 1-3; Gv 4, 1-42; 11, 20-27; 19, 25)[47], l’elaborazione concreta e universale di questo principio è appena cominciata, non solo nel pensiero cristiano, ma anche nella cultura civile[48].

Sussidiarietà e racconto fondatore

45. Lo svuotamento procedurale delle istituzioni tende ad ignorare il ruolo umanizzante che è proprio della famiglia, in cui l’intimo legame dell’uomo e della donna assicura continuità personale alla generazione ed educazione dei figli. L’unità – biologica e spirituale – di questa introduzione alla condizione umana e all’identità personale, in un ambiente primario di reciprocità e di responsabilità affettiva, costituisce una premessa indispensabile per l’acquisizione del senso umano della socialità[49]. L’intera società vive di questo fondamento: l’esperienza millenaria delle comunità umane, in tutte le variazioni delle loro culture, ne conosce benissimo l’insostituibilità.

In secondo luogo, l’ossessione di una perfetta neutralità valoriale – che sconfina nell’agnosticismo – a riguardo della visione religiosa del senso, inclina inevitabilmente la legalità istituzionale a prendere distanza dall’intero universo simbolico della comunità civile, ossia, della cultura propriamente umana. Ogni comunità religiosa attinge a questo grembo simbolico e si esprime attraverso la sua chiarificazione e interpretazione. L’indifferenza dello Stato lo rende progressivamente estraneo alle funzioni simboliche di cui vive l’appartenenza sociale, diventando sempre più incapace di comprenderle, e quindi di rispettarle, come dichiara di voler fare.

46. L’esperienza religiosa custodisce il piano di realtà in cui la convivenza sociale vive e affronta i temi e le contraddizioni che sono propri alla condizione umana (l’amore e la morte, il vero e il giusto, l’incomprensibile e lo sperabile). La testimonianza religiosa custodisce questi temi della vita e del senso con tutta la loro misteriosa profondità. La religione infatti esplicita e tiene in campo la trascendenza dei fondamenti etici e affettivi dell’umano: li sottrae al nichilismo della volontà di potenza e li restituisce alla fede nell’amore dell’Altro. L’unità indissolubile dell’amore di Dio e del prossimo, sigillata nella fede cristiana, conferisce alla narrazione familiare della giustizia e della destinazione degli affetti l’orizzonte dell’unica verità della speranza realmente all’altezza delle promesse della vita.

Pratiche religiose e umanità concreta

47. La promessa di un eterno riscatto per l’avventura delle affezioni umane, che corrisponde alla speranza della loro giustificazione e della loro salvezza – anche oltre ogni umana speranza – sbarra la strada per un malinconico ripiegamento individualistico e materialistico della condizione umana e della stessa cultura civile. L’universale memoria affettiva dei defunti, che è stata – e rimane – un tipico accento della comunità religiosa, dimostra la forza della fedeltà al carattere irrevocabile dei legami umani. Qualcosa d’incompiuto, in essi, rimane in attesa di riscatto, anche quando sono sfidati dalla morte. La tradizione più antica dell’umanità attesta l’originaria disposizione dell’umano alla ricezione di una verità trascendente dei linguaggi simbolici della vita, che resiste spontaneamente al suo confinamento biologico e apre i suoi legami al mistero della vita divina. D’altra parte, nelle condizioni-limite degli eventi tragici che travolgono la vita e i suoi legami, anche in gran parte degli stati secolarizzati si fa pubblicamente spazio alla verità simbolica della celebrazione religiosa. Quando un disastro di grande portata ferisce la comunità civile, la fermezza della resistenza religiosa al nichilismo della morte, appare a tutti come presidio di umanità insostituibile. La giustizia degli affetti della famiglia e della comunità, che appare inaccessibile all’impotenza delle umane risorse, non rinuncia alla sua speranza che può soltanto essere affidata alla giustizia e all’amore del Creatore. In tali casi, il tema del senso e della destinazione ultima dell’umano appare in tutta la sua evidenza di questione pubblica. E la “forma religiosa” di questo riconoscimento si legittima per così dire da sé, come una vera “funzione pubblica”, anche nella cornice dello Stato laico.

48. Il racconto nazionale, nel quale i destini individuali tentano d’iscriversi attraverso la successione delle generazioni – per trovare le loro radici e la propria identità profonda prima e oltre la forma specifica dello Stato – è oggi una sfida di geopolitica globale. Se è vero, come è vero, che la libertà e la dignità delle persone possono essere formate solo dalle tradizioni e dai racconti che le esprimono e le attualizzano, allora è urgente che il racconto nazionale sappia arricchirsi, accettando la complessità e la differenziazione dei loro apporti, mediante il racconto famigliare di ogni cittadino, in riferimento al racconto globale dell’universale umano. Quindi, direttamente o indirettamente, anche attraverso il racconto particolare della comunità religiosa[50]. Perciò, coloro che, ormai ignoranti del cristianesimo, lo confondono con un’ideologia, un moralismo, una disciplina, oppure con una sovrastruttura arcaica, non potranno essere riavvicinati che tramite un incontro familiare-umano, dove poter ascoltare il racconto della storia che ha suscitato il riconoscimento di Dio, in cui custodire le generazioni: «Quando in avvenire tuo figlio ti domanderà: “Che significano queste istruzioni, queste leggi e queste norme che il Signore nostro Dio vi ha date?” tu risponderai a tuo figlio: “Eravamo schiavi del faraone in Egitto e il Signore ci fece uscire dall’Egitto con mano potente. […] Ci fece uscire di là per condurci nel paese che aveva giurato ai nostri padri di darci. Allora il Signore ci ordinò di mettere in pratica tutte queste leggi, temendo il Signore nostro Dio così da essere sempre felici ed essere conservati in vita […]”» (Dt 6, 20-24).

Educazione integrale e incorporazione alla comunità

49. La libera adesione alla persona di Gesù, alle sue parole e gesti, si vive attraverso una comunità, la Chiesa, in cui la relazione di ciascuno dei credenti con Cristo presente è resa esistenzialmente possibile e si dispiega socialmente nella comunione ecclesiale[51]. Così, l’esistenza cristiana unisce la libertà singolare dell’atto di fede e l’inserzione in una tradizione comunitaria come due lati del medesimo dinamismo personale. L’evocazione di questa genealogia della fede cristiana ci riporta alla convinzione, essenziale nell’ottica antropologica, che la libertà umana, difesa dal riconoscimento dei diritti umani, non può essere attuata in modo spontaneo e individualistico. Gli uomini liberi vengono alla luce nel rapporto con altri che hanno già conquistato più libertà, e imparano dai più liberi a correggere in se stessi tutto ciò che rimane ancora nella dipendenza delle pulsioni, dei condizionamenti, delle costrizioni conformistiche, dell’autoconferma narcisistica. Quali che siano le qualificazioni – “democratico”, “liberale”, “pluralista” – con cui lo Stato moderno intendeva formularsi come struttura solida e perenne, naturale e storica, nella quale i cittadini possono sviluppare i loro diritti umani, è essenziale capire in quale modo questo processo può essere sostenuto e regolato nel modo più giusto ed efficace.

50. In altri termini, si tratta di specificare in quale modo quelle formule generali sono in grado di contenere il movimento della vita e la partecipazione alla cittadinanza, in condizioni idonee ad armonizzare le differenze dei processi di umanizzazione e l’unità della storia generativa della comunità nazionale[52]. Non c’è un solo Stato che possa garantire in altro modo le comunità che lo compongono, e attraverso di loro, la vitalità della sua “democrazia” come bene comune[53]. In caso contrario, anche le formule più nobili rimarranno puri nomi o, addirittura, diventeranno feticci ancora più ingannevoli e vuoti degli arcana imperii di un tempo. La concezione cristiana del buon governo include l’idea che la libertà umana non abbia, in sé stessa, il suo fine, come se il suo senso e il suo compimento coincidessero con l’arbitrio illimitato e indeterminato di ogni possibilità dell’affezione e del volere. Il fine della libertà è piuttosto nella sua coerenza con la dignità umana dell’affezione e del volere, che si rivolge sempre alla qualità del bene in rapporto al quale si determina.

51. La qualità umana, personale e relazionale, che si realizza mediante la libertà istruita dalla ragione e dalla rivelazione del bene, è il fine proprio della libertà umana. E di qui si misura il suo progresso nel modo di costruire la storia e di abitare la terra. Questa idea è oggi inclusa nella nota formula della “ecologia umana”, ossia dell’impegno per un ordinamento della vita e dell’habitat umano coerente con le supreme ragioni (naturali e divine) della sua origine e della sua destinazione. Per questo si è ampliata la formula fino a proporre una “ecologia integrale” che comprenda chiaramente le sue dimensioni umane e sociali[54].Nella visione cristiana, che ha ispirato un nuovo corso nella storia della libertà e della responsabilità umana riguardo la costituzione e la destinazione della persona, la libertà è certamente lo splendido riflesso del gesto creaturale di Dio nei confronti dell’uomo e della donna. Il passaggio attraverso la coscienza e la libertà è fondamentale per la custodia e l’incremento della dignità creaturale, e in questo senso è una condizione essenziale per l’attuazione della historia salutis. Il libero volere e l’intima affezione dell’essere umano alla relazione con Dio, decidono la qualità salvifica della storia umana, concepita come progetto di alleanza e di comunione con un Dio che vuole essere creduto e amato, non semplicemente patito e subito.

Il valore dei corpi intermedi e lo Stato

52. Per ampliare questa riflessione sulla dimensione sociale si può richiamare ancora la specifica importanza dei cosiddetti “corpi intermedi”, ossia formazioni sociali che si presentano e auto-rappresentano in determinati settori o luoghi della società civile[55]. In quanto tali, essi svolgono una funzione di mediazione fra diritti personali e governo dello Stato. Devono essere distinti dalle aggregazioni di opinione o di rivendicazione (come ad esempio le lobbies di pressione o i gruppi di class action), che intendono portare vantaggio esclusivamente al gruppo di convinzione e di aggregazione, senza riguardo per il bene comune. I corpi intermedi esercitano una mediazione attiva nei confronti dello Stato, con funzioni di sussidiarietà istituzionale e nell’interesse del bene comune[56].

53. La Chiesa cattolica respinge la sua identificazione come soggetto di un interesse privato che compete per affermare i suoi privilegi. La missione della Chiesa è l’evangelizzazione, che annuncia la giustizia dell’amore universale di Dio e non si lascia ridurre a un interesse politico di parte. Di conseguenza, il suo apporto alla buona cultura e alle pratiche dell’etica pubblica passa attraverso il legame sociale e la partecipazione civile. La rilevanza pubblica di questa mediazione si riferisce all’interesse per il bene comune e alla sollecitazione di un umanesimo politico. In questo senso si può dire che essa è principio animatore d’istituzioni intermedie, che concorrono lealmente al sostegno dell’etica pubblica e del legame sociale entro le possibilità e i limiti del governo statuale sul piano nazionale e anche sul piano internazionale. Non s’identifica pertanto come un semplice gruppo di opinione o di pressione. E neppure si pone in competizione con lo Stato nella funzione di governo della società civile. In questa prospettiva, che rifiuta comunque il modello di un governo teocratico, la Chiesa contribuisce, anche da un punto di vista metodologico, al corretto inquadramento della libertà religiosa nella sfera pubblica. L’istanza della libertà in cui la Chiesa si iscrive idealmente, infatti, prende distanza dal modello di un multiculturalismo agnostico, che accetta la pura autoreferenzialità delle corporazioni ideologiche o religiose, escludendole nello stesso tempo da ogni legittima funzione mediatrice – etica, culturale, comunitaria – fra cittadinanza attiva e governo statuale.

