Astensionismo maggioritario: quattro lezioni da trarre
Fonte: Riccardo Paccosi
1) Con l’astensionismo al 50%, scompare il voto d’opinione e rimane solo il voto d’appartenenza. Questo implica la vittoria dei partiti principali, nella fattispecie FdI e PD.
2) Con l’astensionismo al 50%, non c’è spazio per operazioni elettorali anti-sistema, né sovraniste né “di sinistra”. I tentativi in tal senso, con queste elezioni europee, hanno conseguito risultati peggiori di quelli delle elezioni polititiche 2022.
Di conseguenza, o l’opposizione riesce a raggiungere una parte di quella metà di italiani che ha smesso di andare a votare o, semplicemente, essa cessa di esistere.
3) Nei paesi europei dove risulta essere stato scosso il quadro politico – come ad esempio la Francia, che a causa dei risultati delle europee va ora verso elezioni anticipate – ciò è avvenuto grazie al voto.
Nell’Italia dove l’astensionismo è stato al 50%, invece, il quadro politico risulta confermato e irrobustito.
Dunque, occorre confutare e avversare la tesi di certo astensionismo “militante” secondo cui il non-voto delegittimerebbe il sistema. Tale tesi è stata continuamente smentita dalla storia, dalla mera evidenza e, dunque, è un paradigma facente leva soltanto sull’irrazionalismo emotivo.
4) Il peso dell’astensionismo non può essere, per i leader delle organizzazioni politiche anti-sistema, un alibi finalizzato al deresponsabilizzarsi dai propri errori.
A prescindere da chi fra suddetti leader sia stato più frazionista o più disonesto di altri, il fallimento è di tutta l’area ed è altresì inappellabile. Solo una ri-fondazione, con piani d’analisi e principi organizzativi differenti, potrà nell’immediato futuro generare nuovi spazi di agibilità politica per chi si oppone al globalismo-liberismo.
fine citazione
In definitiva, anche se la disaffezione è comprensibile, un elettorato meno coinvolto riduce la pressione sui politici per rispondere alle esigenze dei cittadini. Questo può portare a una governance meno responsabile e più incline a mantenere lo status quo, piuttosto che a promuovere riforme necessarie.