Confronto delle violazioni dei diritti umani in Africa un hashtag alla volta

foto: Profilo dell’Africa disegnato da Natasha Sinegina (CC BY-SA 4.0). Modifica dell’immagine di Georgia Popplewell.

Attraverso il continente africano molti dei presidenti in carica da anni hanno ora trovato pane per i loro denti, dal momento che si vedono costretti ad affrontare proteste online che mettono a dura prova la loro forza e capacità di restare al potere.

Benché paesi come l’Uganda, la Nigeria e il Ruanda abbiano costituzioni che garantiscono tecnicamente diritti come la libertà di associazione, di espressione e di assemblea, questi diritti vengono spesso violati. Oggi, grazie alla maggiore connettività, le comunità online di giovani di tutto il continente stanno usando i social media per denunciare le repressioni e sostenere i candidati più giovani che ambiscono a proporsi a cariche diverse, in paesi in cui i leader sono aggrappati al potere per decenni.

Negli ultimi mesi, l’attivismo online è cresciuto a dismisura proponendo hashtag di tendenza come #FreeBobiWine (Liberate Bobi Wine) in Uganda; #FreeJonesAbiri (Liberate Jones Abiri) e #FreeSamuelOgundipe (Liberate Samuel Ogundipe) in Nigeria e #FreeDianeRwigara (Liberate Diane Rwigara) in Ruanda, lanciati dai netizen africani per creare più consapevolezza, solidarietà e costringere la comunità internazionale a fare pressioni sui loro governi.

Uganda

#FreeBobiWine

Nel dicembre del 2017, il 74enne Yoweri Museveni, che è stato il Presidente dell’Uganda per gli ultimi 32 anni, è riuscito a fare approvare un emendamento alla costituzione per il quale si era battuto strenuamente. L’emendamento rimuoveva il limiti di età di 75 anni per i candidati presidenziali, aprendo di fatto la strada a un prolungamento della sua carica [en, come i link seguenti, salva diversa indicazione] alla scadenza del suo mandato nel 2021. Molti cittadini si sono espressi a favore del mantenimento del limite e il Partito Democratico ha perfino organizzato una campagna, chiamata ‘Togikwteatako’ (‘Via le mani” da Luganda), per respingere l’emendamento.

Durante i dibattiti sul limite di età, il giovane musicista e successivamente diventato un politico, Robert Kyagulanyi Sentamu, noto con il nome di ‘Bobi Wine’, ha attirato l’attenzione di Museveni grazie anche a causa del suo crescente numero di sostenitori sia online che durante i raduni politici. Temendo forse la popolarità di Bobi Wine, Museveni ha scritto una lettera pubblica su un’ampia gamma di temi connessi alla governance, e sostenuto con ancora più forza la campagna a favore della rimozione del limite di età. Per ritorsione, all’indomani della campagna Togikwatako, il governo ha imposto una tassa sui social media per “contenere i pettegolezzi”, scatenando diffuse proteste in cui Bobi Wine era sempre in primo piano.

Bobi Wine ha risvegliato l’interesse politico tra i giovani ugandesi, molti dei quali condividono la sua storia personale e le sue umili origini. Bobi Wine è infatti nato in un sobborgo povero di Kamwokya, dove ha costruito uno studio da cui ha avuto inizio la sua brillante carriera nella scena musicale in Uganda. Successivamente, ha intrapreso una campagna parlamentare di successo [it] dove ha avuto la meglio sia sui rappresentanti del Movimento Nazionale di Resistenza che sui membri dell’opposizione nelle elezioni straordinarie del giugno 2017.

Il 13 agosto del 2018, Bobi Wine ha deciso di allearsi con il candidato indipendente Kassiano Wadri durante un’elezione straordinaria ad Arua, per sostenere la campagna di Wadri. Sono scoppiati episodi di violenza dopo che il convoglio presidenziale è stato preso a sassate e lo stato non ha avuto naturalmente esitazioni a puntare il dito contro Wadri. Molti parlamentari e altre persone, tra cui alcune che non erano nemmeno nelle vicinanze del luogo in questione, sono state arrestate e picchiate selvaggiamente [it].