Lo Stato, la rete e le comunità di convinzione

54. Dopo lo sviluppo delle comunicazioni attraverso internet e le reti sociali possiamo intravvedere le potenzialità delle nuove risorse tecnologiche per l’interazione umana. Il tema è ben noto e la sua complessità richiede attenzione costante. Le reti dell’informazione moderna danno un rilievo eccezionale alle manifestazioni delle religioni, ma diffondono anche, e amplificano, teorie e pratiche attribuite a loro indebitamente. La facilità e la rapidità d’intervento nella platea della rete, a molti livelli, apre potenzialità di partecipazione sociale fino a ieri inaccessibili. Non possiamo che apprezzare queste nuove possibilità. Essa favorisce tuttavia uno stile emotivo d’interazione, di crescente intensità, come ormai gli osservatori evidenziano. L’apparente libertà delle forme dell’espressione individuale online, unitamente alla maggiore difficoltà di verifica dell’attendibilità dei contenuti, favorisce fenomeni di massificazione delle false notizie (fake news), e di polarizzazione della violenza persecutoria (haters). Tutti questi elementi rendono ambivalente il valore degli effetti di informazione/discussione, e di consenso/dissenso, che caratterizzano la partecipazione a questa nuova agorà. Il loro peso non può essere sottovalutato, anche dal punto di vista dei suoi effetti di carattere politico e sociale.

55. La libertà di espressione e la responsabilità della partecipazione possono facilmente scindersi, nell’ambiente dell’interazione online, esponendo i singoli e la collettività a nuove forme di pressione, che invece di favorire un’etica della libertà riflessiva e partecipata, sono disponibili ad una più sottile manipolazione dell’ethos. In questo nuovo quadro, le forme espressive della religione sono tra le più esposte all’emotività incontrollata e al fraintendimento pilotato. La comunità globale apprenderà col tempo regole adatte alla gestione delle forme di questo nuovo scambio privato-pubblico. Sin d’ora, è necessario che la comunità cristiana sia capace di individuare strumenti di educazione adeguati alla pervasività della sfera mediatica nei processi di costruzione dell’ethos relazionale e di formazione del consenso politico[57]. In questo senso, la comunità cristiana deve porre speciale attenzione alla necessità di non lasciarsi mediaticamente rinchiudere nell’immagine di una corporazione di parte, di una lobby di pressione, di un’ideologia di potere in competizione con il legittimo governo dello Stato di diritto e della società civile.   

5. LO STATO E LA LIBERTÀ RELIGIOSA

Cristianesimo e dignità dello Stato

56. In termini generali, già la rivelazione dell’Antico Testamento afferma sempre chiaramente la priorità della suprema signoria di Dio, come tema della libera obbedienza della fede nella logica dell’alleanza esclusiva con Dio (cf. Dt 6, 4-6). Non pone quest’obbedienza tuttavia in alternativa al costituirsi di un legittimo potere di governo del popolo, che risponde a regole intrinseche alla costituzione di ambiti istituzionali – politici, economici, giuridici – dotati di una loro razionalità di esercizio, in corrispondenza con tutte le normali forme di sviluppo delle funzioni amministrative e organizzative della “nazione”. Di fatto, la forma istituita del governo del popolo di Dio nella storia conosce forme diverse di organizzazione e di esercizio (dalla federazione delle tribù alla formalizzazione della [duplice] monarchia). In questo quadro, pur condizionato dalla stretta congiunzione del profilo politico-istituzionale e di quello teologico-cultuale, caratteristico di tutte le antiche civiltà, si possono notare due aspetti importanti. Il primo risiede proprio nel fatto che il vincolo dell’obbedienza della fede nei confronti dei comandamenti di Dio è saldamente radicato nella forma dell’alleanza, come libera scelta di seguire Dio. D’altra parte, la fedeltà all’alleanza, e dunque l’osservanza della legge divina, è mediata dalla libertà di una decisione, sempre rinnovata, di custodire la coerenza del comandamento di Dio con la sollecitudine per il bene comune del popolo (cf. Dt 7, 7-16; Ger 11, 1-7). Questa stessa alleanza deve perciò essere continuamente alimentata nella fedeltà del cuore e nella pratica della giustizia.

57. Proprio la fedeltà allo spirito dell’Alleanza chiede di non trasformarsi nel privilegio di un’elezione che esonera dall’osservanza della giustizia economica, del bene comune, del rispetto reciproco, della convivenza solidale. Nella storia dell’antica Alleanza, una certa distinzione tra potere politico e istituzioni religiose appare durante il periodo dei re. Il potere politico del re è distinto da quello religioso del sacerdote, anche se poi al re compete il privilegio della nomina del sommo sacerdote, e il sacerdote conserva un’influenza pratica nei confronti del re (cf. 2 Re 11-12). Quando il dominio straniero (Nabucodonosor) abolisce la regalità, si produce una concentrazione del potere civile e religioso nella persona del sommo sacerdote come persona di fiducia: ma una certa distinzione tra le funzioni propriamente politiche e le prerogative specificamente religiose rimane[58]. L’esigenza di armonizzare la fedeltà a Dio e ai suoi comandamenti con le pratiche della giustizia e della solidarietà nell’ambito della vita sociale rappresenta nondimeno l’ispirazione profonda del codice di una condotta della vita politica coerente con i principi dell’alleanza con Dio. Quando i profeti denunceranno l’ingiustizia sociale e la corruzione politica, l’intimidazione violenta e la prevaricazione economica, essi colpiranno, nello stesso tempo, il tradimento dell’alleanza religiosa con Dio e la degenerazione dell’ethos politico (pensiamo a Samuele in 1 Sam 13, Nathan in 2 Sam 12, Elia in 1 Re 17-19, e anche agli scritti profetici come Am 4-6, Os 4, Is 1, Mic 1, ecc.). La concretezza della denuncia, con i suoi esempi circostanziati, fa appello, per così dire ad una “razionalità intrinseca” alla giustizia politica, che la fede religiosa iscrive come parte integrante della “legge divina”.

58. In apertura della sua missione di annuncio e di instaurazione del Regno di Dio, Gesù riprenderà, in forma radicale, ma nello stesso senso, lo spirito della critica profetica: sia nel suo insegnamento in parabole, sia nella sua critica al legalismo (cf. Mt 23, 13-28; Lc 10, 29-37; 18, 9-14). In questa prospettiva Gesù si attesta certamente sulla linea della distinzione fra l’esercizio del potere economico-politico, nelle possibilità e nei limiti delle condizioni storiche, e la sollecitudine della cura religiosa-pastorale del popolo, nella quale iscrive la novità assoluta della rivelazione e dell’azione di Dio che egli incarna. La legittimità di principio del potere politico, distinto dall’autorità religiosa, non è in discussione nella comunità primitiva: indice di una consegna pacificamente riconducibile a Gesù stesso. Le raccomandazioni di san Paolo e di san Pietro a riguardo del rispetto per la legittima autorità civile (cf. Rom 13, 1-7; 1 Pt 2, 13-14), sono chiare in merito. Il potere di governo politico, accordato da Dio in vista del bene del popolo, rappresenta una mediazione dell’ordine storico e mondano della giustizia che non può essere cancellata. La rappresentanza di quest’ordine, iscritta nel legittimo potere politico, infatti, rinvia ultimamente alla cura di Dio per la creatura. La distinzione non ha motivo di essere annullata; d’altra parte, proprio in rapporto ad essa deve sempre venire all’evidenza la speciale differenza della missione evangelica-ecclesiale e del potere pastorale che prende forma in essa, su esplicita indicazione di Gesù. In questo senso, deve apparire chiaro il fatto che il Regno inaugurato con Gesù non è «di questo mondo» (Gv 18, 36); e che l’esercizio della potestà pastorale non deve confondersi con le logiche dei potenti che «guidano le nazioni» (Lc 22, 25). Lo spazio per un legittimo e doveroso riconoscimento delle prerogative dell’autorità politica (“Cesare”), non è comunque in discussione, a condizione, naturalmente, che essa non pretenda di occupare il posto di “Dio” (cf. Mt 22, 21)[59]. In tal caso, infatti, per il cristiano non c’è dubbio che la suprema obbedienza debba essere riservata a Dio, e a Lui solo (cf. At 5, 29). La libertà di questa obbedienza, che il discepolo del Signore rivendica appunto come espressione radicale della libertà della fede (cf. 1 Pt 3, 14-17), in sé stessa non prevarica sulla libertà individuale di nessuno e non intende minacciare il legittimo ordine pubblico di nessuna comunità (cf. 1 Pt 2, 16-17).

59. Non manca, per stare al contesto dell’impero romano, l’attestazione della resistenza cristiana di fronte alle interpretazioni persecutorie della religio civilis e all’imposizione del culto dell’imperatore[60]. Il culto religioso dell’imperatore appare come una vera e propria religione alternativa alla fede cristologica – che rappresenta l’unica incarnazione autentica della signoria di Dio – imposta con la violenza dal potere politico[61]. L’ispirazione evangelica – che giustifica il potere civile sollecito del bene comune, ma resiste alla sua forma sostitutiva della religione – è ripresa da sant’Agostino nella Città di Dio[62]. Lungi dal denigrare lo Stato, con l’idea che l’impegno supremo dello Stato a garantire la pace temporale si collega con il destino di pace promesso da Dio nella vita eterna, Agostino restituisce allo Stato l’integrità della sua funzione. Il bene temporale della comunità umana e il bene eterno della comunione con Dio non sono due beni completamente separati, come spesso si lascia credere nella divulgazione del pensiero agostiniano delle “due città”. E anche la semplificazione dell’idea che separatamente lo Stato governa “i corpi”, mentre la Chiesa governa le “anime”, va considerata – da entrambi i lati – una semplificazione riduttiva del pensiero di Agostino.

60. Le coordinate del problema della libertà religiosa e dei rapporti tra la Chiesa e le autorità politiche appaiono mutate a partire dalle leggi dell’imperatore Teodosio (verso 380-390). L’approdo a una certa interpretazione del concetto di “Stato cristiano”, dove non c’è più spazio ufficiale per il pluralismo religioso, introduce una variante decisiva nell’impostazione del tema[63]. La riflessione cristiana ha cercato di mantenere una giusta distinzione tra il potere politico e il potere spirituale della Chiesa senza mai rinunciare a pensare alla loro intrinseca articolazione. Però, quell’equilibrio è stato sempre minacciato da una doppia tentazione. La prima è la tentazione teocratica, di far derivare l’origine e la legittimità del potere civile della plenitudo potestatis dell’autorità religiosa, come se l’autorità politica si esercitasse in virtù di una semplice delega, sempre revocabile, da parte del potere ecclesiastico. La seconda tentazione è quella d’assorbire la Chiesa nello Stato, come se la Chiesa fosse un organo o una mera funzione dello Stato, incaricato della dimensione religiosa. La formula teologica dell’equilibrio, pur sempre cercata nella cornice di una impostazione che prevede la superiore competenza spirituale della sacra potestas rispetto alla cura dell’ordine pubblico riconosciuta come propria del potere politico, appare in varie forme e in diversi contesti già a partire dal V secolo (Gelasio I, 494) sino alla fine del XIX (Leone XIII, 1885)[64]. Il modello della ricerca di una giusta armonizzazione nella distinzione viene confermato da Gaudium et spes, che propone di interpretarlo alla luce dei principi di autonomia e di cooperazione fra comunità politica e Chiesa[65]. Il mutamento delle coordinate sociopolitiche, che raccomanda la presa di distanza dalla pretesa di legittimazione religiosa delle competenze etico-sociali del governo politico, si produce nella nostra contemporaneità attraverso l’approfondimento del valore della libera adesione della fede. E in generale, dal valore di una convivenza civile che esclude ogni forma di costrizione, anche psicologica, nell’ambito dell’adesione ai valori dell’esperienza etico-religiosa. Questa visione appare come un effetto maturo della tradizione cristiana e, al tempo stesso, come un principio universale del rispetto per la dignità umana che lo Stato deve garantire.

La deriva “monofisita” nelle relazioni fra religione e Stato

61. La città di Dio vive e si sviluppa “all’interno” della città dell’uomo. Di qui viene la convinzione della Dottrina sociale della Chiesa, che riconosce come una benedizione l’impegno di tutte le persone di buona volontà a promuovere il bene comune nell’ambito della condizione temporale della vita umana[66]. La dottrina cristiana delle “due città” afferma la loro distinzione, ma non la spiega in termini di opposizione fra realtà temporali e spirituali. Dio certamente non impone una determinata forma di governo temporale; rimane però il dato teologico che ogni autorità dell’uomo sull’uomo deriva ultimamente da Dio ed è giudicata secondo la giustizia di Dio. Nonostante questo rimando al fondamento ultimo posto da Dio, il legame sociale e il suo governo politico rimangono un’impresa umana. Proprio questo, però, pone un limite preciso al potere conferito all’autorità terrena riguardo al governo delle persone e delle comunità umane – e una dipendenza ultima dal giudizio di Dio[67] –. Da questo punto di vista, perciò, si deve anche dire che una “teocrazia di Stato”, come anche un “ateismo di Stato”, che pretendono, in diverso modo, di imporre un’ideologia della sostituzione del potere di Dio con il potere dello Stato, producono rispettivamente una distorsione della religione e una perversione della politica. Possiamo scorgere in questi modelli una certa analogia politica del monofisismo cristologico, che confonde – e infine cancella – la distinzione delle due nature, attuata nell’incarnazione, compromettendo l’armonia della loro unità. In questa fase storica, appare evidente che la tentazione del “monofisismo politico”, conosciuta nella storia cristiana, riappare più chiaramente in alcune correnti radicali di tradizioni religiose non cristiane.

La riduzione “liberale” della libertà religiosa

62. Il concetto di uguaglianza dei cittadini, che originariamente era limitato alla relazione legale tra l’individuo e lo Stato, tale per cui ciascun membro di un dato sistema di governo era considerato uguale davanti alla legge di quel sistema di governo, è stato trasposto nel mondo dell’etica e della cultura. In questa estensione, la mera possibilità che una differente valutazione morale o un diverso apprezzamento delle pratiche culturali, possano essere superiori ad altre o contribuire al bene comune in misura maggiore rispetto ad altre, è divenuta ormai una controversa questione politica. Secondo questa idea di neutralità, l’intero mondo della moralità umana e del sapere sociale deve essere esso stesso democratizzato[68]. Lo svuotamento dell’ethos e della cultura che consegue all’applicazione di questa ideologia egualitaria e a-valutativa, non può che destare preoccupazione. Le pratiche formative e il legame sociale della comunità sono indotti alla paralisi dei loro stessi presupposti. Inoltre, sembra inevitabile osservare che, quando un simile Stato “moralmente neutrale” comincia a controllare il campo di tutti i giudizi umani, esso incomincia ad assumere i tratti di uno Stato “eticamente autoritario”. Nel suo rapportarsi originario alla verità, l’esercizio della libertà di coscienza – in nome della quale è imposta la censura di ogni valutazione – finisce per trovarsi in costante pericolo. In nome di questa “etica di Stato” viene talvolta indebitamente messa in questione, al di là del criterio del giusto ordine pubblico, la libertà delle comunità religiose a organizzarsi secondo i loro principi[69].

63. La neutralità morale dello Stato si può collegare ad alcune delle diverse comprensioni dello Stato liberale moderno. Infatti, il liberalismo, come teoria politica, ha una storia lunga e complessa, che non si lascia ridurre ad una concezione univoca e condivisa. Nell’ambito delle sue diverse elaborazioni teoriche – in certi casi più direttamente collegate ad una visione antropologica di ispirazione radicalmente individuale, in altri casi più aderente ad una concezione negoziale della sua applicazione politico-sociale – si possono individuare almeno quattro principali interpretazioni della neutralità dello Stato. (a) Un’impostazione che definisce pragmaticamente le materie che possono essere oggetto di norme vincolanti per la libertà individuale; (b) una teoria che precisa il tipo di razionalità che definisce la competenza normativa del legislatore; (c) una teoria che rende accettabili effetti differenziati relativamente al vantaggio dei diversi gruppi sociali, a condizione che questo vantaggio non sia la ragione formale della norma; (d) una teoria che garantisce un esercizio delle libertà politiche che non implica il riferimento vincolante a una nozione trascendente del bene. In quest’ultima accezione, il liberalismo politico appare strettamente associato a limitazioni della libertà che riguardano la parola, il pensiero, la coscienza, la religione. La neutralità della sfera pubblica,infatti, non si limita in questo caso a garantire l’uguaglianza delle persone di fronte alla legge, ma impone l’esclusione di un determinato ordine di preferenze, che associano la responsabilità morale e l’argomentazione etica ad una visione antropologica e sociale del bene comune. Lo Stato tende ad assumere, in tal caso, la forma di una “imitazione laicista” della concezione teocratica della religione, che decide l’ortodossia e l’eresia della libertà in nome di una visione politico-salvifica della società ideale: decidendo a priori la sua identità perfettamente razionale, perfettamente civile, perfettamente umana. L’assolutismo e il relativismo di questa moralità liberale confliggono, qui, con effetti di esclusione illiberale nella sfera pubblica, all’interno della pretesa neutralità liberale dello Stato.

Ambiguità dello Stato moralmente neutro

64. La coscienza morale esige la trascendenza della verità e del bene morale: la sua libertà è definita da questo rimando, che indica precisamente ciò che la giustifica per tutti, senza poter essere proprietà disponibile di nessuno. Parlare di libertà della coscienza individuale significa parlare di un diritto sorgivo dell’umano, che non può essere amputato di questo rimando responsabile all’universale umano, sottratto all’arbitrio degli uomini. Per meno di questo non parliamo più di coscienza eticamente inviolabile, ma di un semplice rispecchiamento del mondo dato o dell’arbitrio voluto. L’istanza etica non si sovrappone alla libertà di coscienza e al bene della convivenza come un elemento opzionale o ideologico: è piuttosto la condizione della loro intrinseca armonizzazione con la dignità della persona. Il riferimento a Dio, come principio trascendente dell’istanza etica che abita il cuore dell’uomo, va inteso, ultimamente, come il limite posto ad ogni prevaricazione dell’uomo sull’uomo e il presidio di ogni convivenza fraterna dei liberi e uguali. Quando il posto di Dio, nella coscienza collettiva di un popolo, è occupato abusivamente dagli idoli fabbricati dall’uomo, il risultato non è una liberalità più vantaggiosa per ciascuno, bensì una schiavitù più insidiosa per tutti. La presunta neutralità ideologica dello Stato liberale, che esclude selettivamente la libertà di una trasparente testimonianza della comunità religiosa nella sfera pubblica, apre un varco per la finta trascendenza di un’occulta ideologia del potere. Papa Francesco ci ha messi in guardia da questa sottovalutazione dell’indifferenza religiosa: «Quando, in nome di un’ideologia, si vuole estromettere Dio dalla società, si finisce per adorare degli idoli, e ben presto l’uomo smarrisce sé stesso, la sua dignità è calpestata, i suoi diritti violati»[70].

65. Il problema sorge, per il cristianesimo, nel momento in cui i cristiani stessi sono indotti a concepirsi come membri di una “società neutrale” che, nei principi e nei fatti, non lo è. In tal caso, la loro condizione di abitatori di comunità diverse, ma non contrapposte (la famiglia, lo Stato, la Chiesa) è indotta a tradursi nella scelta di abitare privatamente (in modo auto-referenziale) la comunità familiare ed ecclesiale, per concepirsi poi come appartenenza neutrale (non-religiosa) alla società liberale e politica. In altre parole, nel solco di questa deriva, i cristiani iniziano a vedersi, nella sfera pubblica, soltanto come membri di quella polis “moralmente neutrale” cui è capitato per caso di formarsi in un contesto storicamente cristiano. Quando i cristiani passivamente accettano questa biforcazione del loro essere in una esteriorità governata dallo Stato e una interiorità governata dalla Chiesa, essi, di fatto, hanno già rinunciato alla loro libertà di coscienza e di espressione religiosa. In nome del pluralismo della società i cristiani non possono favorire soluzioni che compromettano la tutela di esigenze etiche fondamentali per il bene comune[71]. Non si tratta di per sé di imporre particolari “valori confessionali”, ma di concorrere alla tutela di un bene comune che non perda di vista il riferimento vincolante della “sfera pubblica” alla verità della persona e alla dignità della convivenza umana. Come vedremo ulteriormente nei capitoli successivi, la fede cristiana ha un atteggiamento di cooperazione con lo Stato, proprio in forza della dovuta distinzione dei propri compiti, per cercare ciò che Benedetto XVI ha qualificato come “laicità positiva” nel rapporto fra l’ambito politico e quello religioso[72].

6. IL CONTRIBUTO DELLA LIBERTÀ RELIGIOSA ALLA CONVIVENZA E ALLA PACE SOCIALE

Libertà religiosa per il bene di tutti

66. Nei capitoli precedenti abbiamo preso in considerazione i vari aspetti del soggetto personale e comunitario della libertà religiosa, approfondendo soprattutto le dimensioni antropologiche della libertà religiosa, e anche la sua collocazione nei confronti dello Stato. La nostra riflessione, sviluppata nella prospettiva unitaria della dignità della persona umana, ha descritto il significato e le implicazioni della libertà di coscienza – da un lato – e il valore delle comunità religiose – dall’altro –. In un secondo momento, abbiamo offerto qualche puntualizzazione a riguardo delle contraddizioni iscritte nell’ideologia dello Stato neutrale, quando tale “neutralità” è declinata in termini di “esclusione” della legittima partecipazione della religione alla formazione della cultura pubblica e del legame sociale.È ora opportuno soffermarci sull’esercizio concreto della libertà religiosa, ossia su alcuni temi pratici della mediazione fra vita sociale e istituzione giuridica che deve regolare il suo concreto esercizio.

L’essere-insieme ha qualità di bene

67. L’essere insieme, il vivere insieme, è, di per sé, un bene, per i singoli come per la comunità. Questo bene non deriva dall’adozione di una particolare visione teorica; la sua giustificazione emerge nell’evidenza stessa del suo accadere[73]. Nella misura in cui questo fatto è riconosciuto, apprezzato e difeso, contribuisce alla pace sociale e al bene comune. L’accettazione della convivenza umana, e la ricerca della sua qualità migliore, rappresentano la premessa fondamentale di un’intesa – un’alleanza, potremo dire – che crea per sé stessa le condizioni di una vita buona per tutti. Di fatto, uno dei dati più impressionanti, a riguardo dei conflitti che adesso destano le maggiori preoccupazioni, è proprio il fatto che le rotture e gli orrori che accendono i focolai di una guerra mondiale “a pezzi”[74], devastano con furia improvvisa convivenze pacifiche lungamente sperimentate e sedimentate nel tempo, e lasciano dietro una interminabile schiera di sofferenze per le persone e per i popoli[75]. Nel travagliato contesto odierno non possiamo ignorare gli effetti concreti che le migrazioni dovute a conflitti politici o precarie condizioni economiche comportano per il giusto esercizio della libertà religiosa nel mondo perché i migranti si muovono con la loro religione[76].

68. Soltanto dove c’è la volontà di vivere insieme si potrà costruire un futuro buono per tutti: diversamente non ci sarà un futuro buono per nessuno. Nell’era della globalizzazione, il bisogno umano fondamentale di sicurezza e di comunità non è cambiato: nascere in un luogo concreto implica sempre interagire con gli altri, a cominciare dai più prossimi, ma in realtà interagire con il mondo intero. Questo stesso fatto ci rende responsabili gli uni degli altri, vicini e lontani. Oggi le responsabilità sono sempre più interdipendenti, oltrepassando le differenze sociali o le frontiere. I problemi decisivi per la vita umana non possono essere adeguatamente risolti se non in una prospettiva d’interazione sia locale che temporale. Per questo motivo, il bene pratico del vivere insieme non è un bene statico ma in continua evoluzione, che, per potersi sviluppare in modo adeguato, deve essere assicurato anche politicamente[77]. Le comunità religiose, messe in condizione di promuovere le ragioni trascendenti e i valori umanistici della convivenza, sono un principio di vitalità dell’amore reciproco per unire l’intera famiglia umana. Il bene del vivere insieme diventa una ricchezza per tutti, quando tutti hanno cura di vivere bene insieme.