Stella Nyanzie e il suo gruppo di quattro dimostranti pacifisti si erano accampati a Gulu per dimostrare la loro solidarietà con i 34 detenuti di Arua, accusati di tradimento, tra cui il Membro del Parlamento Bobi Wine.

Durante la rissa, l’autista di Bobi Wine è stato ucciso mentre era seduto in un’auto parcheggiata. In seguito, si è saputo che il bersaglio reale avrebbe dovuto essere Bobi Wine. Secondo quanto affermato dai suoi avvocati, Bobi Wine è stato torturato ed è tuttora incarcerato in un centro di detenzione militare. Le accuse infondate sono state lasciate cadere dieci giorni dopo, ma Bobi Wine è stato nel frattempo accusato di tradimento. I restanti prigionieri sono stati rilasciati dietro cauzione il 27 agosto.

Museveni ha incitato i giovani ugandesi a dar vita a una vera e propria rivoluzione e a rispondere a queste provocazioni. Non abbiamo altro da perdere che il futuro. Sollevatevi, brave persone. Riscattate lo spirito di Lumumba, Biko, Sankara e ora anche di BOBI e gli Arua 33.

I dittatori devono cadere! Risorgi Uganda!

Risorgi Uganda 🇺🇬 RISORGI ✊🏿 #LiberateBobiWine

La notizia dell’arresto brutale e della detenzione di Bobi Wine è stata condannata a livello internazionale, rendendo ancora più virali gli hashtag #FreeBobiWine e #FreeArua33, e scatenando proteste per le strade di tutto il mondo, la più grande delle quali a Nairobi.

Nigeria

#FreeJonesAbiri

Negli ultimi anni il governo del Presidente nigeriano Muhammadu Buhari ha significativamente represso la libertà di stampa. Tra l’agosto del 2015 e il marzo del 2018, circa 17 giornalisti e blogger nigeriani sono stati illegalmente arrestati dalle forze di sicurezza. Buhari ha apertamente manifestato la sua avversione per la libertà di stampa e parola. In un recente discorso agli avvocati, ha dichiarato che lo “Stato di diritto” deve essere assoggettato alla supremazia della sicurezza e dell’interesse nazionali.

Quest’anno numerosi hashtag, creati in risposta alle intimidazioni dell’amministrazione di Butari a giornalisti e cittadini, sono diventati virali. Uno di questi è quello riferito a Jones Abiri, capo redattore del Weekly Source, che è stato arrestato il 21 luglio 2016 dagli agenti della sicurezza nazionale (DSS) mentre si trovava nel suo ufficio a Yenagoa (Stato di Bayelsa).

Ricordatevi dei giornalisti che languiscono in prigione con gli hashtag #FreeJonesAbiri e #FreeSamuelOgundipe; ricordatevi delle donne ingiustamente incarcerate con l’hashtag #FreeOwerri112.

La DSS ha accusato Abiri di essere un militante responsabile di “aver bombardato gli oleodotti” nella regione del delta del Niger, ricchissima di petrolio. Il governo ha sostenuto questa versione e accusato anche Abiri di non essere in possesso delle credenziali ufficiali per esercitare la professione di giornalista.

I sostenitori dei diritti umani hanno invece affermato che Abiri è stato arrestato per aver pubblicato informazioni “non gradite”. L’hashtag #FreeJonesAbiri è diventato virale su Twitter dopo diversi giorni ed ha prodotto i suoi effetti: Abiri è stato rilasciato il 15 agosto 2018 dopo due anni di carcere. Ha fatto causa al governo richiedendo un risarcimento di 200 milioni di Naira (circa 556.000 dollari) per essere stato incarcerato senza un processo.