69. Particolarmente rilevante, per l’armonizzazione delle dimensioni costitutive della vita comune, è la sfera delle credenze religiose e delle convinzioni etiche più intime degli uomini: quelle, cioè, dove essi investono la loro identità profonda e orientano i loro atteggiamenti nei confronti della coscienza e delle condotte di altri. Non si vede perché dovrebbe essere impossibile, nel rispetto vicendevole, condividere come un bene a disposizione di tutti il rapporto personale e comunitario che le comunità religiose coltivano nei confronti di Dio. In ogni caso, non è certo un bene che questa esperienza sia coltivata clandestinamente, senza possibilità di libero riconoscimento e accesso da parte di tutti i membri della società. Lo spirito religioso coltiva la relazione con Dio come un bene che riguarda l’essere umano: la sincerità e la benedizione di questa convinzione devono poter essere verificate e apprezzate da tutti. Da qui scaturisce anche l’impegno dei credenti per migliorare la qualità del dialogo fra esperienza religiosa e vita sociale, in riferimento al comune interesse di superare la deriva del sapere sociale del senso verso l’indifferentismo e il relativismo radicale.

Il giusto discernimento della libertà religiosa

70. Non a tutte le possibili forme – individuali e collettive, storiche o recenti – dell’esperienza religiosa è possibile riconoscere lo stesso valore, come abbiamo avuto modo di segnalare. È necessario dunque vagliare le diverse forme di religiosità e confrontarle in merito alla loro attitudine a custodire il senso universale e il bene comune dell’essere insieme[78]. In questo senso, ognuna delle religioni attive in una società deve accettare di “presentarsi” davanti alle giuste esigenze della ragione “degna” dell’uomo. Spetta di fatto all’autorità politica, custode dell’ordine pubblico, difendere i cittadini, specialmente i più deboli, contro le derive settarie di talune pretese religiose (manipolazione psicologica e affettiva, sfruttamento economico e politico, isolazionismo…). Tra le giuste esigenze della ragione, nelle sue implicazioni giuridico-politiche si può annoverare – negli anni recenti – la reciprocità pacifica dei diritti religiosi, compreso quello della libertà di conversione[79]. Reciprocità pacifica dei diritti vuole dire che alla libertà di espressione e di pratica che in un paese è accordata ad una identità religiosa di minoranza, corrisponda un simmetrico riconoscimento di libertà per le minoranze religiose dei paesi in cui quella identità è invece maggioritaria. Questa reciprocità pacifica dei diritti supera il noto principio cuius regio eius et religio consacrato dalla pace di Augusta (1555). Il vincolo di una religione di Stato, che fu proposto in un certo momento della storia europea per arginare gli eccessi delle cosiddette “guerre di religione”, sembra ormai superato nell’attuale evoluzione del principio di cittadinanza, che implica la libertà di coscienza.

Le estensioni della libertà religiosa

71. Di fatto, in alcuni paesi non c’è alcuna libertà giuridica di religione mentre in altri la libertà giuridica è drasticamente limitata all’esercizio comunitario del culto o di pratiche strettamente private. In tali paesi non è consentita l’espressione pubblica di una credenza religiosa, in genere è vietata ogni forma di comunicazione religiosa, e pene severe, inclusa la pena di morte, sono riservate a chi desidera convertirsi o cerca di convertire altre persone. Nei paesi dittatoriali dove prevale un pensiero ateo, – e, con le dovute distinzioni, pure in alcuni paesi che si ritengono democratici – i membri delle comunità religiose sono spesso perseguitati o soggetti a trattamenti sfavorevoli sul posto di lavoro, sono esclusi dai pubblici uffici ed è loro precluso l’accesso a certi livelli di assistenza sociale. Ugualmente le opere sociali nate da cristiani (nell’ambito della sanità, dell’educazione…) sono sottoposte a limitazioni sul piano legislativo, finanziario o comunicativo, che rendono difficile se non impossibile il loro svolgimento. In tutte queste circostanze non vi è vera libertà di religione. Una vera libertà di religione è possibile solo se essa può esprimersi operosamente[80].

72. Una coscienza libera e consapevole ci consente di rispettare ogni individuo, di incoraggiare il compimento dell’uomo e di rifiutare un comportamento che danneggi l’individuo o il bene comune. La Chiesa si aspetta che i suoi membri possano vivere la loro fede liberamente e che i diritti della loro coscienza siano tutelati laddove rispettino i diritti degli altri. Vivere la fede può alle volte richiedere l’obiezione di coscienza. In effetti le leggi civili non obbligano in coscienza quando contraddicono l’etica naturale e perciò lo Stato deve riconoscere il diritto delle persone all’obiezione di coscienza[81]. Il legame ultimo della coscienza è con il Dio unico, Padre di tutti. Il rifiuto di questo rimando trascendente espone fatalmente alla proliferazione di altre dipendenze, secondo l’incisivo aforisma di sant’Ambrogio: «Quanti padroni ha, chi ne ha fuggito uno solo!»[82].

7. LA LIBERTÀ RELIGIOSA NELLA MISSIONE DELLA CHIESA

La libera testimonianza dell’amore di Dio

73. L’evangelizzazione non consiste soltanto nella fiduciosa proclamazione dell’amore salvifico di Dio, ma nell’attuazione di una vita fedele alla misericordia che Egli ha manifestato nell’evento di Gesù Cristo, per mezzo del quale la storia intera si apre all’attuazione del Regno di Dio. La missione della Chiesa include una duplice azione che si sviluppa nell’impegno per l’umanesimo della carità e nella dedizione per la responsabilità educativa delle generazioni.

74. In questo modo la Chiesa esprime la sua profonda unione con gli uomini e le donne, in ogni condizione di vita, mostrando speciale riguardo per i poveri e i perseguitati. In questa predilezione appare con chiarezza il senso della sua totale apertura alla condivisione delle speranze e delle angosce dell’umanità intera[83]. Questo dinamismo corrisponde alla verità della fede, secondo la quale l’umanità di Cristo, «uomo perfetto» (Ef 4, 13), è integralmente assunta e non annullata nell’incarnazione del Figlio[84]. E d’altra parte, il mistero della salvezza in Gesù Cristo implica la piena restituzione dell’umano – come una «creatura nuova» (2 Cor 5, 17) – alla sua originaria natura “d’immagine e somiglianza” di Dio[85]. In questo senso, la Chiesa è intrinsecamente orientata al servizio del mistero salvifico di Dio nel quale l’umanità degli uomini è radicalmente riscattata e pienamente realizzata. Questo servizio è propriamente un atto di adorazione di Dio, che rende gloria a Lui per la Sua alleanza con la creatura umana.

La Chiesa proclama la libertà religiosa per tutti

75. La libertà religiosa può essere realmente garantita soltanto nell’orizzonte di una visione umanistica aperta alla cooperazione e alla convivenza, profondamente radicata nel rispetto per la dignità della persona e per la libertà della coscienza. Del resto, mutilata di quest’apertura umanistica, che opera come lievito della cultura civile, la stessa esperienza religiosa perde il suo autentico fondamento nella verità di Dio, e diventa vulnerabile alla corruzione dell’umano[86]. La sfida è alta. Gli adattamenti della religione alle forme del potere mondano, pur se giustificati in nome della possibilità di ottenere migliori vantaggi per la fede, sono una tentazione costante e un rischio permanente. La Chiesa deve sviluppare una particolare sensibilità nel discernimento di questo compromesso, impegnandosi costantemente nella sua purificazione dai cedimenti alla tentazione della “mondanità spirituale”[87]. La Chiesa deve esaminare sé stessa per ritrovare con sempre rinnovato slancio la via della vera adorazione di Dio «in spirito e verità» (Gv 4, 23) e dell’amore «di prima» (Ap 2, 4). Essa deve aprire, proprio attraverso questa continua conversione, l’accesso del Vangelo all’intimità del cuore umano, in quel punto in cui esso cerca – segretamente e anche inconsapevolmente – il riconoscimento del vero Dio e della religione vera. Il Vangelo è realmente capace di smascherare la manipolazione religiosa, che produce effetti di esclusione, di avvilimento, di abbandono e di separazione fra gli uomini.

76. In definitiva, la visione propriamente cristiana della libertà religiosa attinge la sua più profonda ispirazione alla fede nella verità del Figlio fatto uomo per noi e per la nostra salvezza. Per mezzo di Lui, il Padre attrae a sé tutti i figli dispersi e tutte le pecore senza pastore (cf. Gv 10, 11-16; 12, 32; Mt 9, 36; Mc 6, 34). E lo Spirito raccoglie i gemiti (cf. Rom 8, 22), anche i più confusi e impercettibili, della creatura in ostaggio delle potenze del peccato, trasformandoli in preghiera. Lo Spirito di Dio agisce comunque, liberamente e con potenza. Dove però l’essere umano è messo in grado di esprimere liberamente il suo gemito e la sua invocazione, l’azione dello Spirito diventa riconoscibile per tutti coloro che cercano la giustizia della vita. E la sua consolazione si fa testimonianza di un’umanità riconciliata. La libertà religiosa libera lo spazio per la coscienza universale di appartenere ad una comunità di origine e di destino che non vuole rinunciare a tenere viva l’attesa di una giustizia della vita che siamo in grado di riconoscere, ma incapaci di onorare con le nostre sole forze. Il mistero della ricapitolazione in Cristo di ogni cosa, custodisce, per noi e per tutti, l’amorevole attesa dei frutti dello Spirito per ognuno, e l’emozionato annuncio della venuta del Figlio, per tutti (cf. Ef 1, 3-14).

Il dialogo interreligioso come via alla pace

77. Il dialogo interreligioso è favorito dalla libertà religiosa, nella ricerca del bene comune insieme con i rappresentanti di altre religioni. È una dimensione inerente alla missione della Chiesa[88]. Non è in quanto tale il fine dell’evangelizzazione, ma concorre grandemente ad essa; non va dunque compreso né attuato in alternativa o in contraddizione con la missione ad gentes[89]. Il dialogo illumina, già nella sua buona disposizione al rispetto e alla cooperazione, quella forma relazionale dell’amore evangelico che trova il suo ineffabile principio nel mistero trinitario della vita di Dio[90]. La Chiesa riconosce allo stesso tempo la particolare capacità dello spirito del dialogo di intercettare – e di alimentare – un’esigenza particolarmente sentita nell’ambito dell’odierna civiltà democratica[91]. La disponibilità al dialogo e la promozione della pace sono infatti strettamente congiunti. Il dialogo ci aiuta ad orientarci nella nuova complessità delle opinioni, dei saperi, delle culture: anche, e soprattutto, in materia di religione.

78. Nel dialogo sui temi fondamentali della vita umana, i credenti delle diverse religioni portano alla luce i valori più importanti della loro tradizione spirituale, e rendono più riconoscibile il loro genuino coinvolgimento con ciò che essi giudicano essenziale per il senso ultimo della vita umana, e per la giustificazione della loro speranza in una società più giusta e più fraterna[92]. La Chiesa è certamente disponibile ad entrare in dialogo, concreto e costruttivo, con tutti coloro che operano in vista di quella giustizia e di quella fraternità[93]. Nell’esercizio della missione evangelica attraverso il dialogo, il Vangelo fa risplendere ancor meglio la sua luce fra i popoli e le religioni.

Il coraggio del discernimento e del rifiuto della violenza in nome di Dio

79. Il cristianesimo stesso, d’altra parte, può cogliere, insieme con le inevitabili differenze – e anche dissonanze –, affinità e somiglianze che rendono ancora più apprezzabile l’universalismo della fede teologale[94]. Il diritto di ciascuno alla propria libertà religiosa è necessariamente connesso con il riconoscimento d’identico diritto a tutti gli altri, fatta salva la generale tutela dell’ordine pubblico[95]. In questa prospettiva, la questione della libertà religiosa si collega con il tema tradizionale della tolleranza civile. La vera libertà religiosa si deve conciliare con il rispetto della popolazione religiosa e – simmetricamente – anche di quella che non ha una specifica identità religiosa. Non si deve però trascurare che la semplice tolleranza relativistica, in questo campo, può condurre – anche in contraddizione con la sua intenzione di rispetto della religione – all’evoluzione del comportamento verso l’indifferenza nei confronti della verità della propria religione[96]. Quando, d’altra parte, la religione diventa una minaccia per la libertà religiosa di altri uomini, sia nelle parole che nei fatti, giungendo addirittura alla violenza in nome di Dio, si valica un confine che richiama l’energica denuncia in primo luogo da parte degli stessi uomini religiosi[97]. Per quanto riguarda il cristianesimo, il suo “congedo irrevocabile” dalle ambiguità della violenza religiosa, può essere considerato un kairòs favorevole al ripensamento del tema in tutte le religioni[98].

80. La ricerca di una piena adesione alla verità della propria religione e di un convinto atteggiamento di rispetto nei confronti delle altre religioni, può generare tensione all’interno della coscienza individuale, come anche della comunità religiosa. L’eventualità, tutt’altro che astratta, che ne scaturisca un dinamismo di critica dell’attuazione della propria religione, che nondimeno rimane interno ad essa, fa sorgere all’interno della stessa società civile, una recente problematica specifica della libertà religiosa. Non si tratta più soltanto di applicare la libertà religiosa al rispetto della religione degli altri, ma anche alla critica della propria. Questa situazione pone problemi delicati di equilibrio nell’applicazione della libertà religiosa. In questi casi la sfida della tutela della libertà religiosa raggiunge un punto-limite sia per la comunità civile, sia per la comunità religiosa. La capacità di tenere insieme la cura dell’integrità della fede comune, il rispetto per il conflitto di coscienza, l’impegno per la tutela della pace sociale chiedono la mediazione di una maturità personale e di una saggezza condivisa che devono essere sinceramente chieste come una grazia e un dono dall’Alto.

81. Il “martirio”, come suprema testimonianza non-violenta della propria fedeltà alla fede, fatta oggetto di specifico odio, intimidazione e persecuzione, è il caso-limite della risposta cristiana alla violenza mirata nei confronti della confessione evangelica della verità e dell’amore di Dio, introdotta nella storia – mondana e religiosa – nel nome di Gesù Cristo. Il martirio diventa così il simbolo estremo della libertà di opporre l’amore alla violenza e la pace al conflitto. In molti casi, la personale determinazione del martire della fede nell’accettare la morte è diventato seme di liberazione religiosa e umana per una moltitudine di uomini e donne, fino ad ottenere la liberazione dalla violenza e il superamento dell’odio. La storia dell’evangelizzazione cristiana lo attesta, anche attraverso l’avvio di processi e di mutamenti sociali di portata universale. Questi testimoni della fede sono giusto motivo di ammirazione e sequela da parte dei credenti, ma anche di rispetto da parte di tutti gli uomini e le donne che hanno a cuore la libertà, la dignità, la pace fra i popoli. I martiri hanno resistito alla pressione della rappresaglia, annullando lo spirito della vendetta e della violenza con la forza del perdono, dell’amore e della fraternità[99]. In questo modo, hanno reso evidente per tutti la grandezza della libertà religiosa come seme di una cultura della libertà e della giustizia.

82. A volte, le persone non vengono uccise in nome della loro pratica religiosa e tuttavia devono subire atteggiamenti profondamente offensivi, che li tengono ai margini della vita sociale: esclusione dai pubblici uffici, proibizione indiscriminata dei loro simboli religiosi, esclusione da taluni benefici economici e sociali…, in ciò che viene denominato “martirio bianco” come esempio di confessione della fede[100]. Questa testimonianza fornisce ancora oggi prova di sé in molte parti del mondo: non deve essere attenuata, come se fosse un semplice effetto collaterale dei conflitti per la supremazia etnica o per la conquista del potere. Lo splendore di questa testimonianza deve essere ben compreso e ben interpretato. Esso ci istruisce sul bene autentico della libertà religiosa nel modo più limpido ed efficace. Il martirio cristiano mostra a tutti ciò che accade quando la libertà religiosa dell’innocente è osteggiata e uccisa: il martirio è la testimonianza di una fede che rimane fedele a sé stessa rifiutandosi fino all’ultimo di vendicarsi e di uccidere. In questo senso il martire della fede cristiana non ha nulla a che fare con il suicida-omicida nel nome di Dio: una tale confusione è già in se stessa una corruzione della mente e una ferita dell’anima.  

CONCLUSIONE

83. Il cristianesimo non chiude la storia della salvezza entro i confini della storia della Chiesa. Piuttosto, nel solco della lezione del Concilio Vaticano II e nell’orizzonte dell’Enciclica Ecclesiam suam di san Paolo VI, la Chiesa apre l’intera storia umana all’azione dell’amore di Dio, il quale «vuole che tutti gli uomini siano salvi e giungano alla conoscenza della verità» (1 Tm 2, 4). La forma missionaria della Chiesa, iscritta nella disposizione stessa della fede, obbedisce alla logica del dono, ossia della grazia e della libertà, non a quella del contratto e dell’imposizione. La Chiesa è consapevole del fatto che, anche con le migliori intenzioni, questa logica è stata contraddetta – e sempre è a rischio di esserlo – a motivo di comportamenti difformi e incoerenti con la fede ricevuta. Nondimeno, noi cristiani professiamo con umile fermezza la nostra convinzione che la Chiesa sia sempre guidata dal Signore e sorretta dallo Spirito lungo la strada della sua testimonianza dell’azione salvifica di Dio nella vita di tutti i singoli e di tutti i popoli. E sempre nuovamente s’impegna ad onorare la sua vocazione storica, annunciando il vangelo della vera adorazione di Dio in spirito e verità. Lungo questa strada, in cui la libertà e la grazia s’incontrano nella fede, la Chiesa si rallegra di essere confermata dal Signore, che l’accompagna, e di essere sospinta dallo Spirito che la precede. Sempre di nuovo, perciò, dichiara la propria ferma intenzione di convertirsi alla fedeltà del cuore, del pensiero e delle opere che ristabiliscono la purezza della sua fede.

84. La testimonianza della fede cristiana abita il tempo e lo spazio della vita personale e comunitaria che sono propri della condizione umana. I cristiani sono consapevoli del fatto che questo tempo e questo spazio non sono spazi vuoti. E neppure spazi indistinti, ossia neutri e indifferenziati rispetto al senso, ai valori, alle convinzioni e ai desideri che danno forma alla cultura propriamente umana della vita. Essi sono spazi e tempi abitati dal dinamismo delle comunità e delle tradizioni, delle aggregazioni e delle appartenenze, delle istituzioni e del diritto. La più forte coscienza del pluralismo dei diversi modi di riconoscere e di attingere il senso della vita individuale e collettiva, che concorre alla formazione del consenso etico e alla manifestazione dell’assenso religioso, impegna giustamente la Chiesa nell’elaborazione di uno stile della testimonianza di fede assolutamente rispettoso della libertà individuale e del bene comune. Questo stile, lungi dall’attenuare la fedeltà all’evento salvifico, che è il tema dell’annuncio della fede, deve rendere ancora più trasparente la sua distanza da uno spirito di dominio, interessato alla conquista del potere fine a sé stesso. Proprio la fermezza con la quale il magistero definisce oggi l’uscita teologica da questo equivoco, consente alla Chiesa di sollecitare una più coerente elaborazione della dottrina politica.

85. Come membri del Popolo di Dio, ci proponiamo umilmente di rimanere fedeli al mandato del Signore, che invia i discepoli a tutti i popoli della terra per annunciare il Vangelo della misericordia di Dio (cf. Mt 28, 19-20; Mc 16, 15), Padre di tutti, per aprire liberamente i cuori alla fede nel Figlio, fatto uomo per la nostra salvezza. La Chiesa non confonde la propria missione con il dominio dei popoli del mondo e il governo della città terrena. Piuttosto vede nella pretesa di una reciproca strumentalizzazione del potere politico e della missione evangelica una tentazione maligna. Gesù rigettò l’apparente vantaggio di tale progetto come una seduzione diabolica (cf. Mt 4, 8-10). Egli stesso respinse chiaramente il tentativo di trasformare il conflitto con i custodi della legge (religiosa e politica) in un conflitto indirizzato alla sostituzione del potere di governo delle istituzioni e della società. Gesù mise chiaramente in guardia i suoi discepoli anche sulla tentazione di conformarsi, nella cura pastorale della comunità cristiana, ai criteri e allo stile dei potenti della terra (cf. Mt 20, 25; Mc 10, 42; Lc 22, 25). Il cristianesimo sa bene, dunque, quale significato e quale immagine deve assumere l’evangelizzazione del mondo. La sua apertura al tema della libertà religiosa è dunque una chiarificazione coerente con lo stile di un annuncio evangelico e di un appello alla fede che presuppongono l’assenza d’indebiti privilegi di certe politiche confessionali e la difesa dei giusti diritti della libertà di coscienza. Questa chiarezza, nello stesso tempo, richiede il pieno riconoscimento della dignità della professione di fede e della pratica del culto nella sfera pubblica. Nella logica della fede e della missione, la partecipazione attiva e riflessiva alla pacifica costruzione del legame sociale, come anche la generosa condivisione dell’interesse per il bene comune, sono implicazioni della testimonianza cristiana.

86. L’impegno culturale e sociale dell’agire credente, che si esprime anche nella costituzione di aggregazioni intermedie e nella promozione di iniziative pubbliche, è pure una dimensione di questo impegno, che i cristiani sono chiamati a condividere con ogni uomo e donna del loro tempo, indipendentemente dalle differenze di cultura e di religione. Nel dire “indipendentemente” non s’intende, naturalmente, che queste differenze devono essere ignorate e considerate insignificanti. Significa piuttosto che esse devono essere rispettate e giudicate come componenti vitali della persona e valorizzate congruamente nella ricchezza dei loro apporti alla vitalità concreta della sfera pubblica. La Chiesa non ha alcun motivo per scegliere una via della testimonianza diversa. Tutto sia fatto, raccomanda l’Apostolo Pietro, «con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza, perché nel momento stesso in cui si parla male di voi, rimangano svergognati quelli che malignano sulla vostra buona condotta in Cristo» (1 Pt 3, 16). E non si vede nessun ragionevole argomento che debba imporre allo Stato di escludere la libertà della religione nel partecipare alla riflessione e alla promozione delle ragioni del bene comune nell’ambito della sfera pubblica. Lo Stato non può essere né teocratico, né ateo, né “neutro” (come indifferenza che finge l’irrilevanza della cultura religiosa e dell’appartenenza religiosa nella costituzione del soggetto democratico reale); piuttosto è chiamato a esercitare una “laicità positiva” nei confronti delle forme sociali e culturali che assicurano il necessario e concreto rapporto dello Stato di diritto con la comunità effettiva degli aventi diritto.

87. In questo modo il cristianesimo si dispone a sostenere la speranza di una comune destinazione all’approdo escatologico di un mondo trasfigurato, secondo la promessa di Dio (cf. Ap 21, 1-8). La fede cristiana è consapevole del fatto che questa trasfigurazione è un dono dell’amore di Dio per la creatura umana e non il risultato dei propri sforzi di migliorare la qualità della vita personale o sociale. La religione esiste per tenere desta questa trascendenza del riscatto della giustizia della vita e del compimento della sua storia. Il cristianesimo, in particolare, è fondato sull’esclusione del delirio di onnipotenza di ogni messianismo mondano, laico o religioso che sia, il quale porta sempre schiavitù dei popoli e distruzione della casa comune. La cura del creato, affidato sin dall’inizio all’alleanza dell’uomo e della donna (cf. Gen 1, 27-28), e l’amore del prossimo (cf. Mt 22, 39), che sigilla la verità evangelica dell’amore di Dio, sono il tema di una responsabilità sulla quale tutti saremo giudicati – i cristiani per primi – alla fine del tempo donatoci da Dio per convertirci al suo amore. Il Regno di Dio è già in azione nella storia, in attesa dell’avvento del Signore, che ci introdurrà nel suo compimento. Lo Spirito che dice «Vieni!» (Ap 22, 17), che raccoglie i gemiti della creazione (cf. Rom 8, 22) e fa «nuove tutte le cose» (Ap 21, 5) porta nel mondo il coraggio della fede che sostiene (cf. Rom 8, 1-27), in favore di tutti, la bellezza della «ragione [logos] della speranza» (1 Pt 3, 15) che è in noi. E la libertà, per tutti, di ascoltarlo e di seguirlo.