#FreeSamuelOgundipe

Samuel Ogundipe è stato arrestato dalla polizia nigeriana il 14 agosto 2018 per essersi rifiutato di rivelare la fonte utilizzata per un articolo giornalistico. Secondo la polizia, Ogundipe avrebbe fatto pervenire una lettera dell’Ispettore Generale della Polizia al Presidente in carica, il Professore Osinbajo, relativa all’assedio del parlamento da parte della DSS. La polizia ha accusato Ogundipe di aver divulgato un documento secretato, violando “la sicurezza nazionale, la legge e l’ordine”.

I netizen, i sostenitori dei diritti civili e i giornalisti del mondo hanno condannato l’arresto di Ogundipe e chiesto il suo rilascio al governo. L’ hashtag #FreeSamuelOgundipe è circolato per giorni su Twitter.

Durante la mia detenzione, non avevo idea dell’incredibile sostegno da parte del pubblico. Quando mi hanno rilasciato qualche ora fa, la direzione del carcere mi ha spiegato che la mia libertà era stata possibile grazie all’incredibile pressione esercitata dal pubblico.

Sono veramente grato a tutti. Grazie a tutti!

Samuel Ogundipe è stato rilasciato il 17 agosto 2018.

#FreeOwerri112

Il 17 agosto, 112 donne sono state arrestate a Owerri nella Nigeria sud orientale per aver organizzato una protesta pacifica per richiedere il rilascio di Nnamdi Kanu, un leader che si batteva per la separazione della Popolazione Indigena del Biafra (IPOB). Il luogo in cui è nascosto Kanu è ignoto, dal momento che lo scorso anno l’esercito Nigeriano ha perquisito la casa del padre e il governo ha dichiarato l’IPOB un’organizzazione terrorista. Gli arresti delle donne hanno scatenato una vera e propria tempesta mediatica facendo rendendo l’hashtag #FreeOwerri112 virale.

Le donne sono state rilasciate il 24 agosto.

Ruanda

#FreeDianeRwigara

Per la prima volta nella storia, sotto la Presidenza di Paul Kagame, il Ruanda vanta la più alta percentuale di donne al governo del mondo. In realtà però, le donne al potere che si muovono all’esterno dei confini del partito politico al governo, si trovano a fronteggiare da sole l’ira del governo. La prima ad aver sperimentato il tutto sulla sua pelle è stata Victoire Ingabire, avvocato di 49 anni e leader del partito dell’opposizione FDU-Inkingi, che era tornata dall’esilio nei Paesi Bassi per partecipare alle elezioni del 2010. Ingabire è stata arrestata e accusata di aver collaborato con un’organizzazione terrorista e per aver appoggiato “l’ideologia del genocidio”. Attualmente, sta scontando una pena detentiva di 15 anni.

In tempi più recenti, Diane Shima Rwigara, una donna d’affari del Ruanda che si era presentata come candidata indipendente durante le elezioni presidenziali del 2017, ha dovuto rinunciare alle sue ambizioni politiche in quanto esclusa dalla Commissione elettorale del Ruanda. Rwigara è stata arrestata l’anno scorso con le accuse di “incitamento e frode” ed è in carcere da ormai un anno. La aspetta una condanna a 20 anni.

Le persone ritengono che il Parlamento di Kagame sia progressista per l’alto numero di donne che ne fanno parte, ma bisognerebbe ricordarsi anche che quest’uomo non solo ha torturato e incarcerato a vita Dinae Shima Rwigara (e sua madre), che si erano proposte come candidate avversarie nel 2017, ma che ha anche messo all’asta i loro beni di famiglia.

Ma si, (avere tante donne) è un passo avanti.

È già passato troppo tempo! Dobbiamo fare sentire la nostra voce. Rischia 20 anni di carcere solo per aver osato proporsi come candidata alle elezioni presidenziali del Ruanda! #LiberateDianaRwigara

Ora che Kagame copre la carica di Presidente dell’Unione Africana per il 2018, molti netizen africani chiedono a gran voce il rilascio dei suoi oppositori politici.

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