[1] Il Concilio intendeva discernere il significato della libertà religiosa tenendo conto non solo della comprensione su di essa delle comunità ecclesiali ma anche di quella dei governi, delle istituzioni, della stampa, dei giuristi del tempo. Si veda la spiegazione di A. J. De Smedt, Relatio (23 settembre 1964), AS III/2, 349. Un riferimento rilevante in merito sarebbe stata la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (1948), ma anche altre espressioni del pensiero filosofico e giuridico. La Commissione Teologica Internazionale ha proposto una gerarchia dei diversi diritti dell’uomo, rimandando ai vari Documenti internazionali dove vengono presentati: Dignità e diritti della persona umana (1983), Introd., 2.

[2] Cf., fra gli altri, gli studi di J. Hamer – Y. Congar (dir.), La liberté religieuse. Déclaration “Dignitatis humanae personae”, Cerf, Paris 1967; R. Minnerath, Le droit de l’Église à la liberté. Du Syllabus à Vatican II, Beauchesne, Paris 1982, 123-159; D. Gonnet, La liberté religieuse à Vatican II. La contribution de John Courtney Murray, Cerf, Paris 1994; S. Scatena, La fatica della libertà. L’elaborazione della dichiarazione “Dignitatis Humanae” sulla libertà religiosa del Vaticano II, Il Mulino, Bologna 2003; R. A. Siebenrock, “Theologischer Kommentar zur Erklärung über die religiöse Freiheit Dignitatis humanae” in: P. Hünermann – B. J. Hilberath (Hg.), Herders theologischer Kommentar zum Zweiten Vatikanischen Konzil, Bd. IV, Herder, Freiburg – Basel – Wien 2005, 125-218; G. del Pozo, La Iglesia y la libertad religiosa, BAC, Madrid 2007, 179-244; R. Latala – J. Rime (éd.), Liberté religieuse et Église catholique. Héritage et développements récents, Academic Press Fribourg, Fribourg 2009, 9-30; J. L. Martínez, Libertad religiosa y dignidad humana. Claves católicas de una gran conexión, San Pablo – UPC, Madrid 2009, 65-130; D. L. Schindler – N. J. Healey Jr., Freedom, Truth, and Human Dignity. The Second Vatican Council’s Declaration on Religious Freedom. A New Translation, Redaction History, and Interpretation of Dignitatis Humanae, Eerdmans, Grand Rapids (Michigan) – Cambridge (U.K.) 2015; P. Coda – P. Gamberini, Dignitatis humanae. Introduzione e commento, in: S. Noceti – R. Repole (ed.), Ad gentes. Nostra aetate. Dignitatis humanae (Commentario ai Documenti del Vaticano II, 6), Dehoniane, Bologna 2018, 611-695.

[3] Cf. Gregorio XVI, Let. Enc. Mirari vos arbitramur (15 agosto 1832); Pio IX, Let. Enc. Quanta cura (8 dicembre 1864).

[4] Cf. Pio XII, Radiomessagio natalizio “Benignitas et Humanitas” ai popoli del mondo intero (24 dicembre 1944): AAS 37 (1945), 10-23.

[5] San Giovanni XXIII, Let. Enc. Pacem in terris (11 aprile 1963), n. 18: AAS 55 (1963), 261.

[6] Cf. ibid., nn. 9, 14, 45-46, 64, 75: AAS 55 (1963), 260-261, 268-269, 275, 279. Queste prospettive diventeranno costanti dal Concilio Vaticano II in avanti: cf. Concilio Ecumenico Vaticano II, Cost. Past. Gaudium et spes (7 dicembre 1965), n. 17; san Giovanni Paolo II, Let. Enc. Veritatis Splendor (6 agosto 1993), nn. 35-41: AAS 85 (1993), 1161-1166; Catechismo della Chiesa Cattolica (1997), nn. 1731-1738; Benedetto XVI, Let. Enc. Caritas in veritate (29 giugno 2009), nn. 9, 17: AAS 101 (2009), 646-647, 652-653.

[7] Si veda in merito più avanti i nn. 41, 42, 76.

[8] Cf. anche Concilio Ecumenico Vaticano II, Dich. Nostra aetate (28 ottobre 1965), nn. 1, 5.

[9] Nel riferirsi all’ateismo il Concilio offre una descrizione esistenziale della condizione religiosa come appartenente all’esperienza comune degli uomini (cf. Concilio Ecumenico Vaticano II, Cost. Past. Gaudium et spes, nn. 19-21). È una riflessione permanente nei testi ecclesiali postconciliari. Si vedano le sintesi del Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 27-30 oppure del Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa (2004), nn. 14-15. Anche i documenti della Commissione Teologica Internazionale, Il cristianesimo e le religioni (1997), nn. 107-108; Dio Trinità, unità degli uomini. Il monoteismo cristiano contro la violenza (2014), nn. 1-2.

[10] Si veda più avanti n. 44. Una sintesi rilevante sulla dottrina ecclesiale in Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, nn. 421-423.

[11] Cf. san Paolo VI, Let. Enc. Ecclesiam suam (6 agosto 1964), nn. 30, 72, 81, 90 et passim: AAS 56 (1964), 618-619, 641-642, 644, 646-647; Discorso al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede (14 gennaio 1978): AAS 70 (1978), 168-174.

[12] San Giovanni Paolo II, Let. Enc. Redemptoris missio (7 dicembre 1990), n. 39: AAS 83 (1991), 286-287.

[13] Id., Messaggio per la celebrazione della XXI Giornata Mondiale della Pace: “La libertà religiosa, condizione per la pacifica convivenza” (1 gennaio 1988): AAS 80 (1988), 278-286.

[14] Cf. Id., Let. Enc. Redemptor hominis (4 marzo 1979), nn. 12b-c, 17f-i: AAS 71 (1979), 279-281, 297-300; Incontro con esponenti delle religioni non cristiane (5 febbraio 1986), Madras, n. 5: AAS 78 (1986), 766-771; Es. Ap. Christifideles laici (30 dicembre 1988), n. 39: AAS 81 (1989) 466-468; Messaggio per la celebrazione della XXI Giornata Mondiale della Pace: “La libertà religiosa, condizione per la pacifica convivenza”: AAS 80 (1988), 278-286; Messaggio per la celebrazione della XXII Giornata Mondiale della Pace: “Per costruire la pace rispettare le minoranze” (1 gennaio 1989): AAS 81 (1989), 95-103; Messaggio per la celebrazione della XXIV Giornata Mondiale della Pace: “Se vuoi la pace, rispetta la coscienza di ogni uomo” (1 gennaio 1991): AAS 83 (1991), 410-421.

[15] Cf. Benedetto XVI, Messaggio per la celebrazione della XLIV Giornata Mondiale della Pace: “Libertà religiosa, via per la pace” (1 gennaio 2011): AAS 103 (2011), 46-58. Si vedano anche: Let. Enc. Caritas in veritate, n. 29: AAS 101 (2009), 663-664; Discorso al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede (12 maggio 2005): AAS 97 (2005), 789-791; Discorso alla Curia romana in occasione della presentazione degli auguri natalizi (22 dicembre 2006): AAS 99 (2007), 26-36; “Fede, ragione e università. Ricordi e riflessioni”. Discorso nell’incontro con i rappresentanti della scienza (12 settembre 2006), Ratisbona: AAS 98 (2006), 728-739; Discorso al  Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede (10 gennaio 2011): AAS 103 (2011), 100-107; Discorso alle autorità civili (17 settembre 2010), Westminster: AAS 102 (2010), 633-635; Discorso ai rappresentanti istituzionali e laici di altre religioni (17 settembre 2010), London Borough of Richmond: AAS 102 (2010), 635-639; Omelia (28 marzo 2012), L’Avana: AAS 104 (2012), 322-326.

[16] Id., Messaggio per la celebrazione della XLIV Giornata Mondiale della Pace: “Libertà religiosa, via per la pace” (1 gennaio 2011), n. 4: AAS 103 (2011), 49-50. Per il significato dell’espressione di “laicità positiva” si veda più avanti nota 72. Benedetto XVI propone in altre occasioni il termine di “sana laicità” per identificare la modalità valida di rapporto fra la dimensione etico-religiosa e la politica «[…] dove la dimensione religiosa, nella diversità delle sue espressioni, è non solo tollerata, ma valorizzata quale “anima” della Nazione e garanzia fondamentale dei diritti e dei doveri dell’uomo» (Udienza generale [30 aprile 2008]). Già Pio XII aveva parlato di “legittima sana laicità dello Stato” (Discorso ai marchigiani residenti a Roma [23 marzo 1958]: AAS 50 [1958], 220).

[17] Cf. Francesco, Es. Ap. Evangelii gaudium (24 novembre 2013), n. 257: AAS 105 (2013), 1123; Discorso nell’incontro con le autorità (28 novembre 2014), Ankara: AAS 106 (2014), 1017-1019; Discorso nell’incontro con i leaders di altre religioni e altre denominazioni cristiane (21 settembre 2014), Tirana: Enchiridion Vaticanum. Documenti ufficiali della Santa Sede, vol. 30 (2014), Dehoniane, Bologna 2016, 1023-1027; Discorso per la libertà religiosa nell’incontro con la comunità ispanica e altri immigrati (26 settembre 2015), Filadelfia: AAS 107 (2015), 1047-1052.

[18] Benedetto XVI, Discorso alla Curia romana in occasione della presentazione degli auguri natalizi (22 dicembre 2005): AAS 98 (2006), 46. Cf. Francesco, Es. Ap. Evangelii gaudium, nn. 26-30: AAS 105 (2013), 1030-1033.

[19] Cf. Concilio Ecumenico Vaticano II, Cost. Past. Gaudium et spes, n. 53c; san Paolo VI, Es. Ap. Evangelii nuntiandi (8 dicembre 1975), nn. 18-20: AAS 68 (1976), 17-19; san Giovanni Paolo II, Let. Enc. Slavorum Apostoli (2 giugno 1985), n. 21: AAS 77 (1985), 802-803; Francesco, Es. Ap. Evangelii gaudium, nn. 116-117: AAS 105 (2013), 1068-1069; Commissione Teologica Internazionale, Fede e inculturazione (1988), n. 1.11. Per la distinzione fra “inculturazione” e “interculturalità” si veda J. Ratzinger, “Christ, Faith and The Challenge of Cultures”. Meeting with the Doctrinal Commissions in Asia, Hong-Kong, March 2-5, 1993 (si veda il testo nel sito ufficiale http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/index_it.htm [data di consultazione 09.01.2019]).

[20] Commissione Teologica Internazionale, Comunione e servizio. La persona umana creata a immagine di Dio (2004), n. 41, che rimanda la socialità costitutiva alla sua radice ultima nel mistero trinitario: «Nella prospettiva cristiana, questa identità personale, che è anche un orientamento verso l’altro, si fonda essenzialmente sulla Trinità delle Persone divine»; cf. anche nn. 42-43. Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, n. 149: «La persona è costitutivamente un essere sociale, perché così l’ha voluta Dio che l’ha creata».

[21] Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, art. 18: «Ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare di religione o di credo, e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, e sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nell’insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell’osservanza dei riti».

[22] Si veda in merito Commissione Teologica Internazionale, Dignità e diritti della persona umana (1983), n. A; Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, nn. 144-148.

[23] A. M. S. Boethius, Contra Eutychen et Nestorium, in C. Moreschini (ed.), De consolatione philosophiae. Opuscula theologica (= Bibliotheca scriptorum graecorum et romanorum teubneriana), Saur, Monachii – Lipsiae 2000, 206–241, 214. Cf. sancti Bonaventurae, Commentaria in quatuor libros sententiarum Magistri Petri Lombardi, I, d. 25, a. 1, q. 2, in: Opera omnia, vol. I, Typographia Collegii S. Bonaventurae, Ad Claras Aquas 1882, 439-441; sancti Thomae Aquinatis, Summa Theologiae, Ia, q. 29, a. 1, in: Opera omnia iussu Leonis XIII P.M. edita, vol.1, ex Typographia Polyglotta, Romae 1888, 327-329.

[24] Cf. sancti Thomae Aquinatis, Summa contra gentiles, II, c. 68, in: Opera omnia iussu Leonis XIII P.M. edita, vol.13, Typis Riccardi Garroni, Romae 1918, 440-441. Cf. Concilio di Vienne (DenzH 902); Concilio V Lateranense (DenzH 1440); Concilio Ecumenico Vaticano II, Cost. Past. Gaudium et spes, n. 14; Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 362-368.

[25] Commissione Teologica Internazionale, Comunione e servizio, n. 31.

[26] La Sacra Scrittura è costante nel suo insegnamento al riguardo: «Non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo che è in voi?» (1 Cor 6, 19). Pertanto, in Cristo, come insegna il Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 999: «“tutti risorgeranno coi corpi di cui ora sono rivestiti” (DenzH 801), ma questo corpo sarà trasfigurato in corpo glorioso (cf. Fil 3, 21), in “corpo spirituale” (1 Cor 15, 44)». Si veda anche Commissione Teologica Internazionale, Comunione e servizio, nn. 26-31.

[27] Benedetto XVI, Discorso al Bundestag (22 settembre 2011), Berlin: AAS 103 (2011), 663-669.

[28] Commissione Teologica Internazionale, Alla ricerca di un’etica universale: nuovo sguardo sulla legge naturale (2009), n. 67.

[29] Ibid.

[30] Ibid. Si veda anche Commissione Teologica Internazionale, Dignità e diritti della persona umana, n. A.II.1. Sul rapporto creativo fra teologia e filosofia si veda la sintesi di san Giovanni Paolo II, Let. Enc. Fides et ratio (1998), nn. 73-79: AAS 91 (1999), 61-67.

[31] Sulle implicazioni teologiche della concezione dell’essere umano come “imago Dei”, cf. Commissione Teologica Internazionale, Comunione e servizio, cap. 2.

[32] Cf. Commissione Teologica Internazionale, Dignità e diritti della persona umana, n. A.II.1; anche Id., Comunione e servizio, nn. 40-43.

[33] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1778.

[34] Cf. sancti Thomae Aquinatis, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 19, a. 5, in: Opera omnia iussu Leonis XIII P.M. edita, vol. 6, Ex Typographia Polyglotta, Romae 1891, 145-146.

[35] Concilio Ecumenico Vaticano II, Cost. Past. Gaudium et spes, n. 16.

[36] Id., Cost. Dogm. Dei Verbum (18 novembre 1965), n. 5.

[37] Cf. Commissione Teologica Internazionale, Memoria e riconciliazione. La Chiesa e le colpe del passato (2000), n. 5.3.

[38] Nella cultura romana, Virgilio descrive acutamente come la Dea Giunone, per vendicarsi di Enea, manda la Furia Aletto a seminare odio e divisione nei cuori degli abitanti del Lazio, con il risultato effettivo che scatta una guerra crudele, piena di gelosie e rancori, e il giovane eroe non può raggiungere il suo proposito. Cf.Vergilii, Aeneis, VII, 341-405 in: O. Ribbeck (ed.), P. Vergilii Maronis Opera, Lipsiae, Teubner 1895, 554-557, tr. it., Virgilio, Eneide, vol. IV, Fondazione Lorenzo Valla – Arnoldo Mondadori Editori, Roma – Milano 20086, 28-32.

[39] Concilio Ecumenico Vaticano II, Cost. Past. Gaudium et spes, n. 25a: «[L]a persona umana, che di natura sua ha assolutamente bisogno d’una vita sociale, è e deve essere principio, soggetto e fine di tutte le istituzioni sociali».

[40] Cf. I. Kant, Critica della ragion pratica, Editori Laterza, Bari 1997, Parte I, lib. I, cap. III, A 156 (191). Commissione Teologica Internazionale, Alla ricerca di un’etica universale, n. 84: «La persona è al centro dell’ordine politico e sociale perché è un fine e non un mezzo».

[41] Cf. ibid., n. 41; Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, nn. 110, 149.

[42] Cf. Commissione Teologica Internazionale, Alla ricerca di un’etica universale, n. 38.

[43] Cf. Id., Comunione e servizio, nn. 41-45; Id., Fede e inculturazione, n. 1.6.

[44] Cf. J. Ratzinger-Benedetto XVI, “La moltiplicazione dei diritti e la distruzione dell’idea di diritto” in: Liberare la libertà. Fede e politica nel Terzo Millennio, Cantagalli, Siena 2018, 9-15.

[45] In occasione del 60º anniversario della Dichiarazione dei diritti dell’uomo, la Santa Sede ha richiamato l’attenzione sul fatto che esiste oggi anche un problema di arbitrario riconoscimento di mere opzioni e inclinazioni, ideologicamente manipolate, che poco hanno a che fare con gli autentici diritti dell’uomo. In molti casi, l’idoneità di questi contenuti a rappresentare la dignità dell’umano universale non è realmente passata al vaglio del suo effettivo apporto al bene comune (cf. Mons. S. M. Tommasi, Intervento alla sesta sessione ordinaria del Consiglio dei diritti dell’uomo [10 dicembre 2007], Ginevra).

[46] Commissione Teologica Internazionale, Comunione e servizio, n. 36.

[47] Cf. san Giovanni Paolo II, Let. Ap. Mulieris dignitatem (15 agosto 1988), nn. 12-16: AAS 80 (1988), 1681-1692.

[48] Cf. Id., Es. Ap. Familiaris consortio (22 novembre 1981), nn. 22-24: AAS 74 (1982), 84-91; Id., Let. Ap. Mulieris dignitatem, n. 1: AAS 88 (1988), 1653-1655.

[49] Cf. Id., Es. Ap. Familiaris consortio, nn. 4-10, 36-41: AAS 74 (1982), 84-91, 126-133. Si vedano le sfide recenti identificate da Francesco, Es. Ap. Amoris laetitia (19 marzo 2016), nn. 50-57: AAS 108 (2016), 331-335. Cf. Commissione Teologica Internazionale, Alla ricerca di un’etica universale, nn. 35, 92.

[50] È questo uno dei contributi ormai recepiti della lezione di P. Ricoeur (si veda, ad esempio, P. Ricoeur, Temps et récit. 1. L’intrigue et le récit historique, Le Seuil, Paris 1983).

[51] Cf. Concilio Ecumenico Vaticano II, Cost. Dogm. Dei Verbum, nn. 7-8; Cost. Dogm. Lumen Gentium (21 novembre 1964), nn. 3-4 et passim. Anche Commissione Teologica Internazionale, Temi scelti d’ecclesiologia (1984) n. 1.1-5.

[52] Cf. Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, n. 151.

[53] Rimane di riferimento in merito il dialogo sostenuto da J. Habermas – J. Ratzinger, Ragione e fede in dialogo. Le idee di Benedetto XVI a confronto con un grande filosofo, Marsilio, Venezia 2005.

[54] Cf. Francesco, Let. Enc. Laudato si’ (24 maggio 2015), nn. 137-162: AAS 107 (2015), 902-912.

[55] Il concetto di corpi intermedi appartiene originariamente alla dottrina sociale della Chiesa. Già Papa Leone XIII, in: Leo XIII, Let. Enc. Rerum novarum (15 maggio 1891), lo propone nei nn. 10-11 (sulla famiglia) e nei nn. 38 e 41 (per altre associazioni: societates/sodalitates): ASS 23 (1891) 646, 665-666; san Giovanni XXIII, in Let. Enc. Mater et Magistra (15 maggio 1961), n. 52: AAS 53 (1961), 414, afferma: «Inoltre riteniamo necessario che i corpi intermedi e le molteplici iniziative sociali, in cui anzitutto tende ad esprimersi e ad attuarsi la socializzazione, godano di una effettiva autonomia nei confronti dei poteri pubblici, e perseguano i loro specifici interessi in rapporto di leale collaborazione fra essi, subordinatamente alle esigenze del bene comune. Ma non è meno necessario che detti corpi presentino forma e sostanza di vere comunità; e cioè che i rispettivi membri siano in essi considerati e trattati come persone e siano stimolati a prender parte attiva alla loro vita». San Giovanni Paolo II lo riprende in Let. Enc. Centesimus annus (1 maggio 1991), n. 13: AAS 83 (1991), 809-810. L’idea decisiva non è quella di “corpi”, ma quella di “intermedi”. Ogni gruppo intermedio deve essere cosciente della sua funzione di mediazione nel seno dell’intera società e per il servizio del bene comune.

[56] Cf. Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, nn. 185-186, 394; anche Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 1880-1885 sul principio di sussidiarietà.

[57] Si vedano in merito Concilio Ecumenico Vaticano II, Dec. Inter mirifica (4 dicembre 1963); san Giovanni Paolo II, Let. Ap. Il rapido sviluppo (24 gennaio 2005): AAS 97 (2005), 188-190; Id., Let. Enc. Redemptoris missio, n. 37: AAS 83 (1991), 282-286; Id., Messaggio per la XXXVI Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali: “Internet: un nuovo Forum per proclamare il Vangelo” (24 gennaio 2002): EV 21 (2002), 29-36; Francesco, Messaggio per la L Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali: “Comunicazione e misericordia: un incontro fecondo” (24 gennaio 2016): AAS 108 (2016), 157-160; Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, La Chiesa e Internet (2 febbraio 2002), n. 4.

[58] Cf. S. C. Mimouni, Le judaïsme ancien du VIe siècle avant notre ère au IIIe siècle de notre ère: des prêtres aux rabbins, Presses Universitaires de France, Paris 2012, 7 ss.; 381 ss.; 397 ss.

[59] Si veda il commento del Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, n. 379.

[60] Cf. C. Plini Secundi, Epist., X, 96 in R.A.B. Mynors (ed.), C. Plini Secundi epistularum libri decem, Clarendon Press, Oxford 1963, 338-340, tr. it., Plinio il Giovane, Lettere, Libro decimo. Il panegirico di Traiano, Zanichelli, Bologna 1986, 105-109.

[61] La persecuzione a causa della fede e la confessione martiriale segnano la riflessione dell’Apocalisse, alla luce del primo testimone fedele che è Cristo (cf. Ap 1, 5; 7, 9-17; 13-14; ecc.).

[62] Cf. sancti Aurelii Augustini, De civitate Dei, XIX, 17 (CCSL 48, 683-685).

[63] Lo stesso sant’Agostino arriverà ad aderire alla necessità di un “controllo religioso” da parte dello Stato. Il mutamento di opinione è presentato come necessario in conseguenza del fatto che gli eretici e gli scismatici, per primi, fanno appello al “potere civile” per vedere riconosciuta la legittimità della loro deviazione religiosa nei confronti della retta fede cristiana (cf. sancti Aurelii Augustini, Epistula XCIII, 12-13.17 [CCSL 31A, 175-176.179-180]; anche Epistula CLXXIII, 10 [PL 33, 757]; Sermo XLVI, 14 [CCSL 41, 541]).

[64] In contesti storici molto diversi, Gelasius, Epistula “Famuli vestrae pietatis” ad Anastasium I imperatorem (494; DenzH347). Cf. Leo XIII, Let. Enc. Immortale Dei (1 novembre 1885), n. 6: ASS 18 (1885), 166, per l’adeguata distinzione ma non separazione radicale fra l’ordine politico e l’ordine religioso.

[65] Concilio Ecumenico Vaticano II, Cost. Past. Gaudium et spes, n. 76c: «La comunità politica e la Chiesa sono indipendenti e autonome l’una dall’altra nel proprio campo. Ma tutte e due, anche se a titolo diverso, sono a servizio della vocazione personale e sociale degli stessi uomini. Esse svolgeranno questo loro servizio a vantaggio di tutti in maniera tanto più efficace, quanto più coltiveranno una sana collaborazione tra di loro, secondo modalità adatte alle circostanze di luogo e di tempo. L’uomo infatti non è limitato al solo orizzonte temporale, ma, vivendo nella storia umana, conserva integralmente la sua vocazione eterna». Si vedano anche le precisazioni offerte dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica (24 novembre 2002), n. 6.

[66] Cf. Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, n. 167.

[67] Cf. ibid., n. 396.

[68] Per un ampio panorama storico e sociologico dello svolgimento del cosiddetto “umanesimo esclusivo”, inteso come unico spazio pubblico di riferimento, cf. C. Taylor, A Secular Age, The Belknap Press of Harvard University Press, Cambridge – Massachusetts – London (England) 2007.

[69] Il fenomeno succede spesso anche in continenti come l’Asia, sia pure in un contesto differente: «Il limite alla libertà religiosa in molte costituzioni si esprime attraverso la clausola “ammesso che non sia contrario ai doveri civili o all’ordine pubblico o alla retta morale”. Il bene comune e l’ordine pubblico vengono tuttavia definiti dalla cerchia di potere e in certe occasioni la frase “soggetto alla legge, all’ordine pubblico o alla moralità” è stata utilizzata per negare de facto la libertà a taluni gruppi» (FABC Office of Theological Concerns, FABC Papers, n. 112, “Religious Freedom in the Context of Asia”, 7). Soprattutto nella situazione delle minoranze, è decisivo che le autorità dello Stato assicurino un “uguale rispetto per tutte le religioni”, in quanto queste sono capaci di custodire il senso universale e il bene comune (cf. infra n. 70).

[70] Francesco, Discorso nell’incontro con i leaders di altre religioni e altre denominazioni cristiane (21 settembre 2014), Tirana: EV 30 (2014), 1514-1524, 1515.

[71] In riferimento a questa mentalità la Congregazione per la Dottrina della Fede ricorda che «[n]essun fedele tuttavia può appellarsi al principio del pluralismo e dell’autonomia dei laici in politica, favorendo soluzioni che compromettano o che attenuino la salvaguardia delle esigenze etiche fondamentali per il bene comune della società» (Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica [24 novembre 2002], n. 5).

[72] «[…] la bella espressione di “laicità positiva” per qualificare questa comprensione più aperta. In questo momento storico in cui le culture s’incrociano tra loro sempre di più, sono profondamente convinto che una nuova riflessione sul vero significato e sull’importanza della laicità è divenuta necessaria. E’ fondamentale infatti, da una parte, insistere sulla distinzione tra l’ambito politico e quello religioso al fine di tutelare sia la libertà religiosa dei cittadini che la responsabilità dello Stato verso di essi e, dall’altra parte, prendere una più chiara coscienza della funzione insostituibile della religione per la formazione delle coscienze e del contributo che essa può apportare, insieme ad altre istanze, alla creazione di un consenso etico di fondo nella società» (Benedetto XVI, Discorso nell’incontro con le autorità dello Stato all’Elysée [12 settembre 2008], Parigi: Insegnamenti di Benedetto XVI 4/2 (2008), Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2009, 265-269, 267).

[73] San Giovanni Paolo II utilizza la categoria del bene dell’«essere insieme» riguardo la famiglia nella Let. Gratissimam sane (2 febbraio 1994), n. 15g: AAS 86 (1994), 897. Francesco parla di «stare insieme nella prossimità» per «promuovere il riconoscimento reciproco» (Es. Ap. Amoris laetitia, n. 276: AAS 108 [2016], 421-422).

[74] Francesco parlò di una «terza guerra combattuta “a pezzi”, con crimini, massacri, distruzioni…», nell’Omelia della Santa Messa al Sacrario Militare di Redipuglia nel centenario dell’inizio della Prima Guerra Mondiale (13 settembre 2014): AAS 106 (2014), 744.

[75] Secondo le statistiche dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati ci sono nel mondo circa 68,5 milioni di persone costrette a lasciare la loro abitazione, la cifra più alta di sempre, di cui 25,4 milioni di rifugiati (si veda il sito ufficiale: http://www.unhcr.org/data.html [data di consultazione 09.01.2019]).

[76] Cf. Francesco, Discorso nell’incontro per la libertà religiosa con la comunità ispanica e altri immigrati (26 settembre 2015), Filadelfia: AAS 107 (2015), 1047-1052. Per il panorama contemporaneo si può vedere: C. Grütters – D. Dzananovic (ed.), Migration and Religious Freedom. Essays on the interaction between religious duty and migration law, Wolf Legal Publisher, Nijmegen 2018, 69-194.

[77] Pio XII aveva già richiamato in tempi molto bui la tutela di quel bene elementare che è «l’inalienabile diritto dell’uomo alla sicurezza giuridica, e con ciò stesso ad una sfera concreta di diritto, protetta contro ogni arbitrario attacco» (Radiomessaggio alla Vigilia del Santo Natale [24 dicembre 1942], n. 4: AAS 35 [1943], 21-22).

[78] Cf. Benedetto XVI, “Fede, ragione e università. Ricordi e riflessioni”. Discorso nell’incontro con i rappresentanti della scienza (12 settembre 2006), Ratisbona: AAS 98 (2006), 728-739.

[79] Cf. alcuni riferimenti del magistero pontificio alla reciprocità nei rapporti internazionali, in particolare in materia religiosa: san Giovanni XXIII, Let. Enc. Pacem in terris, n. 15: AAS 55 (1963), 261; san Paolo VI, Ecclesiam suam, n. 112: AAS 56 (1964), 657; san Giovanni Paolo II, Discorso nell’incontro con i giovani musulmani (19 agosto 1985), Casablanca: AAS 78 (1986), 99: «Il rispetto e il dialogo richiedono dunque la reciprocità in tutti i campi, soprattutto in ciò che concerne le libertà fondamentali e più particolarmente la libertà religiosa. Essi favoriscono la pace e l’intesa tra i popoli. Aiutano a risolvere insieme i problemi degli uomini e delle donne di oggi, in particolare quella dei giovani»; Id., Es. Ap. Ecclesia in Europa (28 giugno 2003), n. 57: AAS 95 (2003), 684-685; Benedetto XVI, Discorso nell’incontro con il Corpo Diplomatico presso la Repubblica di Turchia (28 novembre 2006), Ankara: AAS 98 (2006), 905-909; Id., Discorso nell’incontro con i rappresentanti di altre religioni (17 aprile 2008), Washington, D.C.: AAS 100 (2008), 327-330; anche Id., Es. Ap. Verbum Domini (30 settembre 2010), n. 120 invita alla reciprocità in materia di libertà religiosa: AAS 102 (2010), 783-784.

[80] Si possono vedere i report sulla situazione della libertà religiosa nel mondo offerti regolarmente da istituzioni di riferimento quali Kirche in Not (si veda il sito ufficiale http://religious-freedom-report.org [data di consultazione 09.01.2019]) o Pew Research Center (si veda il sito ufficiale http://www.pewresearch.org/ [data di consultazione 09.01.2019]).

[81] Cf. san Giovanni Paolo II, Let. Enc. Evangelium vitae (25 marzo 1995), nn. 73-74: AAS 87 (1995), 486-488.

[82] Sancti Ambrosii Med., Epist. extra coll. 14,96, in M. Zelzer (ed.), Epistularum liber decimus. Epistulae extra collectionem. Gesta concili Aquileiensis (CSEL 82/3), Hoelder-Pichler-Tempsky, Vindobonae 1982, 287, tr. it., Sant’Ambrogio, Discorsi e lettere II/III (Sancti Ambrosii Episcopi Mediolanesis Opera 21), Biblioteca Ambrosiana – Città Nuova, Milano – Roma 1988, 212-213.

[83] Cf. Concilio Ecumenico Vaticano II, Dec. Ad gentes (7 dicembre 1965), n. 12. Un esempio concreto della riflessione delle Chiese locali per attuare quanto insegnato da Ad gentes n. 12 si trova in FABC, FABC Papers, n. 138, “FABC at Forty Years: Responding to the Challenges of Asia: 10th FABC Plenary Assembly, 10-16 december 2012, Vietnam”.

[84] Sul rapporto fra antropologia e cristologia, cf. Commissione Teologica Internazionale, Alcune questioni riguardanti la cristologia (1979), n. III; Teologia, cristologia, antropologia (1981), n. I.d; Comunione e servizio, n. 52.

[85] Cf. san Giovanni Paolo II, Let. Enc. Redemptor hominis, n. 10: AAS 71 (1979), 274-275.

[86] Cf. Francesco, Let. Enc. Laudato si’, nn. 115-121: AAS 107 (2015), 893-895.

[87] Cf. id., Es. Ap. Evangelii gaudium, nn. 93-97: AAS 105 (2013), 1059-1061.

[88] Cf. Id., Discorso nell’incontro per la libertà religiosa con la comunità ispanica e altri immigrati (26 settembre 2015), Filadelfia: AAS 107 (2015), 1047-1052.

[89] Cf. san Paolo VI, Let. Enc. Ecclesiam suam, nn. 67-81: AAS 56 (1964), 640-645; san Giovanni Paolo II, Let. Enc. Redemptoris missio, n. 55: AAS 83 (1991), 302-304; Francesco, Es. Ap. Evangelii gaudium, nn. 250-251: AAS 105 (2013), 1120-1121. Si veda l’ampia documentazione raccolta in Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso (a cura di Francesco Gioia), Il dialogo interreligioso nell’insegnamento ufficiale della Chiesa Cattolica (1963-2013), Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2013.

[90] Cf. san Giovanni Paolo II, Es. Ap. Ecclesia in Asia (6 novembre 1999), n. 31: AAS 92 (2000), 501-503.

[91] Cf. ibid., n. 29: AAS 92 (2000), 498-499.

[92] Cf. Id., Let. Enc. Redemptoris missio, n. 57: AAS 83 (1991), 305.

[93] Cf. Concilio Ecumenico Vaticano II, Dec. Ad gentes, n. 12.

[94] Cf. Id., Dich. Nostra aetate, n. 2.

[95] Cf. Id., Dich. Dignitatis humanae, nn. 2-4.

[96] Cf. san Paolo VI, Let. Enc. Ecclesiam suam, n. 91: AAS 56 (1964), 648-649.

[97] «Nessuno può usare il nome di Dio per commettere violenza! Uccidere in nome di Dio è un grande sacrilegio! Discriminare in nome di Dio è inumano» (Francesco, Discorso nell’incontro con i leaders di altre religioni e altre denominazioni cristiane [21 settembre 2014], Tirana: EV 30 (2014), 1514-1524, 1518).

[98] Cf. Commissione Teologica Internazionale, Dio Trinità, unità degli uomini, n. 64.

[99] La testimonianza eccezionale resa dal testamento di P. Christian de Chergé, priore del monastero cistercense di Notre-Dame d’Atlas a Thibirine e recentemente proclamato beato insieme ad altri 18 martiri in Algeria (8 dicembre 2018), mostra questa paradossale forza unitiva dell’amore fino al caso limite del martirio. Cf. Christian de Chergé, Lettres à un ami fraternel, Bayard, Paris 2015, tr. it., Lettere a un amico fraterno, Urbaniana University Press, Città del Vaticano 2017, 343-348.

[100] Cf. Francesco, Discorso ai membri della Consulta dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme (16 novembre 2018): in Osservatore Romano 21 novembre 2018, Anno CLVIII/262 (2018), 8.

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